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Brasile, deforestazione fuori controllo

Da diversi mesi l’istituto sieroterapico Butantan di San Paolo porta avanti un’intensa collaborazione con l’industria farmaceutica privata cinese Sinovac al fine di sperimentare e poi applicare il vaccino Coronavac con produzione nello stabilimento industriale del Butantan stesso. La sperimentazione è alla terza fase su un vasto campione di volontari. Va sottolineato che Butantan ha una lunga pratica, 120 anni, di ricerca, produzione e applicazione di vaccini; 75% di quelli utilizzati in Brasile provengono da questo centro. Tutti i governatori degli Stati si sono dichiarati favorevoli all’uso di tutti i vaccini che saranno approvato dall’Anvisa, l’agenzia del farmaco. Ma il 21 ottobre il signor Bolsonaro, nel presentare il Programma nazionale di immunizzazione, ha dichiarato che il governo federale non comprerà il vaccino cinese! I motivi sono vari: allineamento con l’esempio del capo dell’esecutivo nordamericano, una dimostrazione ideologica anticinese per rafforzare e gratificare i propri seguaci, un’azione contro il governatore dello Stato di San Paolo, il conservatore João Doria, che è per lui pericoloso competitore. Ovviamente questa scelta, che si commenta da sola, conferma il disprezzo dell’esecutivo nei confronti dei cittadini e delle loro vite. Intanto, anche con dichiarazioni dell’esecutivo, si amplia la campagna contro l’obbligatorietà della futura vaccinazione. Nello stesso torno di tempo, il 22 ottobre, Damares Alves, che occupa il Ministero della Donna, della Famiglia e dei Diritti Umani, firmava insieme a rappresentanti di 32 governi una cosiddetta Dichiarazione di Ginevra contro la linea delle Nazioni Unite per il diritto all'aborto e per norme internazionali al riguardo e in questo senso parlava anche in sede Onu. Le gravidanze di ragazze giovanissime in Brasile sono di molto al di sopra delle medie mondiali e continentali. Ancora una volta non interessa, all’esecutivo, la salute delle cittadine. Infine il ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, è oggetto di diverse iniziative del potere giudiziario per sollevarlo dall’incarico per danni ambientali. Anche se la pratica inciampa in continuazione in ostacoli procedurali, il fatto dà la misura della gravità della sua mala gestione. Traduco su questo ultimo tema un'intervista pubblicata in agosto dal mensile di divulgazione scientifica Ciéncia Hoje, collegato alla Società Brasiliana per il Progresso della Scienza/SBPC, dell’ingegnere forestale Tasso Azevedo coordinatore di MapBiomas, che ben illustra la connessione fra scelte politico-amministrative dell’esecutivo federale e deforestazione. Insomma ci si muove in un clima complessivo di negazionismo, che non è negazione di singoli fatti, ma un metodo di moltiplicazione del caos per appropriarsi di crescente potere approfittando proprio della confusione che si è a bella posta creata. (T.I. 2/11/2020)

Intervista a Tasso Azevedo

Valquiria Daher

Ciéncia Hoje: Un recente rapporto di MapBiomas ha mostrato che il 99% della deforestazione in Brasile ha origine illegale e che il 75% dei responsabili possono essere identificati. La deforestazione è fuori controllo?

Tasso Azevedo: Nel 2019 la deforestazione è aumentata in media del 30%. Anche nel 2020 è in aumento. Dal 2002/2003 non vi era stato un aumento simile (…) Nel constatare che il 99% della deforestazione presenta forti indizi di illegalità abbiamo messo in luce che è un'attività speculativa perché si fa attività illegale solo se il rischio di essere puniti è minore dei benefici ottenuti. Quali elementi indicano che esiste la percezione che il crimine compensa? In primo luogo la fiscalizzazione è stata indebolita: meno fondi per il settore, il che diminuisce il numero di operazioni; la riduzione della capacità di fiscalizzazione produce per esempio il risultato di impedire la distruzione delle attrezzature usate nel crimine ambientale per il licenziamento di chi sta nella prima linea operativa. Il secondo elemento è la questione fondiaria: è la prima volta, dall’entrata in vigore della Costituzione del 1988, che il Brasile trascorre un intero anno senza delimitazione di Terre Indigene/TI. Il presidente dice in modo esplicito che nel suo governo non ci saranno delimitazioni, attacando la Costituzione che definisce la delimitazione delle terre un diritto dei popoli indigeni e un dovere del potere esecutivo garantirlo. Non è un atto discrezionale. Il presidente inoltre ignora le Unità di Conservazione/UC. Così non solo non crea o delimita aree protette, ma ci sono proposte di rivedere i limiti di terre indigene e unità di conservazione già create. Questo dà un segnale a chi invade tali aree che magari i confini potranno essere cambiati e che un’occupazione illegale potrà essere regolarizzata. Il terzo indirizzo è minare gli accordi settoriali di eliminazione della deforestazione dalla catena di produzione, come nel caso della moratoria della soia. Sotto tutti questi aspetti abbiamo un governo che manda segnali che vuole la deforestazione; questo fino a poco tempo fa, quando la situazione si è incrinata per motivi economici.

Ciéncia Hoje: I meccanismi per punire la deforestazione illegale sono efficienti? Ci sono nuovi meccanismi in grado di frenare tale tendenza?

Tasso Azevedo: Ci sono meccanismi che erano già usati quando le condizioni tecnologiche erano inferiori. Per esempio fra il 2004 e il 2012 il Deter, sistema dell’INPE/Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale che rileva il deforestamento, aveva una risoluzione bassa, di 250/500 metri. Cioè coglieva solo deforestazioni estese e inoltre forniva dati mensili. Con questo materiale inferiore all’attuale tuttavia vennero realizzate centinaia di operazioni, perché l’informazione era usata bene. Oggi abbiamo DeterB con una risoluzione di 30/60 m. che produce informazioni quotidiane e il numero di operazioni di controllo e repressione è diminuito invece che aumentare. Inoltre fino al 2018 le amministrazioni che ricevevano le informazioni del Deter dovevano elaborare una relazione per sapere se la deforestazione era illegale, in unità di conservazione, di chi era proprietario ecc. Questo richiedeva sei ore e i funzionari facevano circa mille rapporti all’anno, cioè meno dell’1% dei casi di deforestazione. Con il MapBiomas Alerta abbiamo automatizzato la procedura e l’anno scoso abbiamo generato 56.000 rapporti. Essi consentono di colpire rapidamente le proprietà in cui si è avuta deforestazione illegale, crimine che impedisce l’accesso al credito rurale e complica la commercializzazione della produzione. Dunque non si è mai avuta tanta informazione qualificata disponibile e gratuita per agire, ma mai si è avuta una situazione in cui la possibilità di agire sia stata più ridotta. Tre sono i pilastri per controllare la defiorestazione: se il soggetto deforesta, sa che sarà colto sul fatto; se sarà individuato, ci saranno conseguenze; anche se non sarà penalizzato, non avrà vantaggi perché agenti economici non finanzieranno o compreranno la produzione.

Ciéncia Hoje: Quali sono i danni economici dell’attuale politica ambientale nel paese?

Tasso Azevedo: Una cosa è esserci deforestazione, ma con tendenza alla riduzione, con impegno e interesse del governo ad affrontare il problema. Nel 2008 e nel 2009 la deforestazione era vicina a quella attuale, ma era in diminuzione e il governo era impegnato a questo fine. Così la percezione dell’investitore, della società globale, era che il Brasile cercava di risolvere il problema. Per esempio una risposta fu la creazione del Fondo Amazônia, con oltre un miliardo di dollari. Oggi è il contrario, e la preoccupazione ambientale e per la deforestazione è nel mondo ancora più forte. Fra il 2010 e il 2015 centinaia di imprese si impegnarono a eliminare la deforestazione dalla propria filiera produttiva entro il 2020. Il Brasile aveva una meta di deforestazione pari a un terzo di quella che vi sarà quest’anno. Quindi quello che oggi mostriamo all’estero è che il Brasile non ha controllo, che non rispetterà le sue mete e l’atteggiamento del presidente è che la deforestazione non è un problema, che se il garimpeiro (minatore illegittimo) invade una terra indigena bisogna legalizzare il garimpo e non espellerlo. Quindi l’impressione all’estero è che non c’è nessuno che garantisca che la deforestaione non entrerà nella filiera della produzione. Nel fondo di investimento all’impresa che commercializza la soia nessuno vuole essere messo in relazione con la deforestazione. Questo è oggi il rischio del Brasile. Dal momento che c’è una crisi di fiducia verso l’ente regolatore, che è il governo, gli attori economici necessitano di salvaguardie maggiori per interagire con il paese, come la tracciabilità dei prodotti di tutti i fornitori. Le proprietà in cui lo scorso anno c’è stata deforestazione non raggiungono l’1%, ma esse causano danno al restante 99%. Se l’atteggiamento del governo fosse di tolleranza zero con l’illegalità, questo non accadrebbe.

Ciéncia Hoje: Il modello spaziale della deforestazione rafforza la frammentazione della foresta amazzonica?

Tasso Azevedo: La frammentazione c’è in varie parti del territorio. La direttrice della deforestazione avvene dell’esterno verso l’interno dell’Amazzonia, viene dai margini ed entra dalle strade. Via via che si espandono le strade, nascono nuove aree di deforestazione. Dove ci sono più insediamenti la frammentazione è maggiore, come un vestito di arlecchino. Un altro tipo di processo si verifica nelle unità di conservazione e nelle terre indigene, in cui la logica di protezione esige che si mantenga l’integrità degli ecosisteni di area vasta e il processo di deforestazione mina l’obiettivo della conservazione di grandi blocchi forestali. E ci sono alcune specie animali che hanno bisogno di grandi aree integre per poter vivere e riprodursi (…) Inoltre vi è il fuoco. Nella foresta amazzonica, che è tropicale umida, il fuoco naturale è un accadimendo molto raro, avviene una volta ogno 500 anni. Per questo la foresta non ha molta capacità di adattarsi al fuoco e si degrada molto. Quando si abbatte una foresta alta 30 metri rimane uno strato di 4 o 5 metri di altezza di vegetazione tagliata che nel periodo secco viene incendiata.

Ciéncia Hoje: Analizzando i sei biomi brasiliani, è possibile identificare aree più vulnerabili alla deforestazione e al degrado?

Tasso Azevedo: Insieme Amazzonia e Cerrado, che sono i biomi maggiori, ospitano oltre il 95% della deforestazione identificata in Brasile nel 2019. L’Amazzonia ha 85% di copertura di vegetazione nativa, il Cerrado 50/55%. Nella Mata Atlantica la copertura rimasta è del 29%, ma c’è una legge di protezione specifica. Gli altri biomi sono minori. La Caatinga è di foreste secche con dinamiche diverse. In rapporto all’area il Pantanal è molto colpito; nel Pampa, il minore bioma del paese, che interessa metà di Rio Grande do Sul, la preoccupazione è per l’espanione delle coltivazioni di eucalipto e pino.

Ciéncia Hoje: Come valuta la legislazione di protezione ambientale in Brasile?

Tasso Azevedo: Soprattutto dopo la Costituzione del 1988 vari passi sono stati fatti nella politica ambientale (…) Ci sono stati momenti in cui essa quasi si è fermata, ma mai in precedenza abbiamo avuto un Ministero dell’Ambiente che lavora per ridurre la protezione ambientale. È la prima volta che succede.

Ciéncia Hoje: Come combattere il falso dilemma che oppone agrobusiness a conservazione e lotta ai cambiamenti climatici?

Tasso Azevedo: La maggior parte dell’agricoltura brasiliana è ben fatta, ma può avanzare molto. Se consideriamo quel 25% di coloro che producono con maggiore efficienza e produttività e applichiamo tali prestazioni al resto del paese, sarebbe possibile raddoppiare la produzione rurale brasiliana senza occupare nessun ettaro in più. Anzi rimarrebbe spazio per ripristinare i luoghi che richiedono conservazione prioritaria. Le questioni fondamentali per la sostenibilità dell’agricoltura brasiliana, oltre all'eliminazione della deforestazione dalla filiera produttiva, sono di moltiplicare l’efficacia nell’uso del suolo, recuperare la aree di preservazione permanente e le riserve legali obbligatorie in base al codice forestel, incrementare le pratiche di agricoltura di basso carbonio, ripensare l’agricoltura irrigua perché il 10% di aree irrigate utilizzano il 70% dell’acqua consumata nel paese, ridurre l’uso di biocidi.

Su tematica affine mi permetto di segnalare uno studio richiesto dall’ONU e realizzato da ricercatori di dodici paesi sotto la direzione dello scienziato Bernardo Strassburg, della Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro (PUC-RIO), in cui si documenta come il recupero del 30% delle aree degradate del pianeta consentirebbe di evitare l’estinzione del 71% delle specie minacciate. Gli ecosistemi rigenerati potrebbero assorbire 466 miliardi di tonnellate di CO2. Lo studio identifica anche le principali regioni in cui il recupero ambientale avrebbe effetti maggiori, identificando 2,9 miliardi di ettari di terre prioritariamente restaurabili distribuiti in tutti i biomi. Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica "Nature".

Organizzazione e traduzioni di Teresa Isenburg

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a cura di Nicoletta Manuzzato