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Brasile, vendere schiavi per comprare impunità

Quando il 31 agosto 2016 il Senato Federale del Brasile votò la deposizione, senza base giuridica e senza prove, della presidente costituzionale Dilma Rousseff, molti dissero che si trattava di un golpe della élite schiavista che aveva insediato un governo di uomini maschi bianchi vecchi ricchi. Ci si riferiva all’ideologia e alla cultura profonda schiavista. Ma il 18 ottobre 2017 un decreto, un pezzo di carta, ha ridato "legalità" formale alla schiavitù. Questo allo scopo di ottenere il voto dei deputati per respingere la seconda richiesta di autorizzazione a procedere contro Temer in base alla denuncia della Procura Generale della Repubblica per i crimini di intralcio alla giustizia e organizzazione criminale. Il 25 ottobre, dopo 12 ore, l’acquisto di voti ha pagato: con 251 voti contro 233, due astensioni e 25 assenze la Camera ha per la seconda volta salvato Temer, insieme ad alcuni suoi ministri, dalla deposizione. Potranno essere giudicati solo dopo la fine del mandato (illegittimo). E' importante sottolineare che ormai da alcuni mesi le informazioni che giungono dalle delazioni premiate o i fatti manifesti che accadono (come in questo caso) dimostrano che tutto il percorso eversivo che ha portato alla deposizione di Dilma e all’insediamento di Temer e sodali è avvenuto attraverso l’acquisto sistematico di voti di deputati e senatori, già in precedenza eletti spesso attraverso procedure di scambio di voti. (T.I.)

Il disprezzo per il popolo e per i lavoratori, firma del governo golpista di Michel Temer, si è manifestato una volta di più nel decreto nº 1.129/2017, che annulla i miglioramenti che il Brasile aveva conquistato nella lotta contro il lavoro schiavo.

Il decreto fa parte dello sforzo per ottenere l’appoggio del gruppo ruralista nella votazione sulla richiesta di impeachment di Temer in iter nella Camera dei deputati. Accoglie antiche rivendicazione di fazendeiros senza scrupoli contro la legislazione che reprime la pratica di quell’iniquo sistema di sfruttamento della forza lavoro. Crea enormi difficoltà per il controllo e la denuncia da parte degli ispettori del lavoro, sottopone all’approvazione del ministro del Lavoro la divulgazione della lista nera dei padroni che usano lavoro schiavo e ridefinisce il concetto di lavoro schiavo. Il decreto abbandona i criteri moderni, contemporanei, che definiscono il lavoro in condizioni analoghe alla schiavitù: quando cioè vi siano condizioni degradanti di lavoro; violazione di diritti fondamentali, con rischio per la salute e la vita del lavoratore; giornate estenuanti e prolungate oltre quanto la legge permette; l’esistenza di guardie armate per trattenere il lavoratore nel luogo di lavoro a causa del debito con il datore di lavoro; confisca di documenti del lavoratore per obbligarlo a rimanere in loco*.

Sono condizioni disumane, definite nella legge, che il decreto disprezza! Il gruppo ruralista e lo stesso ministro dell’Agricoltura Blairo Maggi (grandissimo produttore di soia, già governatore dello Stato di Mato Grosso), che è un grande latifondista, festeggiano. Ma la resistenza che il decreto ha incontrato è stata enorme. Giudici del lavoro, procuratori del Ministero pubblico del lavoro, la Commissione pastorale della terra, organizzazioni di lavoratori e anche settori dei mass media che hanno appoggiato il golpe hanno espresso con forza il proprio disagio di fronte al passo indietro che mette di nuovo il Brasile fra i paesi che, minacciati dalla pratica nefasta del lavoro schiavo, rinunciano agli strumenti legali per combattere e reprimere lo stesso**.

Più volte le denunce contro gli attacchi del governo golpista al Testo unico delle leggi sul lavoro (CLT) avevano previsto che la fine della legislazione del lavoro sarebbe stata simile alla cancellazione della Legge Aure, che nel 1888 aveva abolito la schiavitù. E avrebbe riportato quel sistema condannato. I peggiori timori si confermano nella pubblicazione di questo decreto ripudiato e, assicurano gli specialisti, anticostituzionale.

Non vi è limite all’agire dell’illegittimo Michel Temer per salvare il mandato che ha usurpato. Non si ferma neppure di fronte alla regressione della civiltà che il decreto sul lavoro schiavo significa!

*Inoltre mette in discussione la concessione del contributo di disoccupazione ai lavoratori liberati che era versato dal 2003 e, fra le condizioni per definire il lavoro schiavo, impone l’impedimento di andare e venire, rendendo irrilevanti le condizioni di lavoro alle quali una persona è sottoposta.

**Martedì 24 ottobre la ministra Rosa Weber, del Supremo Tribunale Federale, su richiesta del partito Rede Sustentabilidade, ha firmato un'ingiunzione che sospende gli effetti del decreto del Ministero del Lavoro che "nel restringere in modo indebito il concetto di riduzione a condizione analoga a schiavo lede principi basilari della Costituzione". Trattandosi di misura provvisoria, la decisione ha effetto fino al giudizio di merito da parte del plenario del Stf, che non è ancora fissata. Se ce ne fosse bisogno, questo intervento del Stf rende ancora più evidente la continuativa omissione dello stesso nell’intervenire per reprimere l’eversione sul nascere, almeno a partire dal marzo 2016 con il sequestro dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva. Omissione quando non condiscendenza attiva a procedure illecite.

Fonte: editoriale di Vermelho del 18/10/2017 www.vermelho.org.br

Traduzione e introduzione di Teresa Isenburg

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato