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Brasile, l'8 gennaio e le sue conseguenze

Le immagini di migliaia di persone che nel pomeriggio di domenica 8 gennaio invadevano, senza che nessuno sbarrasse loro la strada, il Congresso, il Palácio do Planalto (sede della Presidenza) e il Supremo Tribunal Federal hanno fatto temere per qualche ora il crollo della democrazia brasiliana. L'orda bolsonarista, confluita nella capitale a bordo di decine di autobus, ha scatenato la sua furia contro suppellettili e opere d'arte, mostrando il suo disprezzo per ogni forma di cultura.

A favorire l'assalto le autorità del Distretto Federale, governato da un alleato dell'ex presidente, che hanno lasciato i tre edifici sguarniti. Il tentato colpo di Stato mirava a far sì che, di fronte al caos, Lula decretasse l'intervento dei militari in funzione di sicurezza interna, lasciando loro il compito di "riportare l'ordine". Il piano è fallito perché il presidente ha invece scelto di assumere il controllo del governo e della polizia locali. Agenti federali hanno sgomberato i palazzi occupati, arrestando centinaia di persone.

La contromossa è stata vincente anche su un altro piano: tornato velocemente nella capitale, Lula ha patteggiato l'evacuazione dei sediziosi accampati da settimane di fronte al quartier generale dell'esercito, a cui chiedevano di intervenire per ribaltare l'esito del voto del 30 ottobre. Dopo alcune obiezioni, i generali hanno dovuto cedere e permettere che i circa 1.200 facinorosi venissero trasportati a una sede della polizia federale per essere interrogati. Un punto a favore del ministro della Giustizia Flavio Dino, fautore di una risposta dura, mentre il titolare della Difesa, il conservatore José Múcio, proponeva una soluzione concordata che trattasse gli insorti come semplici manifestanti. Sono contraddizioni all'interno del vasto gabinetto di Lula (ben 37 membri) dove, accanto a Marina Silva all'Ambiente, a Fernando Haddad alle Finanze e a Sônia Guajajara al nuovo Ministero dei Popoli Indigeni, figurano esponenti del centrodestra come Simone Tebet alla Pianificazione.

L'8 gennaio ha visto un indebolimento dell'ex presidente, anche perché i sondaggi mostrano una stragrande maggioranza di cittadini (di tutti gli schieramenti) critici di fronte alle devastazioni causate dai suoi seguaci. E altre tegole si abbattono sul capo di Bolsonaro, ancora rifugiato in Florida: i suoi conti bancari sono stati congelati e la Procura Generale ha ottenuto dal Supremo Tribunal Federal l'apertura di un'indagine su di lui come presunto istigatore dell'assalto ai palazzi del potere. Infine il suo uomo di fiducia, Anderson Torres, ex titolare della Sicurezza Pubblica della capitale, è stato arrestato per complicità. Nell'abitazione di Torres gli inquirenti hanno rinvenuto la bozza di un progetto in cui Bolsonaro assumeva il controllo delle istituzioni elettorali e dichiarava nullo il risultato delle presidenziali.

E a seguito della sommossa Lula ha destituito i dirigenti dei media pubblici, che erano stati nominati nella gestione precedente e che avevano presentato il tentato golpe come una dimostrazione di dissenso. La giornalista Kariane Costa sarà la nuova presidente della Empresa Brasil de Comunicação. Silurato anche il comandante dell'esercito Júlio César de Arruda: non avrebbe agito con prontezza di fronte alla connivenza di alcuni settori militari con il tentativo eversivo. Altri quaranta membri delle forze armate, che prestavano servizio nella residenza presidenziale, sono stati destinati ad altri incarichi. Intanto Celine Leão, che ha assunto il governo ad interim del Distretto Federale dopo la sospensione del governatore Ibaneis Rocha, ha deciso di raddoppiare gli agenti che dovranno vigilare le sedi dei tre poteri. Non si escludono infatti altri tentativi da parte dei fanatici sostenitori dell'ex capitano. (22/1/2023)

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato