Latinoamerica-online.it

Il Piano Condor e la condanna della giustizia italiana

Aurora Meloni *

Il Piano Condor è stata una campagna di repressione politica e terrorismo di Stato appoggiata e sostenuta dagli Stati Uniti, che ha incluso azioni di intelligence e omicidi di oppositori alle dittature e ai governi autoritari imperanti nel Cono Sud dell’America Latina. Il Piano è stato avviato ufficialmente nel mese di novembre 1975 quando i vertici di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia sottoscrissero l’accordo. Successivamente si sommarono Brasile, Perù, Ecuador e Colombia.

Il coordinamento si sviluppa attraverso lo scambio di informazioni, il controllo, la persecuzione, la detenzione forzata, la tortura sistematica e il trasferimento dei detenuti fra i paesi sottoscrittori del Piano. Il Condor diventa un’organizzazione clandestina di carattere internazionale per l’applicazione della strategia del Terrorismo di Stato, attraverso l’omicidio e la scomparsa delle persone considerate oppositori ai regimi imperanti. La maggioranza delle vittime appartengono a movimenti della sinistra politica, del sindacalismo, dei circoli studenteschi, della docenza, del giornalismo, dell’ambito culturale e delle arti, della Teologia della Liberazione e dei movimenti dei Diritti Umani.

Gli Archivi del Terrore, trovati in Paraguay nel 1992 grazie all’impegno di Martín Almada, docente paraguayano e attivista dei Diritti Umani, certificano più di 50.000 persone assassinate, più di 30.000 scomparse e 400.000 incarcerate. Detto Piano si materializza nell’ambito della strategia degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda guidata dalla Dottrina di Sicurezza Nazionale, disseminando dittature al fine di eliminare i settori politici democratici e attuare un modello economico mirato a garantire innumerevoli benefici ai settori più conservatori e già possessori di ingenti risorse materiali. Il governo degli Stati Uniti proporzionò pianificazione, coordinamento, formazione sulla tortura e sui metodi per strappare informazione ai detenuti, appoggio tecnico nonché assistenza militare durante le amministrazioni Johnson, Nixon, Ford, Carter e Reagan. Il supporto è stato canalizzato frequentemente tramite la Cia.

LA GIUSTIZIA ITALIANA. Prima di affrontare il Processo Condor di Roma vorrei fermarmi sui cinquant’anni dal colpo di Stato in Uruguay (27 giugno 1973) e in Cile (11 settembre 1973) e affermare che il passato è più presente che mai. Lo vedremo attraverso il processo italiano. Dalla fine del 1972 vivevo in Argentina con mio marito, Daniel Banfi, e le nostre piccole figlie. Eravamo riusciti a scappare dalla situazione repressiva che imperava nel nostro paese, accentuata dai provvedimenti previsti dalle Medidas Prontas de Seguridad del governo di Jorge Pacheco Areco (1968), intensificati dalla dichiarazione dello Stato di Guerra interno (14 aprile 1972) e continuati ancora dal governo costituzionale di Juan María Bordaberry. Sarà quest’ultimo che chiuderà il Parlamento dell’Uruguay e consegnerà il paese alle forze armate.

L’impatto del golpe è stato devastante in Uruguay e anche all’estero. Ovunque le conseguenze si sentirono d’immediato: detenzioni arbitrarie, violenza gratuita, trasferimenti illegali di prigionieri in Uruguay, soprattutto dall’Argentina da parte della polizia uruguayana in collaborazione con la polizia di Buenos Aires. In Uruguay la risposta popolare al golpe è stata l’eroico Sciopero Generale di quindici giorni organizzato dalla Convención Nacional de los Trabajadores (Cnt), centrale sindacale unica e unitaria del nostro paese.

A settembre abbiamo anche vissuto il sanguinario colpo di Stato del Cile e la fuga verso l’Argentina di centinaia di oppositori che riuscivano a scappare dalla ferocia della dittatura di Pinochet. Buenos Aires diventò un terreno di caccia per i servizi dell’intelligence e gli apparati repressivi delle dittature imperanti. Nel mese di settembre del 1974 ci furono le prime uccisioni di uruguayani in Argentina, quando furono trovati tre corpi sotterrati e coperti di calce nel terreno di una fattoria a 150 km. dalla capitale. Erano Daniel Banfi (mio marito), Guillermo Jabif e Luis Latronica. Si comprese che stavamo vivendo il Terrorismo di Stato e che l’impunità era diventata prassi permanente.

Durante il lungo e devastante esilio si denunciò sempre la situazione del Cono Sud dell’America Latina e si chiese e si ottenne una vasta solidarietà internazionale. L’impunità era anche l’impossibilità di poter denunciare nei nostri paesi l’omicidio e la scomparsa di migliaia e migliaia di persone detenute forzatamente. La giustizia era davvero una chimera.

Molti anni dopo siamo riusciti ad avviare un procedimento amministrativo presso la Procura di Roma. La genesi sorse nel mese di marzo 1999, quando valutammo la possibilità di rivolgerci alla giustizia italiana (alla luce dei processi in corso contro i vertici militari argentini e la Esma), con l’obiettivo di portare in giudizio i crimini di lesa umanità sui casi delle persone assassinate e scomparse di origine italiana. Fu così che nel 1999 con un gruppo di donne presentammo le nostre denunce davanti alla Procura di Roma. Il pm nei processi contro i capi militari argentini era Francesco Caporale (procuratore aggiunto del Tribunale di Roma) che si era valso della collaborazione del dottor Giancarlo Capaldo, che sarebbe stato successivamente il pm del Processo Condor di Roma.Tutti i processi in Italia si sono svolti in contumacia, gli imputati sono stati rappresentati dai loro avvocati.

Nel 1999 quindi, mentre il giudice Baltasar Garzón continuava le indagini dopo aver sottoscritto l’anno prima il mandato di cattura contro Augusto Pinochet, in Italia si avviava un nuovo procedimento penale contro gli assassini e i responsabili della scomparsa di cittadini cileni di origine italiana. In seguito alle nostre denunce vennero incorporate anche le vittime uruguayane e argentine. L’espediente, in mano al pm Capaldo diventa così il cosiddetto "Processo Condor di Roma". Nel 2006 i due procedimenti, quello del Condor e quello contro Pinochet, vengono unificati in un unico fascicolo riguardante un unico processo. Il pm Capaldo chiede allora la cattura di più di 140 repressori cosa che, ovviamente, ha richiesto parecchi anni di indagini, elementi probatori, citazioni e comunicazioni giudiziarie prima di poter arrivare alle udienze preliminari nel 2013.

Il 12 febbraio 2015 ci siamo costituite Parti Civili davanti al Terzo Tribunale Penale di Roma. Oltre ai familiari si costituiscono Parti Civili lo Stato italiano, lo Stato dell’Uruguay, il Frente Amplio dell’Uruguay, l’Associazione di Familiari di Detenuti Scomparsi del Cile e della Bolivia, la Città di Roma, le tre centrali sindacali italiane e la Centrale Sindacale Unica dell’Uruguay. Lo stesso giorno inizia il processo orale e pubblico nell’aula bunker del carcere di Rebibbia, sede della Corte d’Assise di Roma. La Corte Penale di Primo Grado emette sentenza il 17 gennaio 2017. Tra gli imputati ci sono capi di Stato, autorità civili come l’ex ministro degli Esteri dell’Uruguay, Juan Carlos Blanco, ufficiali, agenti della polizia e dei servizi segreti di Uruguay, Cile, Bolivia e Perù.

Gli imputati furono rinviati a giudizio per detenzione forzata, prigionia in centri clandestini e omicidio di 42 persone. I fatti erano accaduti in Argentina, Uruguay, Cile, Bolivia e Perù tra il 1973 e il 1978. Le denunce presentate a Roma a partire dal mese di giugno 1999 includevano tutte le vittime di origine italiana delle quali si fosse in possesso della dovuta certificazione. Nel caso dell’Uruguay noi denuncianti eravamo María Bellizi, Marta Gatti, Aurora Meloni, Cristina Mihura e Luz Ibarburu. Più tardi si aggiunse María Ester Gatti e nel 2005 le famiglie Borrelli, Casco, D’Elía, Gambaro e Giordano.

È quasi banale dire che avevamo bisogno di verità giudiziaria sull’esistenza del Piano Condor, ma è necessario tener conto che questa realtà era ancora negata in diversi paesi firmatari dell’accordo, incluso l’Uruguay. Questo per dire che il sentimento comune tra noi era ottenere giustizia e condanne per chi era responsabile di tali atrocità. Le denunce presentate sono state appoggiate da tutti gli avvocati delle Parti Civili e in particolare da quelli che avevano partecipato ai processi contro i militari argentini e cileni, come per esempio gli avvocati di Milano, Marcello Gentili e Giancarlo Maniga.

Le udienze furono più di sessanta, i testimoni diverse decine (familiari, compagni di prigionia delle vittime, esperti quali giornalisti, storici, professori, ricercatori… La sentenza di primo grado ha stabilito l’esistenza del Piano Condor sulla base delle prove documentate e le testimonianze. I giudici dicono che è stato un Piano strategico ideato sotto gli auspici degli Stati Uniti e che aveva come obiettivo l’eliminazione degli oppositori alle dittature e ai governi de facto imposti nei paesi aderenti al Piano. Sono stati condannati i vertici civico-militari.

Da sempre avrei voluto testimoniare e presenziare un processo nel mio paese; sono nata in Uruguay anche se la tragedia l’ho vissuta in Argentina e la prima condanna si riesce a ottenere in Italia! Volevo, speravo, che lo Stato uruguayano giudicasse i responsabili degli omicidi, della tortura e della scomparsa degli oppositori, ma la realtà non sempre corrisponde alle nostre esigenze e alle nostre aspirazioni di giustizia. Nel momento della prima sentenza in Uruguay non c’era nessun militare imputato in vita, pertanto è stato condannato un civile che era stato il ministro degli Esteri della dittatura e membro dell’esecutivo del Cosena (Consejo de Seguridad Nacional), Juan Carlos Blanco.

Sapevamo che gli ufficiali intermedi che non erano stati condannati dalla Corte d’Assise erano colpevoli, qualcuno era stato condannato in Uruguay negli ultimi anni per crimini simili, ma nessuno per aver partecipato al Piano Condor. Allora si sono cercate ulteriori prove che furono presentate davanti alla Corte d’Appello. Eravamo anche consapevoli che non si trattava di un processo semplice: gli anni trascorsi dal periodo dei fatti ad oggi, la distanza geografica rispetto all’Italia, la ricostruzione di un Piano come il Condor che doveva essere compreso anche dai giudici popolari. No, non era un processo come qualsiasi altro quello che era avvenuto a Rebibbia. Finalmente nuove prove sono arrivate dall’Uruguay dato che nel frattempo si erano aperti alcuni archivi militari, quindi la Corte d’Appello completò il quadro delle responsabilità degli ufficiali e riuscì a condannare tutti gli imputati.

La condanna è stata l’ergastolo per omicidio pluriaggravato. La sentenza ha avuto un’importante ripercussione sia nei paesi coinvolti nel Piano Condor, sia dove interessa poter giudicare i crimini di lesa umanità. In Italia la sentenza ha creato un precedente giuridico molto importante.

Il 9 luglio 2021 la Corte di Cassazione emette la condanna definitiva per tutti gli imputati. Si ordina anche l’immediato arresto di Jorge Troccoli Fernández, unico imputato con cittadinanza italiana che, fuggendo dall’Uruguay, era venuto a vivere in Italia. Attualmente Troccoli Fernández è imputato in un nuovo processo per sequestro e omicidio, proprio grazie alle ultime prove acquisite. Le vittime sono Helena Quinteros, uruguayana, sequestrata e assassinata in Uruguay; Raffaella Filipazzi, cittadina italiana, e suo marito José Potenza, cittadino argentino, tutti e due sequestrati e assassinati in Uruguay, i cui resti sono stati trovati in Paraguay.

Rimane sempre aperto un capitolo molto doloroso nella nostra America Latina, i desaparecidos. Sapere dove sono tutti i detenuti scomparsi, sui quali non abbiamo informazioni e di cui, solo grazie all’ottimo lavoro degli antropologi dei vari paesi nel corso degli anni, abbiamo potuto trovare qualche resto nei terreni militari. Solo allora il nostro NUNCA MAS avrà davvero un senso. (settembre 2023)

* Parte Civile del Processo Condor di Roma

 

Latinoamerica-online.it

a cura di Nicoletta Manuzzato