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Brasile, la catastrofe di Brumadinho

L’Italia si trova in una condizione che potremmo definire privilegiata per riflettere sulla catastrofe socioambientale che il 25 gennaio 2019 ha colpito la città di Brumadinho, nella regione metropolitana di Belo Horizonte. L’Italia, appunto, il 19 luglio 1985 conosceva un'analoga catastrofe a Stava (Trento), quando le dighe di contenimento dei bacini minerari di decantazione cedevano e un fiume di fango, alla velocità di 90 km/ora, uccideva in un attimo 268 persone. E il 9 ottobre 1963 di nuovo diga e movimento terra annientavano nel buio della notte 1917 pesone: il Vajont. Traduco dunque il dossier che il blog del periodico Brasil de Fato ha dedicato a Brumadinho a un mese dal crimine. Segnalo anche un articolo sulle pratiche repressive della Fiat di Betim, Belo Horizonte, alla fine degli anni ’70. (T.I.)

Il 25 gennaio 2019 gli abitanti della città di Brumadinho, nello Stato di Minas Gerais, sono stati vittime di una della maggiori tragedie socioambientali del mondo. Il cedimendo della diga Corrégo do Feijão dell’impresa mineraria Vale ha causato la morte di 179 persone. Lavoratori, madri, padri, figli e figlie sotterrati dalla valanga tossica, vittime di un crimine, una volta ancora, della maggiore impresa mineraria del paese. Altre 131 persone non sono ancora state trovate. Così come per i danneggiati di Mariana (sempre nello Stato di Minas Gerais), vittime del cedimento della diga del Fundão della Samarco (della Vale SA e del colosso anglo australiano BHP Billiton) oltre tre anni fa (5 novembre 2015, non ancora indennizzati perché il processo è lento…) la mancanza di informazioni, il dolore, il lutto e la rivolta ora sono parte della vita quotidiana degli abitanti di Brumadinho che denunciano la Vale come responsabile del disastro. (...) La dimensione della tragedia annunciata, risultato di un modello minerario predatorio, è anche ambientale. Non vi è più possibilità di vita nel fiume Paraopeba e lungo i suoi margini. Le acque chiare sono diventate un mare di fango.

25 gennaio: la diga della Vale nella miniera Corrégo do Feijão si rompe versando 13 milioni di m³ di ganga nel fiume Paraopeba (a Stava si era trattato di 180.000 m³ di fango, a Mariana di 62 milioni m³).

26 gennaio: IBAMA/Instituto Brasileiro de Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renovávieis multa la Vale per 250 milioni di R$ (indicativamente dividere per 4 per avere il valore in euro).

29 gennaio: viene divulgato un documento della ANA/Agência Nacional das Aguas del novembre 2017, che informa che 723 dighe sono ad alto rischio e 45 con struttura compromessa (fra esse non vi è quella di Brumadinho).

Il MAB/Movimento dos Atingidos por Barragens (Movimento dei danneggiato dalle dighe) lancia una campagna di raccolta fondi per rafforzare l’organizzazione dei danneggiati in questione.

Familiari degli scomparsi di Brumadinho denunciano che le sirene della Vale, che avrebbero dovuto avvertire del disatro, non furono attivate. Mancano informazioni sulle ricerche.

30 gennaio: il Servizio Geologico Brasiliano prevede che il fango tossico giungerà nella regione di Três Marias, dove si incontrerà con il bacino del fiume São Francisco. Iniziano lavori per bloccare il corso delle acque.

Abitanti del quartiere Parque da Cachoeira, in parte sotterrato, realizzano un’assemblea e si organizzano per rivendicare i propri diritti e responsabilizzare la Vale.

31 gennaio: i danneggiati della Vale chiedono la disattivazione di altre dighe della zona.

2 febbraio: abitanti di Brumadinho e volontari cominciano a presentare sintomi di contaminazione dal fango tossico.

4 febbraio: analisi della fondazione SOS Mata Atlântica confermano la morte del fiume Paraopeba.

8 febbraio: due altre città di Minas Gerais, sempre nella regione metropolitana di Belo Horizonte, con dighe della Vale, sono evacuate per rischio di rottura. Multe per l’assenza di piani di salvataggio di fauna silvestre e domestica.

12 febbraio: la giustizia rende pubblica l’informazione che documenti dell’impresa da ottobre 2018 avvisavano del pericolo di Brumadinho e di altre nove strutture minerarie a Minas (ma l’11 dicembre 2018 il Consiglio Statale (di Minas Gerais) delle Acque abbassava il livello di rischio).

17 febbraio: altre evacuazioni (cioè dislocati ambientali).

19 febbraio: il MAB/Movimento dei danneggiati dalle dighe (e il MAM/Movimento di sovranità popolare nella coltivazione mineraria) denunciano la difficoltà di negoziare con la Vale.

25 febbraio: 179 morti e 131 scomparsi sono le cifre brute delle perdite umane, incacolabile il danno ambientale e la perdita economica in una zona di agricoltura fiorente in prossimità di una grande città, infinito lo sconquasso delle vite dei sopravvissuti.

2 marzo: il presidente della Vale, Fabio Schvartsman, lascia temporaneamente l’incarico.

Inutile dire che la Companhia Vale di Rio Doce/CVRD, creata nel 1942 da Gétulio Vragas, è stata privatizzata a prezzi di saldo nel 1997, che da allora le norme di sicurezza (ad esempio la permanenza temporanea dei lagunaggi), i lavori di manutenzione e gli investimenti innovativi sono stati buttati alle ortiche. La remunerazione degli azionisti e dei dirigenti, invece, è rimasta alta o altissima. Nel bell’articolo degli economisti Luiz Gonzaga Belluzzo e Fernando Sarti Vale: uma empresa financeirizada in “Observatório da economia contemporânea”, 11 febbraio 2019, si legge: “I dati di distribuzione di valore aggiunto della Vale e di un campione di imprese provano l’adozione di una strategia aggressiva di massimizzazione del valore azionario. (…) La remunerazione annuale del presidente della Vale è stata di R$ (reais) 19 milioni nel 2017. L’ex presidente ha ricevuto fra remunerazione e indennizzazione 58,5 milioni. La media salariale della direzione è stata di 12,4 milioni. (…) A titolo di esempio, il rapporto fra la remunerazione della direzione e il più basso salario amministrativo è stato di 630 volte, mentre rispetto al salario di un ingegnere di 100 volte. La remunerazione variabile dei direttori, che rappresenta quasi il 75% del monte salari totale, è in gran misura associata all'evoluzione del prezzo delle azioni. A sua volta la valutazione delle azioni da parte degli agenti del mercato finanziario è associata ai risultati finanziari dell’impresa e all’adozione della strategia di massimizzazione del valore azionario. Quindi la convergenza di interessi di direttori e azionisti (e creditori) rafforza l’adozione della strategia di massimizzazione del valore azionario e della sua remunerazione, in detrimento degli interessi degli altri attori (funzionari, fornitori e governo) e della società in generale”.

La Fiat collaborò con la dittatura brasiliana

Mi permetto di segnalare un documentato articolo di Janaina Cesar, Pedro Grossi, Alessia Cerantola, Leandro Demori, giornalisti investigativi, dal titolo Como a Fiat colaborou com a ditadura brasileira sul sito del periodico The Intercept Brasil, del 25 febbraio. Il sottotitolo informa:

Non è stata solo la Volks*: di fronte a un grande sciopero nel 1979, la fabbrica italiana organizzò uno schema di spionaggio per controllare i suoi dipendenti, con ampio aiuto del sistema di repressione brasiliano. (…) Il colonnello Joffre Mario Klein, militare della riserva, entrò nella fabbrica addirittura prima dell’inaugurazione: aveva la missione di comandare il sistema interno di repressione, uma struttura creata dalla stessa Fiat, della quale i lavoratori della fabbrica nulla sapevano, battezzata Sicurezza e Informazioni. Obiettivo della divisione, che operava in modo clandestino, era schedare i dipendenti e negoziare il loro destino con la dittatura (militare 1964-1984). Indicato dal Servizio Nazionale di Inormazioni/SNI, nucleo centrale dello spionaggio del governo federale dell’epoca, Klein divenne amico personale di Adolfo Martins da Costa, primo presidente della Fiat in Brasile. «Nessuno era assunto senza che mio marito lo sapesse», racconta Maria Antonietta Klein, vedova di Joffre, morto nel 2008. Ella conversò con il reportage in due occasioni, nel giugno 2017 a casa sua e in ottobre per telefono.

L’articolo, molto preciso, continua illustrando il sistema di controllo e repressione interno della grande fabbrica Fiat di Betim, vicino a Belo Horizonte.

*Il documentato caso della repressione interna alla Volkswagen Brasile è oggetto di processo e risarcimento ed è stato raccolto  anche negli atti della CNV/Commissione nazionale verità giustizia memoria (2011-2014).

Fonti: Brasil de Fato, 25/2/2019; The Intercept Brasil 25/2/2019

Organizzazione e traduzione di Teresa Isenburg

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato