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Cuba sotto attacco a colpi di fake news "Falsa e infondata". Così il viceministro degli Esteri cubano, Carlos Fernández de Cossío, ha definito l'informazione pubblicata l'8 giugno su The Wall Street Journal, secondo la quale Cina e Cuba hanno concordato segretamente l'installazione sull'isola di un servizio di spionaggio elettronico cinese, in grado di intercettare le comunicazioni di diverse basi militari terrestri nel sud-est degli Stati Uniti e di tutto il traffico marittimo nella regione. Come compenso l'Avana riceverebbe svariati miliardi di dollari. Le fonti, di cui ovviamente non viene rivelata l'identità, sarebbero funzionari di intelligence con accesso a dati segreti. "Cuba rifiuta la presenza militare straniera nella regione", ha affermato Fernández de Cossío ricordando che il suo paese ha sottoscritto, nel gennaio 2014, il Proclama de América Latina y ei Caribe como Zona de Paz. Non è certo la prima volta che da Washington vengono diffuse simili calunnie, ha aggiunto, menzionando "i presunti attacchi acustici contro personale diplomatico statunitense, la menzogna su un'inesistente presenza militare cubana in Venezuela e quella sull'esistenza immaginaria di laboratori di armi biologiche". "Disinformazione e calunnia sono tattiche statunitensi", ha commentato dal canto suo Pechino. Nonostante le smentite e la mancanza assoluta di prove o riscontri, la notizia è stata ripresa dai principali media di tutto il mondo, dalla Cnn al Guardian al País. Una fake che potrebbe essere un'ulteriore giustificazione al pesante bloqueo cui l'isola è sottoposta. Guarda caso una situazione simile avviene tutte le volte che si prospettano timide aperture nei rapporti Usa-Cuba: in maggio Biden aveva leggermente ammorbidito le sanzioni (inasprite da Trump e finora mantenute dall'amministrazione democratica), autorizzando un maggior numero di voli commerciali e viaggi e sospendendo il limite di mille dollari alle rimesse. A rincarare la dose, pochi giorni dopo lo 'scoop' di The Wall Street Journal, un funzionario statunitense (anche stavolta anonimo) ha affermato che un'unità di spionaggio di Pechino è già operante a Cuba almeno dal 2019. E il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha dato per scontata l'esistenza di questa installazione cinese sull'isola. A Blinken ha risposto il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, che dopo aver ancora una volta definito falsa l'informazione ha ribadito: "Cuba non è una minaccia per gli Stati Uniti né per nessun altro paese". Sono piuttosto gli Usa che "hanno imposto e dispongono di decine di basi militari nella nostra regione e mantengono inoltre, contro la volontà del popolo cubano, una base militare nel territorio che occupano illegalmente nella provincia di Guantánamo". E forse non è un caso che questi attacchi a colpi di fake news siano arrivati proprio nei giorni in cui, all’Avana, si firmava la tregua tra i rappresentanti dell’Eln, l’Ejército de Liberación Nacional, e il governo di Bogotá: una vittoria della tenace diplomazia cubana. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha ringraziato Cuba per l’ospitalità offerta per decenni alle delegazioni del suo paese impegnate nei colloqui di pace. Eppure nel 2021 Trump aveva reinserito l’isola nella lista degli Stati che "patrocinano il terrorismo" (lista da cui era stata cancellata durante l’amministrazione Obama), proprio con il pretesto del rifiuto cubano di estradare in Colombia i negoziatori dell’Eln, come richiesto dall’allora presidente di destra Iván Duque. Alla pretesa di Duque l’Avana aveva risposto negativamente, attenendosi "al pieno rispetto dei Protocolli del Dialogo di Pace", che garantiscono la sicurezza ai delegati delle parti anche in caso di rottura del negoziato. L’inclusione di Cuba nella lista nera statunitense costituisce dunque – sono parole dello stesso Petro - “un atto di ingiustizia diplomatica profonda”. (14/6/2023)
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a cura di Nicoletta Manuzzato |