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Diritti umani, da Roma 140 mandati di cattura  (24/12/2007)

Banco del Sur, un'alternativa al Fondo Monetario  (9/12/2007)

Un monarca al Vertice Iberoamericano  (18/11/2007)

Diritto all'aborto tra progressi e passi indietro  (28/9/2007)

Botero: "Il bisogno di testimoniare"  (18/7/2007)

La Comunidad Andina tratta con l'Europa  (14/6/2007)

Un Vaticano sempre più distante  (14/5/2007)

Prove tecniche di integrazione  (30/4/2007)

Viaggio e... controviaggio  (14/3/2007)

La scomparsa dell'antropologa Aura Marina Arriola  (18/2/2007)

L'Italia torna in America Latina  (28/1/2007)

Cerimonie di insediamento a Caracas e Managua  (10/1/2007)

 

Argentina

Primi test per Cristina  (15/12/2007)

Un omaggio alle Madres de Plaza de Mayo  (10/12/2007)

Da primera dama a presidenta  (31/10/2007)

Ergastolo per il sacerdote genocida  (10/10/2007)

Il "Berlusconi argentino" governerà Buenos Aires  (25/6/2007)

Una militante della memoria  (10/5/2007)

 

Bolivia

Un paese spaccato in due  (17/12/2007)

La battaglia di Sucre  (3/12/2007)

Tra Italia e Bolivia il caso Telecom  (13/11/2007)

Paralisi della Costituente e progetti golpisti  (10/11/2007)

Le difficoltà della trasformazione  (28/3/2007)

 

Brasile

Dom Cappio contro Lula  (20/12/2007)

Il nuovo governo Lula  (24/3/2007)

 

Cile

Il clan Pinochet vince il primo round  (26/10/2007)

Un anniversario di violenza  (12/9/2007)

Verso un maggior impegno sociale?  (22/5/2007)

 

Colombia

Ingrid Betancourt è viva  (2/12/2007)

La sinistra conquista le principali città  (29/10/2007)

Lo scandalo della parapolitica  (27/4/2007)

 

Costa Rica

Vince il sì tra accuse di brogli  (9/10/2007)

 

Cuba

I problemi del "dopo Fidel"  (31/12/2007)

 

Ecuador

Dayuma divide la maggioranza  (12/12/2007)

La nascita del correismo  (5/10/2007)

Il vicepresidente Moreno a Milano  (14/9/2007)

"L'Ecuador sta vivendo un momento magico"  (14/7/2007)

Consenso popolare per Correa  (25/4/2007)

Incidente o attentato?  (26/1/2007)

 

El Salvador

Monsignor Romero, il sovversivo  (19/2/2007)

 

Guatemala

La vittoria di Colom  (5/11/2007)

Culto e mondanità  (27/5/2007)

Da Adela a Rigoberta  (1/4/2007)

 

Messico

Bilancio negativo per il governo Calderón  (29/12/2007)

Un piano per la sicurezza di chi?  (26/10/2007)

In corteo per le pensioni  (21/5/2007)

Aborto: niente scomunica per i parlamentari  (1/5/2007)

 

Paraguay

Lugo candidato unitario  (17/6/2007)

 

Perù

García difende l'ex dittatore  (30/12/2007)

Un governo sempre più a destra  (20/12/2007)

Firmato il Tlc con gli Usa  (14/12/2007)

Una condanna per Fujimori  (11/12/2007)

Primi giorni di carcere per Fujimori  (24/9/2007)

L'affare della ricostruzione  (17/9/2007)

 

Uruguay

Una legge per le coppie di fatto  (19/12/2007)

 

Venezuela

Le ragioni di una sconfitta  (4/12/2007)

Un piano per il petrolchimico  (23/9/2007)

Il Venezuela verso il recupero delle risorse nazionali  (26/6/2007)

La guerra delle tv  (1/6/2007)

Verso una democrazia partecipativa  (28/2/2007)

 


Cuba, i problemi del "dopo Fidel"

Fidel Castro è tornato a rivolgersi ai cubani in un messaggio pubblicato su Juventud Rebelde. Alla vigilia dell'Anno Nuovo, celebrando "un altro anniversario di quella stupenda alba di 49 anni fa in cui trionfò la nostra Rivoluzione", ha ribadito la decisione di lottare per "il diritto alla vita e alla sana allegria della nostra Patria". Due settimane prima il leader cubano, in un messaggio che era stato letto in tv, si era soffermato sulla sua attività futura: "Il mio dovere elementare non è afferrarmi a incarichi, né tanto meno sbarrare il passo a persone più giovani - aveva detto - ma apportare esperienze e idee, il cui modesto valore proviene dall'epoca eccezionale che mi è toccato vivere". Secondo la maggioranza degli osservatori, indicava in tal modo la sua intenzione di continuare a scrivere articoli e a fornire consulenze al governo, senza assumere incarichi ufficiali. Lo confermerebbero le parole del vicepresidente Carlos Lage: "Un mondo minacciato dalle guerre, dai danni del clima, dall'esaurimento di risorse naturali come il combustibile, ha bisogno di cittadini responsabili e Fidel è consacrato a questo importantissimo compito di creare coscienza".

Castro non si è finora pronunciato sul rinnovo delle cariche pubbliche in corso sull'isola. Il 2 dicembre le 169 assemblee municipali hanno scelto i candidati ai 614 seggi dell'Assemblea Nazionale per le elezioni del 20 gennaio: tra i designati anche Fidel e Raúl. Quest'ultimo, parlando dello stato di salute del fratello, ha recentemente detto: "È nel pieno delle sue facoltà mentali, anche se ha ancora qualche piccola limitazione fisica". E ha aggiunto: "Non lo disturbiamo con problemi di piccolo conto, ma chiediamo il suo parere su tutte le questioni principali".

Raúl ha ammesso che l'uscita di Fidel dalla scena pubblica nel luglio 2006 ha posto "nuovi problemi", che si stanno gradualmente affrontando. Facendo un bilancio della situazione economica, il ministro José Luis Rodríguez ha spiegato che l'aumento del pil non ha raggiunto il previsto 10%, ma si è fermato al 7,5%, a causa dei disastri naturali che hanno colpito l'agricoltura e gran parte delle infrastrutture e per l'arretratezza sistematica della produzione di alcuni beni di consumo.

Più preoccupante la denuncia fatta in novembre dalla dirigenza del sindacato nazionale del settore sanitario, in un rapporto pubblicato sul settimanale Trabajadores: carenza di personale, episodi di corruzione e richiesta di pagamento per le prestazioni, che dovrebbero essere completamente gratuite, hanno portato a un abbassamento della qualità del servizio. Le cure prestate non sempre corrispondono "alle notevoli risorse destinate dal paese a queste istituzioni, ragion per cui è necessario riscattare i valori etici della medicina rivoluzionaria". Le critiche della popolazione sulle insufficienze e sulla scarsa igiene dei servizi medici sono costanti: Juventud Rebelde segnalava la mancanza di tecnici e apparecchiature in 22 ambulatori dentistici di sei province e le lamentele dei pazienti per casi di favoritismo.

31/12/2007


Perù, García difende l'ex dittatore

Il presidente Alan García - che già si sforza di garantire un trattamento di favore ad Alberto Fujimori, sotto processo per violazione dei diritti umani - è sceso subito in campo per difendere l'ex dittatore Francisco Morales Bermúdez. Il nome di Morales Bermúdez compare nei mandati di cattura spiccati dalla giudice italiana Figliola contro i responsabili del famigerato Plan Cóndor, insieme a quelli dell'ex generale Pedro Richter (ai tempi capo delle forze armate e primo ministro) e di altri due funzionari governativi.

Morales è accusato del sequestro di tre cittadini argentini: Noemí Esther Gianotti, di origine italiana, María Inés Reverta e Julio César Ramírez, ma García (forse nel timore che alla scadenza dell'attuale mandato qualcuno tiri fuori i suoi scheletri dall'armadio) gli ha offerto la protezione dell'esecutivo per evitare l'estradizione. "Gli daremo tutto l'aiuto necessario", ha detto il 28 dicembre riferendosi all'ex dittatore, che ha definito "una personalità degna di rispetto". E due giorni dopo ha rincarato la dose: non permetteremo che "gentucola che vuole solo cose negative e tragiche cerchi di fare a pezzi la nostra patria".

"Il Perù non ha mai fatto parte dell'Operación Cóndor", si è difeso dal canto suo Morales Bermúdez, ma il triplice sequestro - avvenuto nel 1980, poco prima del suo abbandono del potere - dice il contrario. María Inés Reverta e Julio César Ramírez furono probabilmente consegnati al regime argentino e figurano ancor oggi tra i desaparecidos, mentre il cadavere di Noemí Esther Gianotti venne fatto rinvenire in un albergo di Madrid: si voleva far credere che fosse giunta libera e di sua volontà nella capitale spagnola. Morales, che ora ha 86 anni, aveva abbattuto nel 1975 il governo progressista del generale Juan Velasco Alvarado. Nel 1980, sotto la spinta di proteste di massa, convocò libere elezioni e in luglio lasciò il posto al presidente eletto Fernando Belaúnde Terry.

30/12/2007


Messico, bilancio negativo per il governo Calderón

Il primo anno di governo Calderón si chiude con un bilancio negativo sul piano della lotta al crimine organizzato, su cui il contestato presidente aveva puntato tutte le sue carte. Dal primo dicembre 2006 al 30 novembre 2007 si sono registrati 2.794 omicidi, che hanno interessato quasi tutti gli Stati (unica eccezione: lo Stato di Colima), con una media di 7,6 assassinati al giorno. E il Natale non ha portato la pace: tra il 21 e il 26 dicembre le persone abbattute dai narcos sono state cinquanta (compresi quattro militari e cinque agenti di polizia). Altri sette poliziotti sono caduti il 28, nello Stato di Zacatecas, in uno scontro con la famigerata banda de Los Zetas.

La mobilitazione dell'esercito nella lotta alla criminalità non è servita a frenare la spirale della violenza, mentre si moltiplicano le denunce di violazioni dei diritti umani. E in dicembre la Camera (con il voto di Pan, Pri e gran parte del Prd) ha detto sì a una riforma del sistema giudiziario che - una volta approvata dal Senato - permetterà la perquisizione di abitazioni e l'arresto senza mandato, le intercettazioni e il fermo fino a 40 giorni di qualsiasi persona sospetta.

Per quanto riguarda la situazione economica e sociale, se il presidente ostenta ottimismo le cifre non sembrano dargli ragione: la disoccupazione è in aumento, i prezzi degli alimenti sono cresciuti del 40% e l'inizio del 2008 vedrà il rialzo dei combustibili e la completa liberalizzazione delle importazioni di mais e fagioli, in base a quanto stabilito dal Tlcan, il Tratado de Libre Comercio de América del Norte. Un colpo mortale all'agricoltura messicana, impossibilitata a competere con i prodotti statunitensi che godono di ampie sovvenzioni statali. La conseguenza prevedibile sarà un maggiore flusso di indocumentados attraverso la frontiera nord, nel tentativo di trovare lavoro negli Stati Uniti: un tentativo che nel 2007 è costato la vita a 562 persone.

29/12/2007


Diritti umani, da Roma 140 mandati di cattura

Un segnale importante per quanti nel mondo lottano in difesa dei diritti umani. Lunedì 24 la magistrata romana Luisiana Figliola ha emesso 140 mandati di cattura a carico di militari argentini, boliviani, brasiliani, cileni, paraguayani, peruviani e uruguayani, accusati della scomparsa di 25 cittadini italiani. Tra i ricercati, i principali responsabili delle sanguinose dittature degli anni Settanta: gli argentini Jorge Rafael Videla ed Emilio Massera, l'uruguayano Juan María Bordaberry, il cileno Manuel Contreras. Una delle ordinanze di custodia cautelare è stata subito eseguita: l'ex membro dei servizi di spionaggio della marina uruguayana Néstor Jorge Fernández Tróccoli è stato arrestato a Salerno, dove abitava da anni. È accusato della scomparsa di quattro italiani (oltre che di trenta uruguayani).

I 140 mandati erano stati sollecitati dal pubblico ministero Giancarlo Capaldo, che dal 1998 indaga sul Plan Cóndor dietro denuncia dei familiari di alcuni desaparecidos. In base ai documenti raccolti da Capaldo, esistono elementi sufficienti a provare la collaborazione tra i diversi regimi militari per l'eliminazione fisica degli oppositori. Già nel marzo di quest'anno la Corte d'Appello di Roma aveva condannato all'ergastolo in contumacia i repressori argentini Alfredo Astiz, Jorge Tigre Acosta, Jorge Vildoza, Antonio Vañek ed Héctor Febres (quest'ultimo morto il 10 dicembre in patria, mentre era rinchiuso in prigione). E nel 2000 la giustizia italiana aveva comminato l'ergastolo, sempre in contumacia, ai generali Guillermo Suárez Mason e Santiago Riveros.

Secondo il presidente dell'Asociación Argentina Pro Derechos Humanos di Madrid, Carlos Slepoy, il provvedimento giudiziario di Luisiana Figliola, che per la prima volta riguarda un numero così grande di repressori di diversi paesi, avrà "un effetto di esempio e di contagio", contribuendo ad accelerare i processi in Argentina. E proprio qui il 28 novembre Jorge Rafael Videla, Cristino Nicolaides, Luciano Benjamín Menéndez, Eduardo Albano Harguindeguy, Ramón Díaz Bessone, Santiago Omar Riveros, Antonio Domingo Bussi e altre dieci persone sono state rinviate a giudizio per la loro partecipazione al Plan Cóndor. Sempre in Argentina il 18 dicembre è stata emessa la prima sentenza contro alti ufficiali dopo l'annullamento delle leggi dell'impunità. Sette militari (Waldo Carmen Roldán, Pascual Guerrieri, Carlos Gustavo Fontana, Jorge Luis Arias Duval, Cristino Nicolaides, Juan Carlos Gualco, Santiago Manuel Hoya) e un civile, l'ex agente dello spionaggio Julio Simón, sono stati condannati a pene varianti dai 20 ai 25 anni di prigione per il sequestro di sei persone.

Due giorni dopo la condanna, Santiago Manuel Hoya è morto all'Ospedale Militare. Anche se il decesso pare avvenuto per cause naturali, non si può non pensare al caso di Héctor Febres e alla sua morte per avvelenamento. L'oscura fine di Febres, rendendo di pubblico dominio i privilegi di cui godevano i militari incarcerati per violazione dei diritti umani (celle dotate di ogni comodità e visite quotidiane di amici e parenti), ha prodotto comunque un primo risultato: le organizzazioni per i diritti umani hanno ottenuto che i condannati venissero trasferiti in penitenziari comuni.

Per quanto riguarda l'Uruguay, il 17 dicembre la magistratura ha decretato l'arresto dell'ex dittatore Gregorio Alvárez, accusato del trasferimento clandestino dall'Argentina e del conseguente assassinio di una ventina di prigionieri politici nel periodo 1977-78. Alvarez, che compirà presto 82 anni, fu a capo dell'esercito tra il febbraio del 1978 e il febbraio 1979 e governò in modo dittatoriale il paese dal settembre 1981 al 1985. Il procedimento contro di lui potrebbe aprire la porta a futuri processi per violazione dei diritti umani, grazie all'utilizzo - per la prima volta - del reato di desaparición forzada, inserito nella legislazione uruguayana solo nell'ottobre dello scorso anno.

24/12/2007


Perù, un governo sempre più a destra

Con una popolarità in discesa, il presidente Alan García ha attuato un rimpasto di governo che conferma il suo netto avvicinamento alla destra. Alla guida del gabinetto rimane Jorge del Castillo, molto apprezzato dalla classe imprenditoriale. L'impopolare Luis Alva resta al Ministero dell'Interno, nonostante le accuse di corruzione e di irregolarità (si è salvato da una mozione di censura in Parlamento grazie ai voti del gruppo fujimorista). E mantiene l'incarico anche il ministro dell'Economia Luis Carranza, neoliberista di ferro legato agli organismi finanziari internazionali. La sorpresa è invece costituita dalla nuova ministra della Giustizia Rosario Fernández, che come avvocata aveva difeso l'imprenditore Ernesto Schutz, processato per aver garantito l'appoggio del suo canale televisivo al regime autoritario di Fujimori, in cambio di oltre dieci milioni di dollari. Rifugiatosi a Buenos Aires nel 2001, Schutz vi era rimasto finché la giustizia argentina non aveva autorizzato la sua estradizione; era poi riuscito a fuggire in Svizzera, paese di cui ha la cittadinanza.

La scelta di Rosario Fernández non può non apparire inquietante, perché testimonia gli stretti legami che ormai intercorrono tra García e Fujimori. Tanto più che alla testa del Ministero della Produzione è stato confermato l'esponente dell'Opus Dei Rafael Rey, uno dei promotori della legge di amnistia del 1995 con cui il regime fujimorista favorì i membri del famigerato Grupo Colina (per i cui crimini Fujimori è attualmente sotto processo). Per quanto riguarda le altre nomine, Allan Wagner lascia il posto di ministro della Difesa per assumere la rappresentanza del Perù davanti alla Corte dell'Aia, che dovrà esaminare la controversia territoriale tra Lima e Santiago. Wagner sarà sostituito da Antero Flores Aráoz, ex presidente del Partido Popular Cristiano, la principale formazione dell'alleanza di destra Unidad Nacional che nel 2006 sostenne la candidatura presidenziale di Lourdes Flores. Fino ad oggi ambasciatore presso l'Organización de los Estados Americanos, Flores Aráoz è molto gradito ai settori più reazionari delle forze armate. Si è distinto per l'appoggio entusiastico alla proposta di García di reintrodurre la pena di morte, e per gli attacchi alla Corte Interamericana per i Diritti Umani, rea di aver condannato l'esecuzione di 42 prigionieri di Sendero Luminoso durante il governo Fujimori.

Completa il quadro l'arrivo al dicastero del Lavoro di Mario Pasco, avvocato legato ai settori imprenditoriali. Pasco sostituisce Susana Pinilla, che passa al Ministero della Donna e dello Sviluppo Sociale. L'economista dell'Apra Enrique Cornejo viene designato al dicastero dell'Alloggio e della Costruzione al posto di Hernán Garrido Lecca, nuovo titolare della Sanità. Da quest'ultimo Ministero è stato rimosso Carlos Vallejos, sotto accusa per appalti irregolari e soprattutto per la situazione di crisi in cui versano gli ospedali pubblici, dove alcuni pazienti hanno contratto l'Aids in seguito a trasfusioni con sangue infetto.

20/12/2007


Brasile, Dom Cappio contro Lula

Il vescovo Luiz Flávio Cappio ha deciso di interrompere lo sciopero della fame che attuava da oltre tre settimane contro il megaprogetto di deviazione del fiume São Francisco. Il 19 dicembre, sfinito dal lungo digiuno, Cappio aveva perso i sensi nell'apprendere la decisione della Corte Suprema, che annullava una precedente sentenza di sospensione dei lavori.

Il presidente Lula, che ha fatto persino appello al Vaticano per contenere la protesta del vescovo ribelle, sostiene che il progetto porterà acqua potabile a milioni di abitanti dell'arida regione del nordest. Ma gli ecologisti ribattono che a guadagnarci saranno unicamente i potentati economici e che la deviazione pone a rischio la biodiversità. Se l'obiettivo è di beneficare la popolazione più disagiata - affermano - esistono mezzi più efficienti ed economicamente meno cari. La costruzione di cisterne e canali più piccoli consentirebbero di distribuire acqua a 44 milioni di poveri a un terzo del costo previsto per il megaprogetto del São Francisco. In realtà, accusano gli ambientalisti, gran parte dell'acqua ottenuta con la gigantesca infrastruttura voluta dal governo verrebbe drenata dall'attività industriale e solo il 4% sarebbe destinato al consumo umano. Dom Cappio per ora sospende la sua estrema forma di protesta, ma ha già fatto sapere che non intende abbandonare la lotta.

20/12/2007


Uruguay, una legge per le coppie di fatto

L'Uruguay è il primo paese dell'America Latina a legalizzare le coppie gay. La Ley de Unión concubinaria, approvata il 18 dicembre dal Senato e che ora attende solo la ratifica del capo dello Stato, stabilisce per le coppie di fatto (sia etero che omosessuali) la possibilità - dopo cinque anni di convivenza - di iscriversi in un pubblico registro. Acquisiranno così i diritti e i doveri di una coppia sposata per quanto riguarda l'assistenza reciproca, la creazione di società di beni, l'eredità e la pensione di reversibilità.

Secondo dati ufficiali, la nuova norma beneficerà il 40% delle coppie del paese, che attualmente non godevano di alcun diritto. "È il frutto di quindici anni di lotta per ottenere il riconoscimento legale - ha commentato Clara Fassler, coordinatrice della ong Género y Familia, al quotidiano argentino Página/12 - La legge contiene però una lacuna: non menziona la possibilità che le coppie omosessuali adottino insieme un bambino o una bambina. In parte perché il tema non è ancora maturo per la società uruguayana". Il segretario del Colectivo Ovejas Negras, Mauricio Coitiña, definisce la nuova legge "molto positiva, perché va nella direzione dell'uguaglianza di genere", anche se individua un elemento negativo nella lunghezza del periodo di convivenza richiesto per la legalizzazione: nella città di Buenos Aires, ad esempio, sono necessari solo due anni.

19/12/2007


Bolivia, un paese spaccato in due

La giornata di sabato 15 dicembre, che ha visto due feste contrapposte, ben simboleggia le lacerazioni in atto nel paese. A La Paz, in Plaza Murillo, il presidente Morales ha ricevuto il testo della nuova Carta Magna dalle mani della presidente della Costituente, Silvia Lazarte, di fronte a diverse migliaia di contadini e indigeni. Nella regione della cosiddetta Media Luna, invece, si è celebrato lo statuto autonomista dei dipartimenti di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija. Di fronte a una simile situazione, appare destinato a cadere nel vuoto l'ennesimo appello alla riconciliazione lanciato da Morales. "È ora di iniziare il tema del dialogo", ha detto il capo dello Stato, sottolineando al tempo stesso che la base delle trasformazioni è la nuova Costituzione. Ed è proprio questa che l'opposizione intende respingere con tutti i mezzi, sia boicottando in Senato la convocazione del referendum popolare (ultimo atto per la ratifica del nuovo testo), sia ricorrendo a forme di protesta pacifiche e non. Accanto ai cortei e agli scioperi della fame, si moltiplicano le aggressioni e gli attacchi ai sostenitori del presidente Morales. Uno di questi episodi, avvenuto a Santa Cruz, è stato mostrato dai canali tv: un ex minatore di Siglo XX, è stato selvaggiamente picchiato da alcuni giovani appartenenti all'organizzazione di destra Unión Juvenil Cruceñista.

La proposta di Costituzione era stata approvata nel dettaglio, in una seduta di quasi 17 ore, dall'Assemblea Costituente, costretta a spostarsi a Oruro per il clima di violenza e di intimidazione creatosi a Sucre. Il dibattito era avvenuto sotto la protezione di migliaia di minatori, indigeni, contadini e membri di associazioni di quartiere. Avevano votato a favore due terzi dei 164 membri dell'Assemblea presenti (su un totale di 255). Verso mezzogiorno del 9 dicembre i deputati avevano terminato il loro lavoro con il canto dell'inno nazionale, seguito da abbracci, lacrime di commozione e danze improvvisate. "Ora la Bolivia è per tutti i boliviani", aveva annunciato la presidente Silvia Lazarte.

Tra gli elementi di novità più importanti del nuovo testo, la trasformazione della Bolivia in uno Stato plurinazionale, sociale e comunitario. Per la prima volta viene riconosciuta l'esistenza della componente indigena, che potrà governare i suoi territori in base ai propri usi e costumi. Sono previsti diversi sistemi di giustizia e il potere di veto sullo sfruttamento delle risorse naturali nelle aree indigene. La nuova Carta Magna riconosce il diritto alla proprietà privata, purché non pregiudichi l'interesse collettivo, e proibisce il monopolio e l'oligopolio. Ogni investimento straniero dovrà rispettare le leggi nazionali e le relazioni economiche con Stati o imprese straniere saranno improntate all'indipendenza e al mutuo rispetto. Morales ha invece rinunciato alla proposta di rielezione indefinita del presidente, che alla scadenza del mandato potrà essere rieletto una sola volta.

E intanto una dimostrazione che la Bolivia sta veramente cambiando viene dalle aule giudiziarie: il 12 dicembre tre ex militari, collaboratori dell'ex dittatore García Meza, sono stati condannati a trent'anni di carcere per ribellione armata, sedizione e per l'uccisione dei sindacalisti Carlos Flores Bedregal e Gualberto Vega Yapura e del leader socialista Marcelo Quiroga Santa Cruz (i cui resti non sono mai stati ritrovati). Pene minori sono state comminate ad altri tredici imputati.

17/12/2007


Argentina, primi test per Cristina

Héctor Febres, ex ufficiale di marina accusato di violazione dei diritti umani durante la dittatura, è stato rinvenuto morto nella lussuosa e comoda cella in cui era rinchiuso e in cui riceveva quotidianamente la visita dei familiari. Causa del decesso: arresto cardiaco per ingestione di un'ingente quantità di cianuro. Entro pochi giorni sarebbe stato quasi sicuramente condannato per la sua attività di torturatore e assassino. Ma pochi credono all'ipotesi del suicidio: si pensa piuttosto che a chiudergli la bocca, impedendogli di fare il nome di eventuali complici, siano stati gli stessi che nel settembre del 2006 fecero sparire Julio López, il principale testimone contro l'ex commissario Miguel Etchecolatz.

La sentenza contro Febres, già condannato in contumacia in Italia per l'uccisione di tre cittadini di origine italiana, sarebbe stata la prima nei confronti di un militare della Esma, la famigerata Escuela de Mecánica de la Armada. Questo elemento, e il fatto che la morte sia avvenuta proprio il giorno dell'insediamento della nuova presidente, hanno fatto parlare di una sorte di dichiarazione di guerra a Cristina Fernández, che nel suo primo discorso aveva auspicato una pronta conclusione dei processi contro gli ex repressori.

Nel frattempo il nuovo governo deve superare un altro test: la prima controversia con gli Stati Uniti, in seguito alla cattura a Miami di tre venezuelani e un uruguayano (una quinta persona è latitante) per cospirazione a favore di un paese straniero. La vicenda era iniziata il 4 agosto quando a Buenos Aires il passeggero di un volo proveniente da Caracas, l'imprenditore Guido Antonini Wilson, veniva scoperto con 800.000 dollari in contanti nascosti nelle valigie. Liberato qualche giorno dopo, Antonini si recava a Miami, mentre il denaro veniva confiscato. Ora l'Fbi accusa gli arrestati di essere agenti di Chávez e afferma che il loro compito era quello di garantirsi il silenzio di Antonini sugli 800.000 dollari, provenienti dal governo di Caracas e destinati alla campagna elettorale di Cristina Fernández.

La risposta di quest'ultima alle insinuazioni di Washington è stata immediata e durissima: senza menzionare gli Stati Uniti, ha parlato dei "letamai della politica internazionale", aggiungendo: "Più che paesi amici vogliono paesi dipendenti". E per non lasciar adito a dubbi, ha precisato che non si lascerà intimidire: "Continuerò ad affermare il nostro rapporto di amicizia con tutti i paesi latinoamericani, compresa la Repubblica Bolivariana del Venezuela". A questo punto una cosa è certa: l'invito a Washington, fatto per telefono da George Bush alla neopresidente nel momento del suo trionfo elettorale, resterà a lungo lettera morta.

15/12/2007


Perù, firmato il Tlc con gli Usa

Il Tratado de Libre Comercio tra Perù e Stati Uniti è ormai una realtà: è stato firmato il 14 dicembre a Washington da George Bush e Alan García. Quest'ultimo, trionfante, ha parlato di "un grande giorno per la democrazia e la giustizia sociale". Accenti ben diversi da quelli che usava negli anni Ottanta, quando invitava i paesi della regione a ribellarsi al sistema finanziario internazionale e a non pagare il debito estero. Anche durante la sua ultima campagna elettorale García si era espresso in tutt'altro modo, prima di convertirsi alle meraviglie del libero mercato che a suo dire incrementeranno "occupazione e salari".

Le trattative per il Tlc erano iniziate nell'aprile del 2006, all'epoca del governo Toledo. L'accordo era stato subito ratificato dal Parlamento peruviano, mentre il Congresso statunitense lo ha approvato solo nelle ultime settimane. In contrasto con il trionfalismo del capo dello Stato, la firma è stata accolta negativamente da molti settori della popolazione: in novembre decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare. E se il trattato avvicina Lima a Washington, allontana il Perù dagli altri paesi della regione e mette in crisi la Comunidad Andina de Naciones, dove Bolivia ed Ecuador sono assai critici sulla questione.

Non è vero che il Tlc, consentendo il libero accesso al mercato nordamericano, avrà sull'occupazione quelle ripercussioni positive promesse dal governo, spiega l'economista Pedro Francke in un'intervista al quotidiano argentino Página/12. Già da vari anni, infatti, i prodotti peruviani entrano negli Stati Uniti senza pagare dazi grazie all'Aptdea, l'accordo preferenziale con i paesi andini istituito nel quadro della lotta contro la droga. Secondo Francke, il trattato avrà invece contraccolpi negativi sull'80% dei contadini delle zone andine, che non potranno reggere la concorrenza con i prodotti agricoli statunitensi ampiamente sussidiati in patria. Senza considerare il probabile rialzo dei prezzi dei farmaci a causa dell'estensione della durata dei brevetti, e la clausola che impedisce l'imposizione alle imprese statunitensi di nuove imposte o di provvedimenti che in qualche modo intacchino i profitti previsti.

14/12/2007


Ecuador, Dayuma divide la maggioranza

La repressione militare delle agitazioni a Dayuma, villaggio della provincia di Orellana dove dal 29 novembre vige lo stato d'emergenza, ha provocato la prima crisi tra il presidente Correa e i rappresentanti della maggioranza nell'Assemblea Costituente. Correa ha minacciato di dimettersi di fronte alla possibilità che la Costituente decreti un indulto a favore degli arrestati, che con la loro protesta hanno determinato un calo nella produzione statale di petrolio.

Il presidente della Costituente, Alberto Acosta, aveva annunciato un'inchiesta sul comportamento dei militari nei confronti della popolazione, che da tempo si batte per ottenere le infrastrutture promesse. La risposta di Correa è stata durissima: una tale indagine costituirebbe "una pugnalata alla schiena". Tra i detenuti figura la prefetta di Orellana, Guadalupe Llori. Il capo dello Stato ha difeso il comportamento della forza pubblica e ha affermato che dietro la protesta di questa provincia vi sono "mafie criminali, politicanti che manipolano alcune comunità". Gli abitanti sostengono invece che i soldati sono entrati con la forza nelle case, colpendo indiscriminatamente donne e bambini e arrestando gli uomini. La vicenda ha portato alla rinuncia del ministro dell'Interno Gustavo Larrea, considerato la mente della "rivoluzione civica" in corso nel paese. Prima di lui erano stati destituiti i ministri Héctor Villagrán (Opere Pubbliche), Janeth Sánchez (Inclusione Sociale) e Mauricio Dávalos (Produzione). E dopo Larrea si è dimessa - ufficialmente per ragioni di salute - la ministra degli Esteri María Fernanda Espinosa.

I lavori della Costituente si erano aperti proprio il 29 settembre nella località di Montecristi, a 500 chilometri da Quito. Alla guida dell'Assemblea i tre deputati più votati dagli elettori: oltre al presidente Alberto Acosta, i vicepresidenti Fernando Cordero e Aminta Buenaño. Poiché si è deciso che per l'approvazione degli articoli basterà la maggioranza semplice, il raggruppamento del presidente Correa Alianza País, che conta su 73 seggi più 7 degli alleati (su un totale di 130 eletti), non sarà costretto a trattare con gli avversari per redigere la nuova Carta Magna. Il partito di governo ha più volte ribadito che la Costituente detiene i pieni poteri e si pone al disopra di tutte le istituzioni in funzione.

Il 30 novembre, giorno dell'apertura ufficiale, Correa aveva invitato i legislatori a concretizzare "un cambiamento radicale" per consolidare "la rivoluzione civica". La cerimonia aveva visto anche un omaggio al padre della Patria Eloy Alfaro, leader della rivoluzione liberale del XX secolo: le ceneri di Alfaro erano state riportate nella terra natale e depositate in un museo-mausoleo. Intanto però l'opposizione si prepara a dare battaglia intorno alla richiesta di autonomia di Guayaquil, il centro economico e imprenditoriale del paese. Il sindaco di Guayaquil Jaime Nebot, del Partido Social Cristiano, ha già lanciato un appello a non obbedire alle riforme costituzionali, almeno fino a che non saranno sancite dal referendum definitivo.

Tra le proposte di riforma prefigurate da Alianza País vi è l'abolizione degli accordi grazie ai quali le imprese straniere possono appellarsi ad arbitrati internazionali per le controversie economiche. Un caso emblematico è quello della petrolifera Usa City Oriente. La compagnia, che estrae 3.000 barili di greggio al giorno, ha presentato ricorso al Ciadi (istanza della Banca Mondiale) contro il recente provvedimento del governo di Quito che riserva allo Stato il 99% dei profitti straordinari derivanti dall'estrazione del petrolio. All'approvazione della Costituente verranno poi sottoposte misure per combattere le pratiche monopolistiche, rilevanti nel settore delle telecomunicazioni (dove sono presenti la banca ecuadoriana e il magnate messicano Carlos Slim) e in quello del cemento (dove hanno investito Francia e Svizzera). Infine si proporrà la confisca dei beni ottenuti attraverso malversazioni e l'espropriazione con indennizzo delle terre improduttive. L'Assemblea avrà sei mesi di tempo per redigere la nuova Costituzione, che dovrà essere sottoposta a referendum alla fine del 2008.

12/12/2007


Perù, una condanna per Fujimori

Prima condanna per l'ex presidente-dittatore Alberto Fujimori. Un tribunale speciale della Corte Suprema gli ha inflitto sei anni di prigione per usurpazione di funzioni e abuso d'autorità: aveva ordinato la perquisizione illegale dell'abitazione di Trinidad Becerra, moglie del suo braccio destro Vladimiro Montesinos. Dalla casa furono prelevate decine di casse e valigie, contenenti tra l'altro i famigerati vladivideos, i filmati con cui Montesinos documentava, a scopo di ricatto, la corruzione dei più importanti esponenti della politica e della magistratura.

Contro Fujimori è intanto in corso il procedimento, iniziato nella data simbolica del 10 dicembre (Giorno Internazionale dei Diritti Umani), per i delitti compiuti dal Grupo Colina, lo squadrone della morte formato durante il suo governo da membri dell'esercito. In particolare il processo verte sul massacro di quindici persone, tra cui un bambino, avvenuto nel 1991 in una modesta casa del centro di Lima, e sull'uccisione di nove studenti e un professore dell'Università La Cantuta nel 1992. L'ex dittatore dovrà inoltre rispondere del sequestro di due oppositori, il giornalista Gustavo Gorriti e l'imprenditore Samuel Dyer, arrestati illegalmente nel 1992 e rimasti per diversi giorni rinchiusi in installazioni militari prima di essere liberati.

Fujimori non potrà invece essere giudicato per l'autogolpe dell'aprile 1992; il caso non rientra nell'estradizione concessa dal Cile. Dieci ex ministri, accusati di aver appoggiato l'autogolpe, erano stati condannati a fine novembre dalla Corte Suprema a pene dai quattro ai dieci anni di prigione. Si era trattato della prima sentenza di un tribunale peruviano contro autori e complici di un colpo di Stato. L'ex ministro dell'Interno Juan Briones aveva ricevuto la condanna più dura perché riconosciuto colpevole di sequestro: la notte del golpe arrestò arbitrariamente dirigenti politici, sindacali e sociali. Gli altri nove imputati erano stati considerati complici secondari: secondo la Corte seppero del colpo di Stato solo quella notte stessa. L'unico membro del gabinetto a non salire sul banco degli imputati era stato il primo ministro Alfonso de los Heros, che all'epoca si oppose al golpe e rinunciò all'incarico.

11/12/2007


Argentina, un omaggio alle Madres de Plaza de Mayo

Cristina Fernández è la presidente dell'Argentina. La cerimonia di insediamento si è tenuta nella sede del Parlamento, alla presenza di nove capi di Stato latinoamericani, del Principe delle Asturie e di rappresentanti di numerosi paesi. La nuova presidente ha poi tenuto il suo primo discorso ufficiale, parlando a lungo senza mai ricorrere al testo scritto. In politica estera ha auspicato il pronto ingresso del Venezuela nel Mercosur e ha ripetuto la rivendicazione argentina sulle Malvinas. Ha poi "tirato le orecchie" all'uruguayano Tabaré: dopo averlo salutato come un fratello, gli ha ricordato che l'insediamento della Botnia al confine tra i due paesi costituisce una violazione del Tratado del Río Uruguay. In politica interna ha ribadito le linee direttrici del governo Kirchner: un "capitalismo sano", che grazie alla buona congiuntura economica alimenta l'industria nazionale e riduce povertà e disoccupazione. Ha infine reso un particolare omaggio alle Madres e alle Abuelas de Plaza de Mayo, sottolineando la necessità che giungano presto a conclusione, dopo trent'anni di attesa, i processi contro i responsabili "del maggior genocidio della nostra storia".

Già a metà novembre Cristina Fernández aveva presentato la sua compagine di governo, che si annuncia all'insegna della continuità. Sono stati confermati nell'incarico il capo di gabinetto Alberto Fernández, Julio De Vido alla Pianificazione, Nilda Garré alla Difesa, Jorge Taiana agli Esteri, Alicia Kirchner allo Sviluppo Sociale, Carlos Tomada al Lavoro. Tra le novità, la nomina di Martín Lousteau - attuale presidente del Banco de la Provincia de Buenos Aires e considerato un keynesiano - a responsabile del dicastero dell'Economia. Il Ministero dell'Educazione, affidato a Juan Carlos Tedesco, sarà separato dal settore relativo a Scienza, Tecnologia e Innovazione Produttiva, alla guida del quale viene chiamato il chimico Lino Barañao. Aníbal Fernández passa dall'Interno (di cui sarà titolare Florencio Randazzo, ex ministro della provincia di Buenos Aires) alla Giustizia, mantenendo però la competenza sulle forze di sicurezza. Alla Sanità è stata nominata Graciela Ocaña. E dopo qualche giorno era stato rimosso il capo dei servizi segreti dell'esercito, generale Osvaldo Montero, accusato di aver ordito un complotto per "defenestrare" la ministra Garré. A tradire il generale erano state le registrazioni di alcune telefonate con funzionari del Ministero dell'Interno. Tra l'altro Montero è sotto inchiesta da aprile per sospetto arricchimento illecito.

10/12/2007


Banco del Sur, un'alternativa al Fondo Monetario

"Una speranza per i nostri paesi". Con queste parole il presidente boliviano Morales ha definito il Banco del Sur, che ha visto ufficialmente la luce il 9 dicembre a Buenos Aires. A firmare l'atto di nascita sei capi di Stato: oltre a Morales, l'argentino Kirchner, il brasiliano Lula, il paraguayano Duarte, l'ecuadoriano Correa, il venezuelano Chávez (mancava l'uruguayano Tabaré Vázquez, la cui firma era prevista per il giorno seguente).

Per Kirchner si è trattato dell'ultimo atto di governo prima di passare il bastone di comando alla moglie Cristina Fernández. Quest'ultima, prendendo la parola al termine della cerimonia, ha affermato che la Guerra della Triplice Alleanza della seconda metà dell'Ottocento, durante la quale Brasile, Argentina e Uruguay, spinti dalla Gran Bretagna, distrussero il Paraguay, fu in realtà una "guerra del triplice tradimento" all'idea di unità latinoamericana: un discorso non certo comune nei circoli ufficiali dei paesi coinvolti.

E l'obiettivo dell'unità latinoamericana fa da sfondo a questa nuova iniziativa, realizzata grazie alla tenacia del presidente Chávez e che si propone come alternativa al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale. Il Banco del Sur avrebbe dovuto partire a metà dell'anno in corso, ma la sua costituzione era stata rinviata per problemi con il Brasile. Avrà sede a Caracas, filiali a Buenos Aires e La Paz, un capitale iniziale di 7.000 milioni di dollari e sarà diretto dalle stesse nazioni latinoamericane, a differenza di quanto avviene per altri organismi (ad esempio il Banco Interamericano de Desarrollo). Al suo interno ogni paese avrà diritto a un voto a prescindere dalla sua forza economica: è questa una chiara vittoria del progetto venezuelano, che ha voluto diversificarsi dal modello della Banca Mondiale dove il controllo è concentrato in poche mani. Tra gli obiettivi dei due promotori (oltre a Chávez, l'argentino Kirchner), una completa ristrutturazione del sistema finanziario regionale, una maggiore autonomia dai mercati globali e in prospettiva una moneta unica.

9/12/2007


Venezuela, le ragioni di una sconfitta

Il referendum sulla nuova Costituzione ha rappresentato la prima sconfitta di Hugo Chávez dal 1998. Il "no" ai 69 articoli proposti ha vinto per uno stretto margine: neppure il 51% nel Blocco A e poco più del 51% nel Blocco B (gli elettori erano chiamati a pronunciarsi su due distinte parti: la prima comprendeva le proposte del presidente Chávez, la seconda gli articoli aggiunti dall'Assemblea Nazionale raccogliendo le richieste delle assemblee popolari).

A determinare il risultato del 2 dicembre è stato soprattutto l'alto tasso di astensionismo (44,9%), in controtendenza rispetto alle ultime consultazioni: la base sociale del chavismo ha mostrato di nutrire dubbi sul progetto di nuova Magna Carta e ha preferito non recarsi alle urne. Tutti gli osservatori concordano infatti su un aspetto: l'opposizione non ha accresciuto i propri consensi, anche se si è aggiudicata la vittoria grazie a una ritrovata unità, peraltro contingente (nel fronte del No erano confluiti gruppi e movimenti assai diversi, dagli imprenditori alla gerarchia cattolica, spesso ferocemente in guerra tra loro). Tra i sostenitori della Rivoluzione Bolivariana si sono invece manifestate numerose defezioni: i quadri intermedi, in particolare i governatori, che con la riforma avrebbero visto diminuire i propri poteri a favore di un maggiore controllo dal basso, non si sono spesi per la campagna elettorale.

A scrutinio non ancora concluso, ma quando ormai la tendenza era chiara, Hugo Chávez ha riconosciuto la sconfitta, ha parlato di "trionfo della democrazia" e ha ringraziato gli elettori di entrambi gli schieramenti. In tal modo ha smentito con i fatti la velenosa campagna dell'opposizione, che aveva puntato tutto sulla denuncia delle mire dittatoriali del presidente, e che ora si ritrova con le armi spuntate. Se ne sono resi conto gli esponenti più accorti dell'antichavismo, come Manuel Rosales e Teodoro Petkoff, che hanno lasciato da parte i toni trionfalisti per fare appello alla riconciliazione nazionale. Quanto al presidente Chávez, ha già ribadito che non intende ritirare "neppure una virgola" della sua proposta, anche se ammette: "Mi sono sbagliato nella scelta del momento strategico", forse i tempi non erano maturi "per un progetto apertamente socialista".

La decisione del governo di anticipare la proclamazione del risultato ha evitato ulteriori momenti di tensione. Non era un mistero per nessuno che - in caso di sconfitta - gli oppositori più intransigenti intendevano denunciare supposti brogli e dar vita a un vero e proprio piano eversivo. Come aveva rivelato un filmato del quotidiano digitale spagnolo La República, il Plan Refugio consisteva nel provocare disordini e caos in tutto il paese. E nelle settimane precedenti al voto si erano susseguiti gli incidenti e gli scontri, fino all'uccisione a fine novembre a Ciudad Alianza (Stato di Carabobo) di un giovane lavoratore che non voleva aderire a un blocco stradale antigovernativo. A manifestare contro la riforma erano stati soprattutto gruppi di studenti universitari. Quegli stessi gruppi che - scrive il 2 dicembre The Washington Post, sulla base di documenti ufficiali resi pubblici - hanno ottenuto cospicui finanziamenti dall'Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale Usaid.

Che cosa prevedeva la riforma bocciata alle urne? I media di tutto il mondo hanno messo l'accento sulle modifiche che avrebbero permesso a Chávez di candidarsi per un numero infinito di volte alla massima carica dello Stato e di sospendere le garanzie costituzionali in caso d'emergenza (crisi finanziarie, conflitti sociali, disastri naturali o sedizioni). Ma il progetto di nuova Costituzione bolivariana offriva molti altri spunti di interesse. Proponeva ad esempio di eliminare l'autonomia della Banca Centrale nei confronti del governo e di riservare allo Stato lo sfruttamento degli idrocarburi. Le ore di lavoro giornaliero erano ridotte a sei, veniva concessa la copertura previdenziale e assistenziale anche ai lavoratori informali ed era istituzionalizzato il Poder Popular, rappresentato dai Consejos Comunales. La riforma delle forze armate prevedeva la creazione della Milizia Nazionale Bolivariana. Venivano inoltre riconosciute, accanto a quella privata, altre forme di proprietà: "pubblica, sociale, collettiva, mista". Su questo punto, Chávez aveva difeso la decisione di mantenere la proprietà privata, anche contro il parere contrario di alcuni settori del governo: "La pretesa di eliminare di botto le proprietà produttive piccole e medie - aveva affermato - è stata la ragione del fallimento di esperienze socialiste come la Rivoluzione Sandinista del Nicaragua o come l'Unione Sovietica".

4/12/2007


Bolivia, la battaglia di Sucre

I movimenti popolari si preparano a scendere nuovamente in piazza di fronte alla crescente mobilitazione della destra. La settimana scorsa il paro cívico di 48 ore proclamato dall'opposizione dei dipartimenti di Pando, Santa Cruz, Sucre, Cochabamba, Beni e Tarija era stato contrassegnato da episodi di violenza (nel Pando, squadracce armate di bastoni avevano obbligato la popolazione ad aderire all'agitazione). Nel frattempo il Congresso, alle cui sedute l'opposizione si era rifiutata di partecipare, approvava finalmente la Renta Dignidad, pensione destinata agli ultrasessantenni e finanziata con il 30% dell'imposta diretta sugli idrocarburi, e deliberava che l'Assemblea Costituente potesse riunirsi in qualsiasi parte del paese, vista l'impossibilità di proseguire i lavori a Sucre.

Già a fine novembre la Plaza Murillo di La Paz si era riempita di migliaia di contadini, indigeni aymara, dirigenti sindacali e abitanti dei quartieri popolari, da una settimana in marcia per portare il loro sostegno al progetto costituzionale. Accompagnandoli lungo l'ultimo tratto di strada, Morales è tornato ad essere il leader dei cocaleros, il presidente della parte più povera della Bolivia, che chiede finalmente un vero cambiamento. Un cambiamento che le oligarchie tradizionali contrastano con tutte le loro forze: sabato 24, mentre nel Liceo Militare di Sucre 145 parlamentari dell'Assemblea Costituente (su 255) approvavano la prima bozza della nuova Costituzione, nel centro della città si svolgeva una vera e propria battaglia, con il bilancio finale di quattro morti (tre giovani e un funzionario di polizia) e decine di feriti. Alla base del conflitto la questione di Sucre capitale e le spinte autonomiste della regione orientale, strumentalizzate da chi vuole fermare la trasformazione del paese.

3/12/2007


Colombia, Ingrid Betancourt è viva

Una serie di lettere (di cui una indirizzata a Chávez) e cinque filmati sequestrati a tre guerriglieri catturati dalla polizia sono stati resi noti dal governo Uribe. Il materiale, in cui si documenta che Ingrid Betancourt e altri ostaggi sono ancora in vita, costituisce la prova che Chávez attendeva dalla guerriglia e che aveva promesso ai familiari dei sequestrati. Le immagini della Betancourt risalgono al 23-24 ottobre e la mostrano molto dimagrita, con lo sguardo perso nel vuoto. L'impressione è confermata da una lettera della stessa Ingrid Betancourt alla madre, in cui parla delle sue cattive condizioni di salute.

Le lettere e i filmati, prova lampante che la mediazione venezuelana stava dando i suoi frutti, hanno riacceso le critiche dei familiari nei confronti della decisione di Bogotá di escludere Hugo Chávez e la senatrice colombiana Piedad Córdoba dalle trattative per uno scambio umanitario. La revoca del mandato di mediazione era stata annunciata a sorpresa il 21 novembre dal presidente colombiano, che aveva rinfacciato a Chávez di aver contattato direttamente (nonostante il suo espresso divieto) gli alti comandi delle forze armate colombiane.

Il tutto era nato da un breve colloquio telefonico del presidente venezuelano con il comandante dell'esercito colombiano Mario Montoya (la chiamata era stata fatta dalla senatrice Córdoba, che poi l'aveva passata a Chávez). Che si trattasse di un pretesto era apparso subito evidente: come ha puntualizzato Piedad Córdoba, Uribe era perfettamente al corrente dei contatti stabiliti con i vertici militari. In realtà il presidente colombiano, che aveva accettato la mediazione solo per la pressione internazionale, cercava da tempo una scusa per tornare ad avere le mani libere, tanto più che né gli ambienti militari né Washington hanno mai visto di buon occhio l'intervento venezuelano.

La vicenda ha avuto pesanti ripercussioni diplomatiche: Caracas ha richiamato il suo ambasciatore a Bogotá per procedere a una valutazione dei rapporti bilaterali. E la reazione delle Farc non si è fatta attendere: in un comunicato, firmato dal comandante guerrigliero Iván Márquez, l'atteggiamento di Uribe viene definito "miserabile".

2/12/2007


Un monarca al Vertice Iberoamericano

Il XVII Vertice Iberoamericano, svoltosi a Santiago del Cile dall'8 al 10 novembre (e al quale è stata invitata, per la seconda volta consecutiva, anche l'Italia), sarà ricordato per la frase del re spagnolo a Chávez: "Perché non stai zitto?" Il monarca intendeva così mettere a tacere la voce del presidente venezuelano, che ricordava al premier spagnolo Zapatero il ruolo svolto dal suo predecessore Aznar nell'appoggiare il golpe dell'aprile 2002 in Venezuela.

Ma la discussione tra Chávez e Zapatero, con l'intervento poco regale di Juan Carlos, rischia di mettere in ombra gli altri momenti di questo incontro. Il principale obiettivo del vertice, su proposta della presidente cilena Bachelet, era quello di promuovere la "coesione sociale" nel continente latinoamericano: di fronte a una crescita delle economie della regione che supera quest'anno il 5%, la nuova sfida è la lotta alla disuguaglianza e alla povertà. Nel concreto è stato approvato un Accordo Iberoamericano sulla Sicurezza Sociale, per garantire agli immigrati nei paesi firmatari di unificare i loro apporti pensionistici. La Spagna ha poi promesso il finanziamento di un fondo per la distribuzione di acqua potabile. Tra le altre iniziative, da segnalare la proposta brasiliana di una Rete di Banche del Latte: il progetto mira a raccogliere latte materno in adeguate condizioni sanitarie per combattere la denutrizione e la mortalità infantile. Come ha detto Michelle Bachelet concludendo i lavori, per la prima volta è stata concordata una politica volta a garantire accesso universale ai servizi sociali.

Qualche timido passo avanti, dunque, cui si è aggiunta la critica aperta di Nicaragua, Argentina e Venezuela alle imprese spagnole sbarcate nella regione durante l'ondata neoliberista degli anni Ottanta e Novanta. Queste compagnie hanno ottenuto profitti eccezionali nei settori del petrolio, dell'energia elettrica, dei trasporti, delle comunicazioni, del sistema finanziario e ancora premono sui governi per un aumento delle tariffe. Quasi a comprovare tali denunce, la dichiarazione emessa al termine della riunione tra imprenditori spagnoli e locali (che si teneva contemporaneamente al vertice) sostiene che nel continente si sta generando "insicurezza giuridica" ed esprime giudizi negativi sui processi di trasformazione in corso in Bolivia, Ecuador e Venezuela.

Il Vertice è stato anche teatro di una serie di incontri (e scontri) bilaterali tra capi di Stato.

1) L'argentino Néstor Kirchner e l'uruguayano Tabaré Vázquez hanno aspramente discusso della questione Botnia. L'inizio dei lavori dell'impresa finlandese alla frontiera tra le due nazioni è stato autorizzato da Tabaré proprio durante la cumbre e questo fatto è stato definito da Kirchner "una pugnalata alle spalle" del suo popolo. Quanto al capo di gabinetto di Buenos Aires, VíctorFernández, ha qualificato l'Uruguay "aggressore". Da parte sua il governo di Montevideo ha deciso di chiudere il ponte che unisce i due paesi per evitare l'intervento degli ecologisti.

2) Il boliviano Evo Morales e la cilena Michelle Bachelet hanno parlato della richiesta di La Paz di uno sbocco al mare: il colloquio, però, non ha fatto registrare alcun progresso.

3) Bachelet si è riunita anche con il peruviano Alan García. I due capi di Stato si sono sforzati di mostrare un tono amichevole e disteso: García ha ringraziato il Cile per la recente restituzione al Perù di circa 3.800 volumi dell'epoca coloniale, sottratti dalla truppe cilene durante la Guerra del Pacífico (1879-1884) e ha ricordato la sanatoria decretata da Santiago un mese fa, di cui hanno beneficiato 15.000 lavoratori peruviani illegali. Il problema delle controversie territoriali tra i due paesi (per il quale alcune settimane fa Lima ha fatto ricorso alla Corte Internazionale dell'Aia) è stato solo sfiorato.

4) Il venezuelano Hugo Chávez e il colombiano Alvaro Uribe si sono scambiati informazioni sul negoziato in corso con le Farc. Al termine non sono state rilasciate dichiarazioni, ma l'incontro è stato centrato, con ogni probabilità, sui recenti contatti di Chávez con alcuni leader della guerriglia.

5) Da registrare infine il lungo colloquio tra Michelle Bachelet e Cristina Fernández, al suo debutto ufficiale come presidente eletta dell'Argentina. "È un segno del destino che, nonostante si tratti di una riunione multilaterale, il mio primo incontro con un capo di Stato estero avvenga con una donna e proprio con Michelle, a cui sono unita da una lunga amicizia", ha commentato Cristina Fernández.

Lo scontro verbale tra Chávez e Zapatero, con il brusco tentativo di re Juan Carlos di zittire il presidente venezuelano, ha avuto naturalmente uno strascico polemico sulle due coste dell'Atlantico. Chávez si è ben guardato dall'aderire al "regale invito" ed è anzi tornato sull'argomento per chiedere al Borbone pubbliche scuse, minacciando ritorsioni commerciali. "Le imprese spagnole dovranno cominciare a render conto di più", ha detto, preannunciando maggiori controlli sulle attività di queste aziende (in Venezuela operano 80 multinazionali spagnole, con un investimento pari a 2.500 milioni di dollari). Nel corso del vertice Chávez aveva ottenuto l'appoggio aperto del vicepresidente cubano Lage e del presidente del Nicaragua Ortega, ma anche Lula ha voluto esprimergli il suo sostegno. "Siamo un insieme di paesi democratici che hanno realizzato una riunione democratica nella quale tutti hanno diritto di parlare", ha dichiarato il presidente brasiliano, aggiungendo: "Possono criticare Chávez per qualsiasi altra cosa, ma non per mancanza di democrazia in Venezuela. Ci sono stati tre referendum, tre elezioni e quattro plebisciti, e se qualcosa non manca nel paese è il dibattito".

Ben diverso l'atteggiamento della destra brasiliana: il presidente della Commissione Esteri del Senato, il conservatore Heráclito Fortes, ha proposto un applauso in onore di Juan Carlos. In Spagna tutti i giornali hanno appoggiato, con maggiore o minore enfasi, la difesa d'ufficio di Aznar da parte di Zapatero e le parole del monarca. E il presidente della Commissione Europea, il portoghese Barroso, ha affermato in un'intervista: "Se Chávez vuole rispetto, deve rispettare gli altri".

Un discorso a parte va fatto per la posizione boliviana. Il governo di La Paz non ha voluto criticare il re o Zapatero, ma ha attaccato con durezza Aznar, accusandolo di complottare contro i governi di sinistra in America Latina. In un'intervista con l'agenzia boliviana Abi, Juan Ramón Quintana, ministro della Presidenza e uomo di fiducia di Morales, ha mostrato un articolo del quotidiano spagnolo La Razón del 12 gennaio 2006, in cui Aznar così descriveva la situazione latinoamericana: "La regione è oppressa dall'esplosiva combinazione di populismo e indigenismo all'ombra dell'alleanza tra Fidel Castro e il venezuelano Hugo Chávez, cui si è unito il presidente boliviano Evo Morales". Non va dimenticato del resto che, in occasione del primo viaggio all'estero del presidente Morales, mentre Zapatero gli riservava un caloroso benvenuto, la dirigenza del Partido Popular di Aznar si rifiutava di riceverlo. Il Pp - denuncia ancora il governo boliviano - appoggia apertamente i leader dell'opposizione che boicottano i lavori della Costituente e finanzia i dipartimenti autonomisti.

18/11/2007


Tra Italia e Bolivia il caso Telecom

La Telecom non molla. Dopo l'incontro il 29 ottobre a Roma tra Evo Morales e Romano Prodi, sembrava che la situazione potesse sbloccarsi con l'avvio di un negoziato tra il governo di La Paz e il colosso italiano della telefonia. Il caso Telecom non guasterà le buone relazioni tra Bolivia e Italia - era stato detto in quell'occasione - perché verranno stabilite le responsabilità di entrambe le parti attraverso il lavoro di revisione di un comitato tecnico-giuridico ed etico. Due giorni dopo, però, sul sito della Presidenza del Consiglio compariva a sorpresa una smentita di tale accordo.

La controversia è nata dal provvedimento emanato sei mesi fa dal governo Morales per recuperare allo Stato l'impresa capitalizzata Entel (controllata da Telecom). Come risposta, la compagnia telefonica ha presentato il 12 ottobre una richiesta di arbitrato al Ciadi, il tribunale della Banca Mondiale per la risoluzione delle dispute sugli investimenti internazionali. La Bolivia aveva ritirato la sua adesione al Ciadi il 2 maggio scorso, accusando quest'organismo di favorire nei suoi giudizi le transnazionali, ma Telecom si è appellata al fatto che prima di rendere effettivo il ritiro devono passare sei mesi. E a sorpresa, prima della scadenza dei termini, è arrivata la risposta del Ciadi che ha deciso di dar seguito alla richiesta dall'impresa, avviando la costituzione di un consiglio di arbitrato tra le parti.

Da notare che il Ciadi era già stato chiamato in causa, a suo tempo, dalla statunitense Bechtel nel caso della privatizzazione dell'acqua a Cochabamba. In seguito alle proteste popolari e a una campagna di pressione internazionale, la Bechtel aveva alla fine rinunciato al ricorso. Anche contro la Telecom potrebbe partire una campagna internazionale: lo hanno preannunciato militanti di A Sud, di Action e dei Cobas, che il 13 novembre hanno occupato perqualche ora la sede Telecom di Roma.

13/11/2007


Bolivia, paralisi della Costituente e progetti golpisti

Voci di progetti golpisti fanno salire sempre più la tensione. E in alleanza con gruppi oligarchici, anche l'ambasciatore statunitense Philip Goldberg cospira contro il governo. Lo ha denunciato il presidente Morales, facendo riferimento alla fotografia - resa pubblica giorni fa - che ritrae il diplomatico Usa accanto a John Jairo Vanegas, un criminale colombiano attualmente in galera per rapina. Insieme ai due, nella foto compare anche Gabriel Dabdoub, presidente di una delle associazioni imprenditoriali del dipartimento di Santa Cruz e ferreo oppositore dell'esecutivo. Alla richiesta di spiegazioni da parte boliviana, l'ambasciata Usa ha risposto che Goldberg ignorava l'identità del colombiano della foto e che chiunque può farsi ritrarre accanto a lui. Una spiegazione che non ha convinto nessuno: "Perfino al re spagnolo è facile avvicinarsi per una fotografia - ha detto Morales - All'ambasciatore statunitense in Bolivia è impossibile, nessuno gli si può avvicinare e non si riesce a capire una foto con un paramilitare colombiano". Va aggiunto che nel luglio scorso, all'aeroporto di La Paz, una giovane cittadina statunitense, parente di un alto ufficiale della rappresentanza diplomatica, era stata fermata mentre tentava di introdurre munizioni nel paese.

Intanto i lavori della Costituente sono giunti a un punto morto. Agli inizi di novembre, dopo settimane di impasse, era stato raggiunto un accordo che prevedeva la ripresa delle sedute per decidere se la sede dovesse rimanere a Sucre o spostarsi in una città più tranquilla. Ma centinaia di studenti e militanti dell'opposizione hanno circondato il Teatro Gran Mariscal, dove doveva tenersi la riunione, impedendo con la forza l'ingresso dei deputati. La presidente dell'Assemblea, l'indigena quechua Silvia Lazarte, ha affermato che il livello di violenza a Sucre è tale da rendere impossibile la prosecuzione dei lavori, ma ha respinto la proposta di cambiare sede: "Se vogliono ammazzarci, che ci ammazzino, ma non ce ne andremo da questa città", ha detto in una conferenza stampa.

La protesta per la capitale era iniziata all'indomani del 15 agosto, data in cui - con il voto maggioritario del Mas (Movimiento al Socialismo) - la Costituente aveva deciso di escludere dal dibattito il trasferimento dei poteri politici da La Paz (attuale sede del governo) a Sucre. Sono seguiti innumerevoli scontri tra sostenitori del governo e oppositori, che più volte hanno tentato di fare irruzione nella sala dell'Assemblea e di fatto ne hanno impedito il funzionamento. Il 28 agosto nel dipartimento di Chuquisaca (di cui Sucre è la capitale) e in quelli di Santa Cruz, Tarija, Beni, Pando e Cochabamba e Chuquisaca l'opposizione proclamava un paro cívico di 24 ore, che riusciva solo parzialmente. Durante lo sciopero, chi rifiutava di aderire veniva minacciato e intimidito; nella città di Santa Cruz, membri dell'organizzazione di destra Unión Juvenil Cruceñista assalivano il mercato, picchiando i venditori e distruggendo le installazioni.A sostegno del presidente Morales, agli inizi di settembre confluivano a Sucre oltre 10.000 rappresentanti delle organizzazioni contadine, indigene e sociali e i cocaleros attraversavano marciando il centro cittadino.

In realtà dietro la richiesta di "Sucre capitale a pieno titolo" appare un preciso disegno eversivo. Lo ha detto recentemente il vicepresidente García Linera, dopo il fallimento dell'ennesimo tentativo di mediazione. "La Costituente è sequestrata, ricattata e fatta oggetto di pressioni" da parte di un'alleanza formata "dai dirigenti intransigenti di Sucre, dal movimento di opposizione Podemos e da una minoranza di imprenditori. Queste minoranze hanno chiuso le porte dell'unica istanza democratica costruita con il sangue del popolo per consentire la soluzione delle differenze e delle disuguaglianze economiche e sociali". Si vuole paralizzare la Costituente perché rappresenta l'unica possibilità di rifondare le istituzioni. Un progetto contrastato dalle classi privilegiate della regione orientale, la più ricca, che gioca da tempo la carta separatista. In settembre i servizi di sicurezza avevano scoperto un documento della cosiddetta Nación Camba, raggruppamento dei dipartimenti di Pando, Beni e Santa Cruz, in cui si progettavano atti di violenza per abbattere il governo Morales. E a metà ottobre si era verificato l'episodio più allarmante.

Tutto era nato dalla decisione delle autorità aeroportuali di Santa Cruz di vietare le operazioni nell'aeroporto di ViruViru (dove fanno scalo quasi tutti i voli internazionali) alle compagnie aeree AmericanAirlines, Transportes Aéreos del Mercosur e Gol, che non avrebbero pagato l'imposta stabilita. Il provvedimento era stato ritenuto arbitrario dal governo centrale, che aveva inviato truppe a Viru Viru. L'intervento di La Paz era stato interpretato dagli autonomisti come una sorta di golpe e il leader del Comité Cívico, Branco Marinkovic, aveva promosso un corteo di circa 500 oppositori per rioccupare l'aeroporto. Gli scontri tra i dimostranti e le forze dell'ordine si erano estesi per ore, poi l'esercito si era ritirato dall'aeroporto, prima che vi giungesse una nuova manifestazione di protesta con alla testa il prefetto del dipartimento, Rubén Costas. Quest'ultimo aveva approfittato degli avvenimenti per accusare Caracas di aver partecipato all'occupazione militare dell'aeroporto. "Come nostro primo provvedimento - aveva detto Costas ai giornalisti - il signor Hugo Chávez non potrà più mettere piede a Santa Cruz".

I dirigenti del dipartimento vedono come il fumo negli occhi il presidente venezuelano, che nel suo programma domenicale Aló presidente, aveva tuonato contro gli "oligarchi di Santa Cruz" e aveva minacciato di trasformare la Bolivia "in dieci Vietnam", se Morales fosse stato abbattuto. Contro il Consolato del Venezuela a Santa Cruz e contro una residenza di medici cubani erano stati lanciati due ordigni, che per fortuna non avevano provocato vittime né danni.

L'appello a una crociata contro il Venezuela maschera in realtà la lotta senza quartiere al governo Morales, che proprio in ottobre aveva annunciato l'invio al Congresso di un significativo progetto di legge: la creazione della Renta Dignidad, una pensione mensile per gli ultrasessantenni ammontante a 200 bolivianos per quanti non godono di altre pensioni, e a 100 bolivianos per gli altri. A finanziare il provvedimento veniva destinata la terza parte dell'Imposta Diretta sugli Idrocarburi e questo aveva sollevato le proteste di università, municipi e governi locali, cui fino ad oggi era destinata tale risorsa.

10/11/2007


Guatemala, la vittoria di Colom

"Oggi comincia il cambiamento che il paese ha atteso per cinquant'anni". Questo l'impegnativo annuncio del nuovo presidente del Guatemala, il socialdemocratico Alvaro Colom. Nel ballottaggio del 4 novembre, Colom ha sconfitto con il 52,82% dei voti il generale a riposo Otto Pérez Molina, del raggruppamento di destra Partido Patriota. Ma ora dovrà tener fede alle sue promesse elettorali: creazione di 700.000 posti di lavoro, costruzione di 200.000 nuovi alloggi, riduzione del 20% della miseria (che oggi colpisce il 56% della popolazione), aumento del prodotto interno lordo, miglioramento della situazione sanitaria e lotta al crimine organizzato. È stato quest'ultimo uno dei temi più dibattuti della battaglia elettorale: nella capitale la maggioranza degli elettori ha premiato il programma di mano dura di Pérez Molina e solo i voti delle zone rurali hanno permesso a Colom di capovolgere il risultato e vincere la partita.

Ingegnere industriale, Colom era già al suo terzo tentativo di conquistare la massima carica dello Stato. Nel 1999 si era candidato con l'ex guerriglia della Urng (Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca) ed era giunto terzo. In seguito si era spostato verso il centro, fondando l'Unidad Nacional de la Esperanza (Une) e tessendo ambigue alleanze che gli garantissero finanziamenti per il partito. Nel 2003, alla seconda corsa presidenziale, era arrivato ancora terzo. Ora il successo, sia pure con molte ombre. Alcuni personaggi che lo attorniano sono accusati di rapporti con il crimine e tali accuse hanno ricevuto un'indiretta conferma in ottobre, quando il responsabile della propaganda, José Carlos Marroquín, si è dimesso dopo aver ricevuto minacce da gruppi mafiosi legati - a quanto sembra - alla stessa Une. È un fatto che alla vigilia del ballottaggio né l'Urng né il Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú hanno dato indicazioni al proprio elettorato di votare Colom, neanche per fare argine alla destra militare di Pérez Molina. Solo il futuro potrà dire se Colom sarà in grado di sottrarsi all'abbraccio interessato dei suoi alleati per inaugurare una vera epoca di trasformazione. Nel frattempo il forte tasso di astensionismo registrato domenica 4 dimostra che i guatemaltechi non sperano troppo nel cambiamento.

Al primo turno, la presenza tra i candidati di Rigoberta Menchú non era servita a coagulare il voto indigeno: la Menchú, che a causa delle norme elettorali aveva dovuto accettare l'appoggio di Encuentro por Guatemala, il movimento di Nineth Montenegro, non era andata al di là del 3%. Al terzo posto, dopo Colom e Pérez Molina, si era piazzato il medico Alejandro Giammattei, del partito di governo Gran Alianza Nacional, seguito dall'ex collaboratore dell'esercito Eduardo Suger del conservatore Centro de Acción Social, entrambi con il 18% circa dei consensi. Meno del 3% si era aggiudicato l'ex dittatore Efraín Ríos Montt, del Frente Republicano de Guatemala, che comunque raggiungeva il risultato voluto: l'immunità garantita dal seggio in Parlamento contro il procedimento penale, per crimini di lesa umanità, aperto contro di lui dalla giustizia spagnola.

Un altro elemento, oltre alla disaffezione degli elettori, ha contrassegnato l'intera campagna elettorale: l'estrema violenza politica, che ha portato all'uccisione di decine di dirigenti o militanti dei diversi partiti. Dietro questi delitti c'è probabilmente la mano della delinquenza organizzata e in particolare del narcotraffico. "La penetrazione delle strutture criminali nei partiti politici è un dato di fatto - ha affermato in un'intervista a Ips Diego de León, della Fondazione Myrna Mack per la difesa dei diritti umani - È difficile controllare da dove provengono i finanziamenti dei partiti e in questo modo viene introdotto un sacco di denaro illecito".

5/11/2007


Argentina, da primera dama a presidenta

Lotta contro l'ingiustizia, priorità all'aiuto agli strati più poveri, consolidamento di un sistema economico che permetta di migliorare la vita del paese. Questo il programma di Cristina Fernández, che ha vinto le elezioni presidenziali al primo turno domenica 28 ottobre sconfiggendo, nell'ordine, l'ex radicale convertita alla socialdemocrazia Elisa Carrió, l'ex ministro dell'Economia ed ex peronista Roberto Lavagna, il neoliberista Ricardo López Murphy e il tuttora peronista Alberto Rodríguez Saá. La vittoria è stata favorita dalla gestione del marito, Néstor Kirchner, il presidente che - salito al potere in un momento di drammatica crisi economica - è riuscito a risollevare l'Argentina e a ridarle fiducia. Ma Kirchner sarà ricordato soprattutto per aver segnato una rottura con il passato più oscuro del paese, annullando le leggi dell'impunità, collaborando strettamente con le Madres e le Abuelas de Plaza de Mayo, facendo della Esma, il centro clandestino di detenzione e di tortura della dittatura, un Museo della Memoria. E un altro suo merito è quello di essere passato dalle "relazioni carnali" (come le definiva l'ex presidente Menem) con gli Stati Uniti a una politica di integrazione sudamericana, rifiutando l'accordo di libero commercio con cui Bush voleva legare tutto il continente.

Certo molti problemi rimangono: le enormi villas miseria che circondano la capitale parlano di una povertà dimezzata, ma non vinta; la disoccupazione è diminuita, ma il lavoro è in gran parte precario; la fame uccide ancora nelle province del nord. Queste le sfide che la nuova presidenta è chiamata ad affrontare. Un elemento a favore della neoeletta è la composizione del Parlamento dove il suo raggruppamento, il Frente para la Victoria, ha ottenuto un vero trionfo: alla Camera è passato da 111 a 140 seggi.

Ben diverso il risultato elettorale della sinistra che, frammentata e divisa, ha mostrato tutta la sua debolezza. Anche il regista Fernando Pino Solanas, che si era presentato alle presidenziali con un discorso di centrosinistra, ha ottenuto solo l'1,6% dei suffragi, mentre Vilma Ripoll, del Movimiento Socialista de los Trabajadores, ha dovuto accontentarsi dello 0,76%. A penalizzare queste forze la mancanza di mezzi per un'efficace campagna elettorale, ma anche il settarismo che ha impedito loro di presentarsi unite davanti all'elettorato. Una novità positiva si è invece registrata nella provincia di Formosa dove Ricardo Mendoza, dell'etnia toba, ha conquistato un seggio alla Legislatura. È la prima volta che un rappresentante di questa comunità, che costituisce quasi il 10% della popolazione provinciale, giunge in Parlamento.

31/10/2007


Colombia, la sinistra conquista le principali città

Il presidente Uribe aveva fatto appello all'elettorato, invitandolo a non votare per la sinistra alle consultazioni amministrative di domenica 28 ottobre. Ma i colombiani non gli hanno dato retta e la sinistra si è aggiudicata le tre città più importanti; si è consolidata a Bogotá e ha conquistato Medellín e Cali. Nella capitale è stato eletto sindaco, con il 43,7% dei voti, l'esponente del Polo Democrático Alternativo (Pda) Samuel Moreno; a Medellín si è imposto Alonso Salazar, del Movimiento Alianza Social Indígena; a Cali Jorge Iván Ospina, di Podemos Cali. Il governo del dipartimento di Nariño è stato conquistato dall'ex guerrigliero del M-19 Antonio Navarro Wolf, del Pda.

La campagna elettorale era stata contrassegnata da violenze e omicidi. Decine le persone uccise: i candidati erano costretti a farsi accompagnare da uomini di scorta e a girare con giubbotti antiproiettile e auto blindate, quasi andassero a una guerra. Molti avevano deciso di rinunciare; altri avevano dovuto sospendere i comizi nelle pubbliche piazze. Minacce, attentati e sequestri erano concentrati soprattutto nei dipartimenti di Antioquia, Meta e Valle, bastioni dei gruppi paramilitari ufficialmente smobilitati. La violenza non aveva risparmiato la capitale, dove una bomba era esplosa, per fortuna senza provocare vittime, davanti all'abitazione di una consigliera municipale candidata alla rielezione. Anche la giornata del voto ha visto denunce di illegalità e di brogli, nonostante la presenza degli osservatori internazionali.

Alle consultazioni non si era presentato il neonato Movimiento Nacional de Autodefensas Desmovilizadas, costituito da una cinquantina di ex paramilitari con l'obiettivo "di partecipare al dibattito democratico e politico". Recentemente alcuni tra i massimi esponenti degli squadroni di estrema destra sono stati condannati, per la prima volta nella storia del paese, per il sequestro e l'assassinio di dirigenti sindacali. Quarant'anni di carcere sono stati comminati a Salvatore Mancuso, Carlos Castaño (quest'ultimo ucciso tre anni fa) e altri paras. Ma Mancuso sconterà solo otto anni, grazie all'amnistia concessa nel 2004 all'atto della smobilitazione. In realtà con questi processi il governo si propone di sbloccare l'approvazione, nel Congresso Usa, del Tratado de Libre Comercio tra i due paesi, che incontra l'opposizione dei parlamentari democratici.

29/10/2007


Messico, un piano per la sicurezza di chi?

L'accordo con gli Stati Uniti in materia di sicurezza "si basa sul rispetto della sovranità nazionale", aveva assicurato la ministra degli Esteri Patricia Espinosa. E in un primo tempo si era cercato di presentare il Plan México semplicemente come un piano contro il narcotraffico. Ma mercoledì 24 ottobre, davanti alla Commissione Esteri del Senato, la ministra ha dovuto ammettere: "Si tratta di rafforzare la nostra capacità di individuare terroristi" che tentano di entrare nel paese "per attaccare i nostri confinanti". Non per niente George W. Bush ha inserito il pacchetto di aiuti al Messico nella sua richiesta di fondi straordinari destinati a rafforzare l'intervento militare in Iraq e in Afghanistan.

Ai senatori che le chiedevano copia del documento, noto solo per quanto è stato pubblicato dalla stampa statunitense, Patricia Espinosa ha risposto in modo vago. Ha parlato di "un accordo politico" tra i due governi, non un trattato che debba essere sottoposto all'approvazione del Senato. Intanto però, presso la Procura Generale della Repubblica, funzionari di alto livello dei Ministeri della Difesa, della Marina e della Sicurezza Pubblica si sono riuniti per due giorni con rappresentanti dell'ambasciata Usa, che avrebbero chiesto nuovi sistemi di vigilanza negli aeroporti, installazione di radar e azioni più incisive contro l'immigrazione.

L'accordo era stato annunciato il 4 ottobre dalle autorità dei due paesi, anche se, prima di entrare in vigore, dovrà ottenere l'approvazione del Congresso Usa. Con un aumento senza precedenti, gli aiuti economici di Washington passano da 40 a 500 milioni di dollari all'anno. In Messico, intanto, si sta preparando il terreno: agli inizi di ottobre, nel corso del seminario su Seguridad y Derechos Humanos, base para el Progreso en México y Colombia, il vicepresidente colombiano Francisco Santos aveva sostenuto la necessità di creare un piano continentale per affrontare il crimine organizzato. "Si devono rompere paradigmi come quello della sovranità quale è stata intesa finora - aveva detto Santos - poiché le strategie locali sono state superate da questi gruppi criminali che non riconoscono frontiere". Gli aveva fatto eco il procuratore generale messicano Eduardo Medina Mora, che aveva definito l'esperienza colombiana "un punto di riferimento obbligato nella lotta alla delinquenza organizzata per la ricostruzione dei poteri dello Stato". Ma il Plan México non si fermerà ai confini messicani: secondo quanto anticipato dal giornale texano The Dallas Morning News, l'intervento militare Usa si estenderebbe al Centro America.

Di ben diverso tenore l'iniziativa lanciata il 2 ottobre (39° anniversario del massacro di Tlatelolco) da numerose associazioni per i diritti umani, che hanno dato vita al Frente Nacional Contra la Represión. Lo ha annunciato in una conferenza stampa la presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, Rosario ibarra de Piedra, che da sempre lotta per far luce sulla sorte dei desaparecidos (tra cui figura suo figlio). Durante l'incontro con i giornalisti Rosario Ibarra era accompagnata dalle figlie di Francisco Paredes Ruiz, scomparso il 26 settembre a Morelia, nello Stato del Michoacán. Un raggruppamento simile all'attuale Frente era stato formato nel 1979 e, come ha ricordato Rosario, grazie a quella mobilitazione "si ottenne la libertà di 148 persone detenute nel Campo Militare Numero Uno, venne concessa l'amnistia a 1.500 prigionieri politici e diversi messicani tornarono dall'esilio; il movimento riuscì a fermare la repressione". Oggi la ripresa degli arresti illegali e dei sequestri testimonia il ritorno della guerra sucia: da qui la necessità di costituire il nuovo Frente, cui hanno aderito, tra le altre organizzazioni, l'Asamblea deTrabajadores de la Cultura, l'Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca, l'Unión Campesina Independiente.

26/10/2007


Cile, il clan Pinochet vince il primo round

Il clan Pinochet ha vinto il primo round. Il 4 ottobre il giudice Carlos Cerda aveva firmato un mandato di cattura nei confronti di 23 esponenti di primo piano del pinochetismo. Erano finiti in galera, oltre ai più stretti collaboratori del defunto dittatore, anche i suoi cinque figli e l'ottuagenaria vedova Lucía Hiriart (subito trasferita in ospedale per malore). L'ordine di detenzione, sotto l'accusa di malversazione di fondi pubblici, era il corollario della lunga indagine partita dal conto segreto presso la statunitense Riggs Bank, che aveva portato allo scoperto ruberie, arricchimento illecito e appropriazione di beni dello Stato da parte del dittatore e della sua famiglia. Gli arrestati comunque erano rimasti ben poco dietro le sbarre: due giorni dopo erano stati rimessi in libertà dietro cauzione. Ora la Quinta Sala della Corte d'Appello di Santiago ha accolto il loro ricorso, sancendo l'obbligo per il magistrato di interrogare un imputato prima di prendere qualsiasi provvedimento nei suoi confronti, e soprattutto stabilendo che il reato di malversazione di fondi pubblici può essere commesso solo da funzionari dello Stato.

Lo scontro non è finito, perché la controparte ha già deciso di appellarsi contro la decisione e il Consiglio di Difesa dello Stato ha espresso il suo appoggio alle posizioni del giudice Carlos Cerda. Che è stato raggiunto nel frattempo da un procedimento disciplinare deciso dalla Corte Suprema, per le dichiarazioni che aveva rilasciato a Washington, all'atto di ricevere un premio per il suo impegno a difesa dei diritti umani. In quell'occasione il magistrato aveva individuato nella compravendita di armi per le forze armate cilene l'origine di parte della fortuna dei Pinochet, anticipando un'accusa non ancora provata.

L'incriminazione di parenti e collaboratori del defunto dittatore era stata letta come un segnale importante di rottura con il passato ("Nessuno in Cile può credere di essere al disopra della legge", era stato il commento di Michelle Bachelet). Per il governo aveva rappresentato anche una boccata d'ossigeno, in un momento di forte calo di consensi specie a sinistra. Ora la sentenza a favore del clan Pinochet, come il procedimento disciplinare a carico di Cerda, documentano il potere di cui ancora dispone la famiglia e testimoniano la persistenza della pesante eredità della dittatura.

26/10/2007


Argentina, ergastolo per il sacerdote genocida

"Delitti di lesa umanità commessi nel quadro del genocidio che ebbe luogo in Argentina tra il 1976 e il 1983": dalla collaborazione in sequestri e torture all'omicidio di sette persone. Per questi reati il 9 ottobre l'ex cappellano della Policía Bonaerense Christian Von Wernich è stato condannato all'ergastolo, con una sentenza che sancisce le pesanti responsabilità della Chiesa nel periodo della dittatura. La decisione del tribunale de La Plata è stata accolta con applausi, abbracci, lacrime e commozione dai familiari dei desaparecidos e il presidente Kirchner l'ha definita "una sentenza esemplare". Dal canto suo l'Episcopato si è limitato a ripetere che se membri del clero hanno partecipato alla repressione lo hanno fatto sotto responsabilità personale. Elemento ancora più sconcertante, il genocida Von Wernich potrà continuare a dire messa e a esercitare il ministero sacerdotale: il suo superiore, il vescovo Martín de Elizalde, dopo aver chiesto a nome della Chiesa un generico perdono alle vittime, ha rinviato a data da destinarsi l'adozione di qualsiasi provvedimento in merito.

Di ben diverso tenore il documento che agli inizi di settembre era stato distribuito in tutte le parrocchie della provincia dalla Pastoral Social di Neuquén. Vi si legge tra l'altro: "L'eccessivo silenzio, la mancanza di partecipazione pubblica alle richieste dei familiari dei desaparecidos, l'essersi tappati le orecchie alla domanda di giustizia, l'eccessiva debolezza nel definire il male hanno fatto sì che apparissimo come vicini ai dittatori della morte, mentre dovevamo essere apostoli della vita".

Il processo a Von Wernich ha contribuito a porre al centro del dibattito pubblico una realtà più volte denunciata dalle organizzazioni per i diritti umani: l'aperta collaborazione con torturatori e assassini di alcuni esponenti della Chiesa e la complicità di altri, anche ai massimi livelli, che non fecero nulla per impedire la tragedia e, al ritorno della democrazia, si affannarono a coprire i responsabili. Proprio durante l'ultima udienza del procedimento, il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel ha affermato a chiare lettere: "Concezioni ideologiche e interessi hanno portato settori della Chiesa a compromettersi con la dittatura e la repressione". Pérez Esquivel ha riferito i suoi tentativi, infruttuosi, di spingere la gerarchia ecclesiastica a interessarsi al problema dei desaparecidos e la drammatica udienza del 1981 con papa Giovanni Paolo II, al quale aveva presentato un rapporto su 84 casi di bambini scomparsi. "Non fu un incontro felice. Fu una riunione molto complessa, un'udienza molto dura e molto fredda - ha raccontato Esquivel - Spiegai al papa che gli portavo il dossier che ci aveva dato Chicha Mariani, fondatrice di Abuelas. Questo rapporto glielo avevo inviato attraverso tre canali, ma mi disse che non era mai giunto nelle sue mani. Il papa guardò il documento e poi, in malo modo, mi rispose: Lei deve pensare ai bambini dei paesi comunisti".

10/10/2007


Costa Rica, vince il sì tra accuse di brogli

Tra accuse di brogli, dalle urne del referendum del 7 ottobre è uscito vincente il sì al Cafta, il trattato di libero commercio tra Stati Uniti, Centro America e Repubblica Dominicana. A spoglio delle schede quasi ultimato, i sì si attestavano sul 51,6%. Dopo aver appreso i dati, il presidente Oscar Arias (personalmente interessato all'approvazione dell'accordo con gli Usa) ha fatto un appello all'unità del paese, ma il movimento anti-Tlc ha già fatto sapere che non accetta il risultato. E i comitati patriottici, che si sono costituiti a centinaia in questi mesi di campagna, non intendono smobilitare. Il primo passo sarà la richiesta di un nuovo conteggio dei voti, che ponga fine alle voci di frodi e anomalie nella consultazione: schede già segnate, elettori che non hanno potuto votare perché il loro seggio era stato spostato, ecc. ecc. In più, esponenti dell'esecutivo avevano continuato - nonostante la legge elettorale lo vieti - a fare propaganda per il sì sia alla vigilia che il giorno stesso del referendum. Ma gli osservatori concordano che un grosso appoggio al governo è venuto soprattutto dal comunicato diffuso dalla Casa Bianca, che condizionava il futuro del Costa Rica al risultato delle urne.

Con la vittoria del sì, però, il Tlc non entra immediatamente in vigore: prima dovranno passare all'esame del Congresso le 13 norme di applicazione. Il leader dell'opposizione Ottón Solís, del Partido Acción Ciudadana, ha annunciato che i 17 parlamentari del suo gruppo potrebbero favorire l'approvazione di tali norme in cambio di leggi "di compensazione", volte a mitigare gli effetti negativi dell'accordo su agricoltori e piccola e media impresa. Il movimento anti-Tlc, dal canto suo, rifiuta ogni compromesso e promette battaglia nelle piazze, con l'obiettivo di ritardare l'approvazione delle norme di applicazione oltre la data limite, fissata per il marzo 2008.

La chiusura della campagna elettorale per il no, il 30 settembre, aveva registrato forse la più massiccia manifestazione effettuata nel paese. La marea umana aveva riempito il Paseo Colón della capitale, mostrando la forza della coalizione contraria al Cafta: organizzazioni sociali, movimenti contadini, sindacati, artigiani e piccoli imprenditori, partiti della sinistra. Contro l'accordo commerciale si erano espressi anche tre vescovi cattolici, Ignacio Trejos, Héctor Morera e Antonio Troyo, che in un breve comunicato avevano segnalato le ragioni del rifiuto: il modello economico neoliberista del Tlc "aumenta il divario sociale ed economico" e la sua logica mercantile "favorisce le corporazioni transnazionali a danno delle imprese produttive nazionali". Per questo, concludevano i tre alti prelati, "in coscienza i fedeli cattolici devono votare per il no".

La campagna anti-Tlc aveva ricevuto un rinnovato impulso a metà settembre, quando era stato reso noto un memorandum segreto stilato dal vicepresidente Kevin Casas e dal deputato Fernando Sánchez e rivolto al presidente Oscar Arias e al fratello Rodrigo, ministro della Presidenza: vi si raccomandava di promuovere una "strategia della paura" per convincere gli elettori a votare sì. Lo scandalo seguito alla pubblicazione del memorandum aveva obbligato Casas a dimettersi temporaneamente dall'incarico. Lo stesso raggruppamento del capo dello Stato, il Partido Liberación Nacional, era spaccato al suo interno: alcuni dei suoi principali dirigenti, compreso l'ex presidente Luis Alberto Monge, facevano campagna per il no. Gli oppositori al trattato temono in particolare la privatizzazione della sicurezza sociale e dell'istruzione e la svendita al capitale straniero di settori quali l'energia e le telecomunicazioni, attualmente gestiti da efficienti imprese pubbliche. Non è un timore infondato: solo per fare un esempio, il magnate messicano Carlos Slim già punta a impadronirsi delle telecomunicazioni.

9/10/2007


Ecuador, la nascita del correismo

"In Ecuador è nato il correismo". Così ha scritto il quotidiano argentino Página/12, commentando la schiacciante vittoria del movimento del presidente Correa alle elezioni per la Costituente. Gli elettori hanno appoggiato la sua proposta di modificare profondamente le strutture politiche ed economiche dello Stato secondo i principi del "socialismo del XXI secolo".

La giornata di domenica 30 settembre ha segnato un trionfo personale del capo dello Stato, che era stato eletto senza l'appoggio di alcun partito e che in meno di un anno è riuscito a consolidare l'appoggio popolare e a battere l'opposizione. Ora l'Assemblea eletta ha otto mesi di tempo per redigere la nuova Costituzione. Davanti alla stampa estera Correa ha annunciato che, quando la Costituente inizierà i suoi lavori, il Congresso dovrà sciogliersi e - una volta approvata la nuova Carta Magna - dovranno essere convocate elezioni anticipate. Affrontando il problema economico, ha spiegato: "Si stanno rivedendo i contratti petroliferi; alcuni sono molto svantaggiosi per lo Stato. Però la trattativa è amichevole. Stiamo già discutendo con quattro compagnie. Sono perfettamente consapevoli dei profitti straordinari che stanno ottenendo con una risorsa di proprietà dello Stato". Quanto agli investimenti esteri, sono i benvenuti se rispettano gli impegni con i lavoratori, i clienti, lo Stato, l'ambiente. "Ma quegli investitori che ci ritengono ancora una colonia, che offendono i principi legali, non sono i benvenuti e avranno una risposta chiara da un paese sovrano e da un governo sovrano".

Forte del risultato delle urne, Correa ha subito emanato un primo importante decreto. in base al quale il 99% dei profitti straordinari delle compagnie petrolifere andrà alle casse statali. In precedenza la ripartizione era 50/50, una formula che secondo il presidente era troppo favorevole alle imprese. Si calcola che nel 2008 la nuova ripartizione assicurerà all'erario circa 700 milioni di dollari. "Non permetteremo mai più che con questa risorsa non rinnovabile, che appartiene agli ecuadoriani, si faccia quello che si è fatto in passato", ha assicurato Correa annunciando il provvedimento. Il rappresentante delle imprese petrolifere private, Fernando Santos, ha criticato la disposizione, sostenendo che con la nuova norma viene superato il limite del 60% stabilito dalla legislazione internazionale per qualsiasi tipo di imposta. Il governo ha comunque precisato che sono in corso incontri con le compagnie del settore.

5/10/2007


Diritto all'aborto tra progressi e passi indietro

Venerdì 28, Día de Lucha por el Derecho al Aborto en América Latina y el Caribe, migliaia di donne sono scese in piazza in tutto il continente per rivendicare il diritto all'interruzione volontaria della gravidanza, che in quasi tutti i paesi latinoamericani incontra forti limitazioni. Anche quando la legislazione contempla la possibilità di ricorrere all'aborto in caso di pericolo di vita per la madre, grave malformazione del feto o maternità a seguito di violenza sessuale, magistrati e medici frappongono spesso ostacoli a questo diritto: è accaduto recentemente in Argentina, con una giovane handicappata mentale rimasta incinta dopo aver subito uno stupro.

La giornata di lotta per il diritto all'aborto è frutto di una risoluzione adottata dal V Encuentro Feminista Latinoamericano y del Caribe, svoltosi a San Bernardo, Argentina, nel 1990 e nasce dalla considerazione che la pratica dell'aborto clandestino uccide ogni anno, nella regione, oltre 10.000 donne, tutte appartenenti alle fasce più disagiate della popolazione. Nel panorama del continente si registrano i progressi di Città del Messico, dove l'anno scorso l'interruzione volontaria della gravidanza è stata depenalizzata fino alla dodicesima settimana di gestazione, o i passi indietro del Nicaragua, dove le pressioni della gerarchia cattolica più retriva sono riuscite a far proibire persino l'aborto terapeutico.

A Managua infatti l'Assemblea Nazionale, con 66 voti a favore e solo tre contrari, ha ribadito a metà settembre che ogni tipo di interruzione volontaria della gravidanza è reato e va punita con una pena da uno a tre anni di carcere. È stato dunque sancito quanto già deliberato nell'ottobre scorso, quando con un tratto di penna era stata cancellata la normativa sull'aborto terapeutico in vigore da cent'anni. I parlamentari hanno respinto anche le mozioni che chiedevano di consentire l'interruzione della gravidanza almeno in casi estremi, quando la madre sia in grave pericolo e sia già stato tentato di tutto per salvare sia lei che il nascituro. Il risultato della votazione è stato favorito dall'assenza di nove deputati del Fsln, che non se la sono sentita di dare il loro assenso a una legge da Medio Evo. I 27 sandinisti presenti non hanno invece avuto remore e hanno votato a favore della penalizzazione (del resto questo punto faceva parte degli accordi pre-elettorali grazie ai quali Daniel Ortega aveva ricevuto l'appoggio del fondamentalismo cattolico). Mentre nell'emiciclo c'era chi pregava e chi esprimeva il suo sdegno, la discussione si sviluppava su un livello bassissimo. Un esempio: secondo il deputato Wilfredo Navarro, le donne che difendono l'aborto lo fanno solo perché sono lesbiche.

28/9/2007


Perù, primi giorni di carcere per Fujimori

Fujimori è tornato in patria: non proprio un ritorno trionfale come avrebbe desiderato. È ora rinchiuso in una caserma di polizia (anche se ha a disposizione un miniappartamento dotato di tv, bagno privato, saletta per ricevere visite e con il pranzo portato dalla famiglia, per evitare tentativi di avvelenamento). E come ogni detenuto "illustre" si è subito sentito male, denunciando problemi di ipertensione. Una prova che l'ex dittatore non si sente molto a suo agio nell'inconsueta veste di carcerato. Nel frattempo la famiglia non se ne sta con le mani in mano: la figlia Keiko sta già mobilitando il gruppo parlamentare fujimorista. È stato fatto anche un appello ai sostenitori, ma l'iniziativa è riuscita solo parzialmente e se Fujimori sperava che le masse scendessero in piazza per difenderlo ha dovuto ricredersi.

La sentenza della Corte Suprema cilena, che il 21 settembre ha accolto la richiesta avanzata dal Perù, è già stata definita storica: in altri due casi (quello del serbo Slodoban Milosevic e quello del liberiano Charles Taylor, gli accusati non erano stati estradati verso i loro paesi, ma consegnati a tribunali internazionali. Solo il dittatore boliviano Luis García Meza era stato rinviato in patria dal Brasile nel 1995, e ora sconta una condanna a trent'anni. Un caso pendente è invece quello di Gonzalo Sánchez de Lozada, l'ex presidente boliviano fuggito negli Stati Uniti, di cui La Paz ha chiesto (finora inutilmente) l'estradizione. Tornando a Fujimori, la giustizia di Santiago lo ha rinviato a Lima perché risponda di corruzione e dei crimini di lesa umanità avvenuti durante il suo governo. Ma il leader dell'opposizione Ollanta Humala ha denunciato che il governo di Alan García potrebbe barattare una sentenza mite in cambio della continuità dell'appoggio che attualmente riceve dal fujimorismo. García infatti, con una popolarità in netta discesa e tra continue manifestazioni contro la sua politica neoliberista, ha da tempo abbandonato le sue promesse elettorali, optando per un avvicinamento alla destra economica e al gruppo legato all'ex presidente-dittatore, che gli garantisce il controllo del Congresso in cambio di nomine di suoi esponenti in posti di potere.

Alberto Fujimori aveva fatto di tutto per evitare l'estradizione. In luglio si era lanciato in pieno nella campagna elettorale giapponese, presentando la sua candidatura a senatore per il raggruppamento nipponico di estrema destra Nuovo Partito del Popolo. Ma la sua speranza di essere eletto e conquistare così l'immunità aveva subito una sonora sconfitta; il suo slogan: "Sono disposto a dare la mia vita per il paese dei samurai", aveva lasciato indifferente l'elettorato giapponese.

24/9/2007


Venezuela, un piano per il petrolchimico

Un ampio programma di sviluppo dell'industria petrolchimica, con un investimento di 20.000 milioni di dollari nei prossimi cinque anni, è stato annunciato dal presidente Chávez nel corso del suo consueto programma domenicale Aló, Presidente. La trasmissione, che ha battuto tutti i record di durata protraendosi per otto ore, era realizzata dal complesso petrolchimico El Tablazo, nello Stato di Zulia. Chávez ha specificato che il piano prevede la costruzione di 87 stabilimenti, 35 dei quali produrranno materia prima e il resto si occuperà dell'elaborazione di fertilizzanti, materie plastiche, detergenti, cosmetici, con la creazione complessiva di 700.000 nuovi posti di lavoro. Si tratta di un mutamento di rotta rispetto alla politica dei precedenti governi democristiani e socialdemocratici, orientati unicamente all'esportazione del petrolio.

E sempre a proposito di cambiamenti, il 26 agosto il capo dello Stato aveva proposto che la prima città situata sul Camino de los Indios, tra la capitale e Vargas, venisse denominata Caribia, in omaggio agli indigeni Caribe, e che il monte El Avila recuperasse il nome di Guaraira Repano, come veniva chiamato dai primi abitanti della valle. Chávez aveva poi ribadito la proposta di modificare l'articolo 18 della vigente Costituzione per ratificare Caracas come la capitale del paese e aggiungere al suo nome la denominazione di Cuna del Libertador y Reina del Guaraira Repano. Il governo aveva inoltre varato la normativa sulla nuova ora legale, che posticipa di mezz'ora l'orario precedentemente in vigore. Il ministro della Scienza e della Tecnologia Héctor Navarro aveva spiegato che la decisione era stata presa per sincronizzare l'inizio della giornata di lavoro con la luce del sole.

Dal 6 al 10 agosto Hugo Chávez aveva compiuto un viaggio in Sud America che lo aveva portato in Argentina, Uruguay, Ecuador e Bolivia, per dare impulso all'integrazione regionale attraverso la sua diplomazia petrolifera. Con il presidente Kirchner, Chávez aveva concordato la costruzione di un impianto per la trasformazione e la distribuzione del gas (proveniente dal Venezuela allo stato liquido) e l'acquisto di altri 500 milioni di dollari di buoni argentini per la riconversione del debito (la cifra potrebbe raddoppiare entro la fine del 2007). Con l'uruguayano Tabaré Vázquez, superata la freddezza degli ultimi tempi, aveva firmato un Trattato di Sicurezza Energetica che garantirà a Montevideo l'approvvigionamento di greggio. Con l'ecuadoriano Correa aveva confermato una stretta alleanza: nella provincia di Manabi verrà costruita la più grande raffineria della costa del Pacifico, con la compartecipazione di Pdvsa e Petroecuador. In Bolivia Chávez ed Evo Morales avevano raggiunto un'intesa per la creazione di Petroandina (tra Pdvsa e Ypfb) e, con l'aggiunta di Kirchner, avevano firmato accordi strategici sempre nell'ambito energetico.

23/9/2007


Perù, l'affare della ricostruzione

È passato un mese dal disastroso terremoto che nel sud del paese ha provocato oltre 500 morti e migliaia di feriti. Pisco, Ica, Chincha, le città più colpite, sono ancora piene di macerie e migliaia di persone continuano a dormire all'addiaccio. Il governo del presidente Alan García ha chiesto alla popolazione di portare pazienza, ma intanto si susseguono le accuse di corruzione nella distribuzione degli aiuti e le critiche all'esecutivo, che ha affidato l'opera di ricostruzione ai privati, relegando in secondo piano le autorità locali. Non solo. Direttore del Forsur (Fondo de Reconstrucción del Sur) è stato nominato Julio Favre, imprenditore di estrema destra che negli anni Novanta era legato ai gruppi paramilitari (come ha documentato la Comisión de la Verdad, in uno dei suoi stabilimenti venne insediato un centro clandestino di detenzione e tortura del periodo Fujimori). Favre ha già detto che si costruiranno circa 10.000 abitazioni in due anni (ne servirebbero almeno 50.000), che saranno vendute alle famiglie rimaste senza casa. Queste otterranno dal governo un bonus dell'equivalente di 6.000 dollari per pagare la quota iniziale, per il resto dovranno arrangiarsi con prestiti dalle banche.

L'esasperazione della popolazione è esplosa sabato 8 a Pisco all'arrivo in città del primo ministro Jorge Del Castillo, accompagnato da autorità e diplomatici (tra cui gli ambasciatori dell'Unione Europea, della Cina e del Giappone), per celebrare il 187° anniversario dell'inizio della guerra di indipendenza. Nella piazza principale il ministro e i suoi invitati sono stati accolti da urla e proteste e hanno dovuto velocemente battere in ritirata. Del Castillo ha approfittato dell'accaduto per accusare Radio Orión, l'unica emittente rimasta in piedi dopo il sisma, di aver sobillato la cittadinanza. E il 13 settembre la polizia ha fatto irruzione nella sede della radio, sequestrandone gli impianti. Il governo ha giustificato la decisione di chiudere l'emittente con il mancato rinnovo della licenza, ma non è certo questo il primo caso di pressione o rappresaglia contro un mezzo di comunicazione sociale.

Fin dai primi momenti seguiti al sisma del 15 agosto (quasi 8 gradi Richter), il dramma vissuto dalle popolazioni colpite era stato aggravato dalla violenza causata dalla disperazione. L'arrivo con il contagocce di acqua, cibo e medicine, insufficienti per le decine di migliaia di persone senza più nulla, avevano spinto gruppi di disperati ad assaltare persino l'ospedale di Chincha. Militari e poliziotti, mandati a pattugliare le strade per evitare furti e saccheggi, si limitavano alle zone del centro, mentre in periferia vigeva l'insicurezza e la paura e la gente era totalmente lasciata a sé stessa, a piangere i propri morti e a lottare per la sopravvivenza. Questa situazione provocava il 22 agosto un'altra vittima, una bimba di un mese morta di polmonite fulminante: la sua casa era stata distrutta dal sisma e la piccola viveva da una settimana all'addiaccio, insieme alla madre e ai quattro fratelli, in un parco di Cañete, a 100 chilometri da Pisco. E intanto si apprendeva che nel 2005 uno studio scientifico, elaborato dall'Instituto Geofísico del Perú, aveva segnalato l'alta probabilità che un forte terremoto colpisse la zona di Ica e aveva raccomandato l'adozione di misure di prevenzione, ma da parte delle autorità non era stato fatto nulla.

17/9/2007


Ecuador, il vicepresidente Moreno a Milano

Per la seconda volta a distanza di due mesi la Provincia di Milano ha accolto una delle massime autorità ecuadoriane. Dopo la visita del presidente Rafael Correa a luglio, è stata la volta del vicepresidente Lenín Moreno Garcés.

Lenín Moreno, 54 anni, laureato in Administración Pública presso l'Universidad Central del Ecuador, ha incontrato l'assessore alla Partecipazione e alla Pace Irma Dioli, con la quale ha sottoscritto una dichiarazione congiunta che rafforza i rapporti tra il governo di Quito e l'amministrazione provinciale di Milano e avvia progetti di cooperazione e di integrazione della comunità ecuadoriana presente nella provincia. E proprio rivolgendosi ai suoi compatrioti residenti in Italia, Moreno ha ricordato che l'esecutivo guidato dal presidente Correa lavora per favorire il ritorno di tutti gli emigranti e ha lanciato un appello perché partecipino in massa alla scelta dei loro rappresentanti nella futura Assemblea Costituente.

Ai giornalisti che gli chiedevano qual è la maggiore sfida che l'Ecuador si trova oggi a dover fronteggiare, Moreno ha risposto senza esitare: "Lo sviluppo. Uno sviluppo che giunga a tutto il popolo, perché non succeda come in Messico, dove le esportazioni sono enormemente aumentate, ma la gente muore di fame. A tal punto che gli Stati Uniti, dopo aver tanto premuto per un trattato di libero commercio, sono stati obbligati a costruire un muro alla frontiera". Quanto a noi, ha ribadito il vicepresidente, "non accetteremo a nessun costo condizioni che non favoriscano gli ecuadoriani".

Nel suo intervento Lenín Moreno non ha risparmiato le battute: del resto è noto per il suo senso dell'umorismo, di cui ha fatto una filosofia di vita e su cui ha scritto numerosi libri (ricordiamo: Teoría y práctica del humor, Ser feliz es fácil y divertido, Los mejores chistes del mundo, Humor de los famosos, Trompabulario, Ríase, no sea enfermo, Cuentos no ecológicos). Solo grazie a questa sua capacità è riuscito a risollevarsi nel 1998, quando un proiettile sparato da un giovane malvivente lo ha costretto su una sedia a rotelle.

14/9/2007


Cile, un anniversario di violenza

Un poliziotto è morto e altri 42 sono rimasti feriti; 350 le persone arrestate: questo il bilancio degli scontri che sembrano essere divenuti un'abitudine nell'anniversario del golpe del 1973 e che hanno interessato soprattutto la periferia di Santiago (solo nella capitale sono finite in carcere 206 persone).

Nel centro della città la tradizionale commemorazione dell'11 settembre si è svolta in un clima teso. Secondo le disposizioni del ministro dell'Interno Belisario Velasco, solo "ai raggruppamenti e ai partiti politici" muniti di permesso dell'Intendencia era consentito di presentarsi alla porta laterale di Morandé 80 (l'ingresso usato da Allende durante il suo governo) e di recarsi poi alla statua eretta in onore dell'ex presidente per deporvi una corona di fiori. Un imponente schieramento di forze di polizia in assetto di guerra, che impediva il passaggio a chiunque fosse sprovvisto del permesso, riportava alla mente scene d'altri tempi. L'esecutivo ha giustificato la decisione con la necessità di impedire incidenti come quelli dello scorso anno, provocati da un gruppo di incappucciati davanti al palazzo presidenziale. Ma il provvedimento ha suscitato le indignate proteste dei partiti di sinistra e delle associazioni dei familiari delle vittime. La tensione è salita al massimo quando davanti alla Moneda è giunta la folta delegazione del Partido Comunista, che si è rifiutata di sottostare al controllo di polizia e ha rotto i cordoni, seguita dai militanti di Izquierda Cristiana. I manifestanti hanno contestato gli esponenti socialisti presenti, mentre l'Asamblea Nacional por los Derechos Humanos annunciava una denuncia nei confronti del ministro Velasco, per le vessazioni subite dai dimostranti arrestati domenica 9 (quando nei pressi del Cementerio General di Santiago un gruppo di partecipanti al corteo in ricordo di Allende si era scontrato con la polizia).

Anche la destra ha voluto ricordare l'11 settembre. La famiglia Pinochet ha scelto proprio questa data per inaugurare una cripta all'interno della sua proprietà di Los Boldos, primo passo verso la costruzione di un mausoleo dedicato al defunto dittatore. Dal canto loro gli ex collaboratori della giunta militare hanno deciso di costruire un museo che accoglierà gli oggetti personali di Pinochet. Sia il mausoleo che il museo saranno finanziati dalla Fundación Augusto Pinochet.

Neanche due settimane prima altri scontri avevano interessato il paese, concludendosi con numerosi feriti (tra cui un senatore socialista) e l'arresto di quasi 700 persone. Era avvenuto il 29 agosto, in occasione della giornata nazionale contro il neoliberismo promossa dalla Cut (Central Unitaria de Trabajadores), che aveva mobilitato migliaia di persone in diverse città, soprattutto Santiago, Concepción e Valparaíso. Alla protesta, repressa con durezza dalle forze dell'ordine, avevano dato la loro adesione gruppi dell'opposizione di sinistra come il Mir, Fpmr, La Zurda, il Partido Comunista e il Partido Humanista, ma anche il Partido Socialista e i giovani della Democracia Cristiana, provocando la contrarietà del governo, che aveva richiamato alla "coerenza" i partiti della coalizione. In una dichiarazione al giornale La Tercera il segretario del Ps, Marcelo Schilling, così giustificava il sostegno alla mobilitazione: "Si tratta di una rivendicazione profonda di cambiamento, di partecipazione, di integrazione, di giustizia e di uguaglianza, che sono i valori del Partido Socialista e che difenderemo sempre, piaccia o non piaccia".

12/9/2007


Botero: "Il bisogno di testimoniare"

Nel 1987 il Castello Sforzesco di Milano ospitava una mostra di Fernando Botero dedicata al tema della corrida. Dopo vent'anni l'artista colombiano torna nel capoluogo lombardo con la sua particolarissima cifra stilistica. Le 150 opere esposte a Palazzo Reale offrono uno spaccato dell'intera produzione del maestro; dalle figure umane singole o in gruppo ai d'apres, dalle coppie alle rielaborazioni di vicende colombiane come la morte di Pablo Escobar. Vi è poi la sezione dedicata al circo: una quarantina di lavori inediti (olii e disegni) su questo tema antico rivisitato in maniera assai personale. Infine l'orrore di Abu Ghraib, che fa piombare il visitatore in un'atmosfera cupa e violenta, dominata dal rosso del sangue e dalle smorfie di dolore dei prigionieri. Un atto di denuncia di rara forza espressiva nei confronti di ogni sopraffazione e ogni violazione della dignità umana. A Botero, che abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo studio di Pietrasanta (Lucca), abbiamo chiesto qual è stata la molla che lo ha spinto a dipingere l'inferno della prigione irachena.

-Tutto il mondo ha provato un grande shock nell'apprendere che gli statunitensi torturavano i prigionieri proprio ad Abu Ghraib, il carcere di Saddam Hussein: gli Stati Uniti, che si sono sempre presentati come i paladini della libertà, dei diritti umani, della compassione, si comportavano esattamente come Saddam. Ho letto sulla stampa Usa articoli che mi hanno colpito fortemente e mi hanno indotto ad affrontare questo tema, prima attraverso i disegni e poi attraverso i dipinti, fino a fare ottanta opere sul dramma di Abu Ghraib.

-Come sono state accolte queste opere negli Stati Uniti?

-I quadri sono stati esposti inizialmente a New York e hanno incontrato il favore del pubblico: la gente mi ha lasciato messaggi di approvazione, congratulandosi con me per il coraggio dimostrato nell'affrontare quest'argomento. In seguito le opere sono state esposte all'Università di Berkeley e anche lì hanno riscosso un notevole successo.

-Qual è, a suo parere, la funzione dell'artista di fronte a problemi quali la violenza, la guerra?

-La funzione dell'artista è di fare arte di grande qualità e talvolta questa nasce da momenti drammatici: un esempio è Guernica, con cui Picasso esprime l'orrore per il barbaro bombardamento di quella cittadina basca ad opera dei tedeschi. La mia pittura si ispira a molti temi, al continente latinoamericano soprattutto, dove ho trascorso la mia gioventù: negli anni Settanta in America Latina c'erano le dittature militari e io ho dipinto molti quadri per ridicolizzare quei personaggi. In seguito sono stato colpito dalla violenza nel mio paese e ho dedicato a questo tema una serie di lavori, che poi ho regalato al Museo Nacional de Colombia, così come quelli su Abu Ghraib intendo donarli all'Università di Berkeley, in California. Non sono opere che si fanno per denaro, non si può guadagnare sulla sofferenza altrui, si fanno per il bisogno di testimoniare, di denunciare una situazione inaccettabile.

-A che cosa sta lavorando adesso?

-Ho cominciato sei mesi fa a lavorare sul circo, un argomento che mi appassiona molto. È un tema già dipinto da Picasso, Toulouse Lautrec, Chagall, Léger... in tanti lo hanno affrontato, ognuno a suo modo. È un soggetto pieno di colore, poesia, libertà nei gesti, nei personaggi: si possono rappresentare contorsionisti, trapezisti, equilibristi, ecc. tutte figure che esistono solo nel circo e che concedono a un pittore grandi possibilità di creare.

18/7/2007


"L'Ecuador sta vivendo un momento magico"

"L'Ecuador sta vivendo un momento magico, di profonde trasformazioni". È questo il messaggio che il presidente Rafael Correa ha voluto portare ai suoi compatrioti emigrati nel Nord Italia e che ha ribadito ai giornalisti nel corso della conferenza stampa. "È chiaro che in sei mesi non potevamo cambiare tutto", avverte Correa: in effetti il suo insediamento è avvenuto solo in gennaio. E il governo di quest'economista, che si proclama "un socialista del XXI secolo" e che trae ispirazione da Simón Bolívar ed Eloy Alfaro, deve far fronte ai tentativi di destabilizzazione dei gruppi di potere che vedono minacciati i loro privilegi. Nel paese sta venendo meno la sicurezza e la certezza, denunciano gli oppositori. "Ma di quale sicurezza e di quale certezza parla l'oligarchia ecuadoriana? Di quale pace, con tre milioni di persone espulse dalla propria patria? La pace dei sepolcri? L'unica cosa che stanno perdendo è la sicurezza e la certezza di continuare a sfruttarci".

L'emigrazione è il riflesso più fedele del fallimento delle politiche neoliberiste applicate negli ultimi vent'anni, sostiene il presidente Correa. È soprattutto a partire dalla crisi del '99 che centinaia di migliaia di persone sono state costrette a espatriare. "Un vero e proprio dramma: famiglie distrutte, generazioni di ragazzi rimasti soli". Lo stesso fenomeno delle pandillas, le bande giovanili, nasce da questi giovani emigrati in un secondo tempo, che in Ecuador si erano abituati a vivere senza genitori e che ora stentano a integrarsi nella nuova realtà. Una prima risposta è la promozione di programmi educativi per i pandilleros, attraverso le ambasciate e i consolati. "Ma se volete la mia opinione, la soluzione migliore sarebbe la possibilità per tutti di tornare in patria - afferma Correa - Oltre a cercare migliori condizioni di vita per i compatrioti all'estero, il primo obiettivo del governo sarà quello di far sì che nessuno debba più lasciare la propria terra, e che quanti un giorno furono costretti a partire possano tornare e trovare in patria prosperità e giustizia".

L'emigrazione ha anche un forte risvolto economico: le rimesse rappresentano la seconda fonte di ingressi del paese. Nasce da qui il progetto governativo di un Banco del Migrante, un'istituzione finanziaria di cui siano azionisti gli stessi emigranti e che sia specializzata in servizi ai cittadini che lavorano all'estero: trasferimento di denaro alle famiglie senza costi aggiuntivi o concessione di microcrediti a quanti, al loro rientro, vogliano avviare un'attività.

Nel corso della conferenza stampa Correa ha illustrato la proposta del suo paese di chiedere alla comunità internazionale una compensazione per la decisione di non sfruttare il giacimento ITT. "Questo giacimento, che costituisce la più grande riserva di petrolio dell'Ecuador, è situato nel Parque Yasuní, zona ad alta biodiversità. Perciò ci siamo detti disposti a non sfruttarlo, ma chiediamo la corresponsabilizzazione del resto del mondo. Dell'ossigeno generato dal Parque Yasuní gode tutto il pianeta. Se decidiamo di non estrarre il petrolio per salvaguardare il parco, credo sia giusto che l'Ecuador riceva una piccola ricompensa per questo sacrificio. È vero che altre nazioni, come il Venezuela, seguono una politica diversa, ma è anche vero che se la nostra iniziativa avesse esito positivo potrebbe essere adottata da tutto il Sud America. Dipende dunque dalla comunità internazionale il successo di una politica energetica completamente nuova, che conservi l'ambiente per l'intero pianeta, ma che allo stesso tempo corresponsabilizzi il mondo in questa missione".

Durante l'incontro con i giornalisti, Correa ha annunciato che il suo governo sta iniziando i preparativi per denunciare la Colombia davanti alla Corte Internazionale dell'Aia. Bogotá infatti non cessa le fumigazioni delle coltivazioni di coca alla frontiera. "Rispettiamo la sovranità della Colombia - ha detto Correa - Possono prendere le loro decisioni, ma noi non possiamo permettere che tali decisioni si ripercuotano su un paese sovrano come l'Ecuador". È quanto sta avvenendo in particolare con l'irrorazione di glifosato: "Gli agenti chimici passano in territorio ecuadoriano e distruggono colture, bestiame, provocano malattie e addirittura la morte di esseri umani. Consideriamo la Colombia un paese fratello e il governo del presidente Uribe un governo amico, ma anche tra fratelli vi possono essere abusi e noi non lo permetteremo".

Sulla politica estera dell'Ecuador, latinoamerica-online.it ha fatto una breve intervista alla ministra María Fernanda Espinosa, che accompagnava il presidente Correa nel suo viaggio a Milano. Le abbiamo chiesto innanzitutto come Quito vede il negoziato in corso tra Unione Europea e Comunidad Andina de Naciones. "Siamo molto entusiasti delle trattative per un accordo di associazione con l'Unione Europea - ha risposto María Fernanda Espinosa - Abbiamo posto sul tavolo una serie di interessi comuni con l'Europa, ma allo stesso tempo abbiamo ribadito la necessità che si rispetti l'Ecuador come paese di minor sviluppo relativo e che questo ci conceda un trattamento speciale differenziato. Siamo enormemente interessati alla discussione di uno schema di cooperazione tra Europa e America Latina e paesi andini in particolare e a un rafforzamento del dialogo politico. Prima di tutto perché crediamo profondamente nell'integrazione regionale e ci sono parecchi esempi europei da cui imparare, in secondo luogo perché vediamo il multilateralismo come una delle forme principali di relazione a livello mondiale".

L'altro grande tema della politica estera ecuadoriana è il rapporto con Washington: Quito ha deciso di non rinnovare agli Usa la concessione della base militare di Manta e non ha partecipato alle manovre Unitas 2007, programmate insieme alla marina statunitense e a quelle di Colombia, Perù e Cile. Proprio l'Ecuador doveva ospitare quest'anno le esercitazioni navali, ma il Southern Command degli Stati Uniti ha deciso unilateralmente lo spostamento della sede in Colombia, provocando il ritiro ecuadoriano. "Abbiamo molto chiari i nostri interessi nazionali - ci ha detto la ministra Espinosa - Non rinnoveremo la base di Manta: l'accordo scade nel 2009 e terminerà nel 2009. Però ci interessa rafforzare le relazioni con gli Stati Uniti, che sono il nostro principale socio commerciale: vogliamo avere una relazione trasparente in materia economica, in base al principio del commercio giusto. Siamo convinti che l'America Latina, unita in un processo di integrazione reale e genuino, costituirà un grande interlocutore per gli Stati Uniti. Crediamo anche in un mondo multipolare, dove non esistano egemonie, ma rapporti di cooperazione e alleanza tra i diversi paesi".

14/7/2007


Il Venezuela verso il recupero delle risorse nazionali

Il recupero delle risorse nazionali era stato uno degli obiettivi posti dal presidente Hugo Chávez all'inizio del suo secondo mandato. Il 26 giugno il Venezuela si è assicurato il controllo del pacchetto azionario della maggioranza delle compagnie petrolifere operanti nella ricca Faja del Orinoco. La francese Total, la norvegese Statoil, la statunitense Chevron-Texaco e la britannica Bp hanno infatti acconsentito alla formazione di imprese miste con la petrolifera statale Pdvsa (con una maggioranza azionaria riservata allo Stato, che aumenta la sua partecipazione in media dal 39 al 78%). Anche l'italiana Eni, la cinese Sinpec e la venezuelana Inelectra sono giunte a un accordo, mentre Exxon Mobil, Conoco Phillips, PetroCanada e la cino-venezuelana Sinovensa hanno respinto ogni ipotesi di sistema misto e dovranno lasciare la regione.

La politica di nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia aveva conosciuto un'importante svolta in febbraio, con la firma di un memorandum d'intesa per l'acquisizione, dalla compagnia Usa Verizon Communications, del 28,51% delle azioni della Cantv (Compañía Anónima Nacional de Teléfonos de Venezuela). Analogo accordo era stato raggiunto con la statunitense Cms Energy, azionista dell'impresa elettrica Seneca, che distribuisce energia sull'isola Margarita. In precedenza era stato sottoscritto, con la statunitense AES Corp, un memorandum d'intesa che garantiva al Venezuela l'82,14% delle azioni di Electricidad de Caracas, la maggiore impresa elettrica del paese. Le transazioni con le compagnie Usa si erano svolte in un'atmosfera amichevole e senza scosse, grazie alla liquidità di Caracas.

Accanto all'obiettivo del recupero delle risorse, quello di liberarsi dei condizionamenti imposti da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, "meccanismi dell'imperialismo" per soggiogare i paesi in via di sviluppo, come li ha definiti lo stesso Chávez. Il ritiro del Venezuela da Banca Mondiale e Fmi è stato dichiarato ufficialmente il 30 aprile. Già in precedenza il capo dello Stato aveva annunciato la cancellazione di tutti i debiti con i due organismi finanziari, debiti che scadevano nel 2012: "Abbiamo trasformato il Venezuela, da paese indebitato e legato che eravamo, in un paese modesto, ma importante e in un centro finanziario di appoggio ad altri paesi e ad altri popoli". È terminato così un lungo periodo di dipendenza che aveva toccato i suoi massimi livelli nel 1989, quando il debito estero del Venezuela si aggirava sui 25.000 milioni di dollari e il governo di Carlos Andrés Pérez si era visto costretto a firmare un accordo con il Fondo Monetario, impegnandosi a un rigido programma di austerità che aveva provocato la rivolta sociale nota come Caracazo.

Sempre sul piano economico, nei primi mesi di quest'anno sono stati decisi l'aumento del 20% del salario minimo e la riduzione della giornata di lavoro, che sarà portata a sei ore entro il 2010. L'esecutivo ha inoltre approvato la Ley Especial de Defensa Popular per combattere l'accaparramento dei prodotti di prima necessità, in particolare degli alimentari. Questi beni sono stati definiti "di utilità pubblica e interesse sociale", consentendo allo Stato di occupare temporaneamente supermercati o magazzini commerciali sospettati di speculazione. Il controllo è stato demandato ai Consejos Comunales, organizzazioni di potere popolare decentrato. Tra le altre misure, la riforma monetaria che taglia di tre zeri il valore nominale del bolívar, la moneta locale, a partire dal febbraio 2008 e la riduzione dell'Iva di cinque punti percentuali, allo scopo di abbassare l'inflazione e favorire gli strati più poveri (la diminuzione di entrate di circa 3.720 milioni di dollari per le casse statali verrà compensata attraverso imposte sulla rendita e sui beni di lusso).

26/6/2007


Il "Berlusconi argentino" governerà Buenos Aires

A governare Buenos Aires sarà l'imprenditore di destra Mauricio Macri, di Propuesta Republicana. Nel ballottaggio del 24 giugno Macri ha trionfato, con oltre venti punti percentuali, sul suo avversario Daniel Filmus, del Frente para la Victoria (centro sinistra). Le aspirazioni del " Berlusconi argentino", come Macri viene definito, vanno però ben al di là del governo della capitale e il risultato di domenica 24, che mostra una destra all'attacco, costituisce un messaggio di avvertimento per il presidente Kirchner (sostenitore di Filmus) in vista delle presidenziali di ottobre. Del resto le speranze del Frente para la Victoria erano pressoché nulle dopo il primo turno, vinto da Macri con quasi il 46% dei consensi. Al terzo posto si era piazzato il centrista Jorge Telerman, capo di governo uscente di Buenos Aires, carica che ricopriva dalla destituzione di Aníbal Ibarra (travolto dallo scandalo in seguito al tragico rogo della discoteca Cromañón).

Mauricio Macri, esponente di una dinastia di cavalieri d'industria, è figlio del miliardario italiano Franco Macri (le cui fortune hanno un'origine poco chiara) ed è presidente della squadra di calcio Boca Juniors. La sua vittoria è legata all'appoggio dei settori più conservatori della città: a suo favore hanno votato le zone più ricche e quelle più povere, in una perversa alleanza dei beneficiari e delle vittime delle politiche neoliberiste degli scorsi decenni. Le stesse politiche che hanno trasformato Buenos Aires in una città di servizi segnando la rovina delle grandi fabbriche, facendo scomparire la classe operaia e impoverendo buona parte della classe media. E ora quartieri alti e villas miserias sono accomunati dalla richiesta di sicurezza e di mano dura contro il crimine e da un razzismo di fondo, che vede negli immigrati dai paesi andini la causa del dilagare della delinquenza e della distruzione dell'identità nazionale. Questo spiega perché Macri riunisca intorno a sé ex ministri della dittatura militare ed esponenti degli organi di comunicazione di destra e possa contare sulla simpatia della gerarchia cattolica. Che non ha esitato a scendere in campo: durante l'omelia per la festività del Corpus Domini, il cardinale Jorge Bergoglio aveva deplorato "la mancanza di dialogo istituzionale" e criticato quanti "maledicono il passato perché tentano di trarre vantaggi per il presente". Parole che erano suonate come un attacco all'intervento del presidente Kirchner nella campagna elettorale, e di conseguenza come un chiaro appoggio a Macri.

La vittoria della destra è stata favorita anche dalla divisione con cui la sinistra radicale si è presentata all'appuntamento elettorale: "moltiplicata come un mosaico veneziano", secondo le parole del giornalista di Página/12 José María Pasquini Durán. Va segnalato infine che il ballottaggio ha segnato un'altra sconfitta per Kirchner nella provincia di Tierra del Fuego, dove ha vinto Fabiana Ríos, di Alternativa para una República de Iguales. La Ríos, prima governatrice eletta di una provincia argentina (altre due donne avevano ricoperto quell'incarico, ma in seguito alla rinuncia dei loro predecessori), si è imposta sul candidato del Frente para la Victoria, che pure aveva vinto il primo turno.

25/6/2007


Paraguay, Lugo candidato unitario

Riunito in assemblea straordinaria, il Partido Liberal Radical Auténtico ha deciso di appoggiare l'ex vescovo Fernando Lugo come candidato della Concertación Nacional alle presidenziali del 2008, a patto che il senatore liberale Carlos Mateo Balmelli lo affianchi nella contesa elettorale come candidato vicepresidente. Come ha sottolineato il presidente del Plra, Blas Llano, la giornata ha dimostrato l'importanza dell'unità dell'opposizione per sconfiggere il Partido Colorado al potere da 60 anni. Un decisivo passo avanti se si considera che a fine marzo, quando 30.000 persone si erano mobilitate ad Asunción contro "l'ingiustizia e la corruzione" e a favore dell'ex vescovo, gli esponenti del Partido Liberal Radical Auténtico e di Patria Querida non avevano partecipato, definendo l'iniziativa un atto elettorale.

Parte dalle campagne il risveglio di questo paese a lungo dimenticato. Due giorni prima dell'iniziativa pro-Lugo, in numerose città migliaia di contadini erano scesi in piazza, affiancati da insegnanti e operai, per chiedere "salute, istruzione, pane e lavoro" e per ricordare la rivolta conosciuta come "il marzo paraguayano". Ribellione di diversi settori sociali in difesa della libertà e della democrazia, il "marzo paraguayano" fu scatenato dall'assassinio, il 23 marzo del 1999, del vicepresidente Luís María Argaña e portò alle dimissioni dell'allora presidente Raúl Cubas Grau, in seguito accusato di corruzione e omicidio.

Anche in febbraio i piccoli agricoltori si erano mobilitati, esasperati per il guadagno irrisorio ottenuto con i loro prodotti. La protesta era stata promossa dalla Fnc (Federaciòn Nacional Campesina), che rappresenta oltre 120.000 famiglie di produttori di cotone, dopo il mancato rispetto degli accordi sottoscritti tra rappresentanti dei coltivatori e governo. Il cotone grezzo ha subito un forte deprezzamento sui mercati internazionali e deve affrontare la concorrenza della produzione statunitense, generosamente sovvenzionata dal governo di Washington. Per questo l'esportazione di cotone è in netto calo, mentre cresce quella della soia, coltivata nei latifondi con sistemi ad alta tecnologia (e a scarsa manodopera). Sempre in febbraio era nato il Movimiento Comunero de Paraguay. Tra i suoi obiettivi - come aveva spiegato la dirigente Marilín Marichal - la difesa dei diritti umani, la democrazia, il socialismo e il sostegno alle proposte politiche del presidente venezuelano Chávez e del boliviano Morales.

17/6/2007


La Comunidad Andina tratta con l'Europa

Il vertice dei capi di Stato della Comunidad Andina de Naciones (Bolivia, Colombia, Ecuador e Perù) nella città boliviana di Tarija ha segnato lo sblocco del negoziato con l'Unione Europea, che dovrà proseguire sulla base del rispetto delle differenze e del diverso grado di sviluppo tra i paesi della Comunità. Si è così parzialmente sanata la spaccatura all'interno della Can tra i governi di Lima e di Bogotá, disposti a firmare senza condizioni l'accordo con l'Europa, e quelli di La Paz e Quito, che manifestavano forti perplessità. Sull'argomento erano intervenute il 31 maggio diverse organizzazioni sociali andine con un documento in cui si dicevano "profondamente preoccupate" per le conseguenze del trattato, "che nella sua componente commerciale include un accordo di libero commercio assai simile all'Alca che abbiamo sepolto molto tempo fa"; un accordo che "nella pratica si propone di approfondire l'agenda dell'Omc privilegiando la concorrenza, senza tenere in conto che nei paesi andini esistono realtà diverse, distinte e totalmente differenti dai modelli europei. Nella logica della proposta europea, così come in tutti i Tlc, la cosa più importante è la circolazione di capitale e merci, mentre si restringe la libera circolazione di esseri umani. Respingiamo le politiche che prevedono la privatizzazione della salute, dell'istruzione, dei servizi pubblici, dell'agricoltura, della conoscenza, della cultura e delle tradizioni delle comunità indigene. L'esperienza di paesi come il Messico, che firmò un Accordo di Associazione con l'Unione Europea sette anni fa, mostra che le alleanze con l'Europa beneficiano le imprese e le banche transnazionali e danneggiano le popolazioni". Non si tratta di un rifiuto a priori di intavolare relazioni commerciali con l'Europa, concludeva il documento, purché questo avvenga "sulla base dell'equilibrio e della reciprocità".

Nel corso del vertice di Tarija è avvenuto il rientro del Cile nella Comunidad Andina, sia pure solo come membro associato. E la presidente Bachelet ha avuto un incontro con il peruviano Alan García per tentare di disinnescare le tensioni dell'ultima settimana. Tra i due paesi esiste un'annosa controversia sulle acque territoriali e su una zona terrestre di 64 chilometri quadrati. Nei giorni scorsi la controversia si è riaccesa portando allo scambio di duri comunicati da parte dei rispettivi ministri degli Esteri e alla minaccia peruviana di ricorrere alla Corte Internazionale dell'Aia. La tensione si è trasferita dalla diplomazia alla piazza: a Tacna, la località del sud del Perù che per cinquant'anni rimase sotto occupazione cilena dopo la Guerra del Pacifico (1879), circa duecento manifestanti hanno bruciato le corone che l'ambasciatore cileno a Lima aveva collocato davanti al monumento agli eroi peruviani. Del resto Tacna è da decenni teatro di schermaglie nazionaliste, che il più delle volte si limitano a episodi goliardici. L'incontro a Tarija tra i due capi di Stato è durato circa mezz'ora: al termine García ha confermato alla stampa che il suo paese farà ricorso alla Corte dell'Aia, aggiungendo però: "Ho chiesto alla presidente Bachelet di non vedere la richiesta peruviana come un atto di inimicizia né come un atto di avversione, ma semplicemente come un reclamo storico-giuridico".

14/6/2007


Venezuela, la guerra delle tv

La notizia del mancato rinnovo della concessione a Radio Caracas Televisión ha fatto il giro del mondo, suscitando le proteste dei "difensori della libertà di stampa". Che hanno accusato il presidente Chávez di "voler statalizzare l'informazione", dimenticando qualche semplice dato: in Venezuela, su 709 radio 706 appartengono a imprese private e su 81 canali televisivi solo 2 sono statali. Per non parlare dei quotidiani: i 12 a tiratura nazionale e i 106 regionali sono tutti in mani private. Eppure in questi giorni si sono susseguiti gli attacchi contro "la dittatura" venezuelana e in Italia qualcuno (parliamo di servizi televisivi firmati da giornalisti "di sinistra") è giunto a paragonare il governo di Caracas con quello di Mosca (con esplicito riferimento all'uccisione di Anna Politkovskaja), di Pechino, di Teheran.

Tra i professionisti dell'informazione intervenuti in merito, pochi si sono soffermati a esaminare il ruolo giocato da Rctv nel 2002, durante il colpo di Stato che tentò di interrompere con la violenza l'esperienza venezuelana. In quei giorni nel palazzo di governo di Caracas, accanto al presidente golpista Carmona, figurava Marcel Granier, presidente del gruppo1BC che controlla una quarantina di emittenti in tutto il paese ed è proprietario di Rctv. Ci si potrebbe chiedere allora perché questa televisione non venne chiusa al ritorno al potere di Chávez. In realtà il governo ha voluto attenersi strettamente alle disposizioni legislative: la concessione dello spazio radiotelevisivo, di proprietà dello Stato come del resto in gran parte dei paesi (ad esempio nella vicina Colombia tanto cara a Bush), aveva la durata di vent'anni e per revocarla l'esecutivo ha atteso che giungesse a scadenza il 27 maggio 2007. Niente censura dunque: del resto Radio Caracas Televisión può continuare la sua programmazione attraverso altri spazi, via cavo ad esempio. Proprio in base a questa considerazione, mercoledì 23 la Corte Suprema aveva respinto il ricorso presentato dal canale tv, sentenziando che la decisione governativa non viola la libertà d'espressione.

Accanto ai commenti di stampa, le prese di posizione ufficiali. Tralasciando quelle più scontate, ad esempio le "preoccupazioni" espresse dal Dipartimento di Stato Usa, citiamo soltanto la mozione critica verso il governo venezuelano approvata dal Parlamento di Strasburgo il 24 maggio (43 a favore, 22 contrari). Tirando le somme, al voto hanno preso parte 65 eurodeputati su un totale di 785, il che non testimonia certo un forte coinvolgimento nella questione. "L'oligarchia venezuelana ha perso il suo tempo", ha commentato Chávez riferendosi al viaggio in Europa realizzato, qualche settimana fa, da Granier. Chávez ha poi ringraziato "i deputati socialisti e dei partiti verdi europei" per "non essersi prestati a questo gioco dell'estrema destra, alleata all'estrema destra venezuelana e sotto gli ordini degli Stati Uniti". Altri attacchi a Caracas sono venuti dal Congresso di Brasilia e dal presidente del Partido Socialista cileno Camilo Escalona: quest'ultimo è arrivato a paragonare la chiusura di Rctv alla censura del regime Pinochet. Il presidente Lula si è invece rifiutato di pronunciarsi sull'argomento, definendolo "un problema del governo venezuelano" e Michelle Bachelet, in questi giorni viaggio in Europa, si è espressa in modo molto cauto. Il segretario generale della Comunidad Andina, Freddy Ehlers, ha affermato che la decisione di non rinnovare la licenza è stata "legale e opportuna". Appoggio a Chávez hanno manifestato anche il Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e il regista Pino Solanas.Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura, ha sottoscritto insieme ad altri intellettuali e artisti britannici una lettera al Guardian in cui, dopo aver ricordato il passato golpista di Rctv, invita i lettori a immaginare "quali sarebbero le conseguenze se si scoprisse che la Bbc o Itv hanno preso parte a un colpo di Stato contro il governo inglese".

Intanto, tra quotidiane manifestazioni pro e contro, dalla mezzanotte del 27 maggio Radio Caracas Televisión ha smesso di trasmettere. E a mezzanotte e venti ha iniziato la sua programmazione TVes (Televisora Venezolana Social), con l'inno nazionale e l'Orquesta Sinfónica Simón Bolívar. Il primo programma è stato la diretta dei festeggiamenti per il nuovo canale da un teatro della capitale. TVes manderà in onda film, animazione, sport e telenovelas, ma sarà soprattutto una televisione di servizio pubblico, come ha assicurato la direttrice Luisana Colomine, in cui troveranno spazio "tutte le correnti ideologiche del Venezuela, comprese quelle che non condividono la costruzione della Rivoluzione Bolivariana".

1/6/2007


Guatemala, culto e mondanità

Più che una cerimonia religiosa è apparsa una celebrazione mondana. L'inaugurazione del megatempio della setta neopentecostale Fraternidad Cristiana, alla periferia della capitale, ha visto la presenza del presidente Berger, di sindaci, parlamentari, diplomatici, candidati presidenziali. L'edificio principale può ospitare 12.000 persone, è dotato di schermi giganti e spazi per vere e proprie rappresentazioni (un'attenzione speciale è stata riservata all'acustica). L'intero complesso, denominato Mega Fráter, è il più grande del suo genere nella regione: occupa una superficie di 113.000 metri quadrati ed è completo di parcheggio, eliporto, aule e centro congressi, libreria, bar, bancomat.

La Chiesa Fraternidad Cristiana è stata fondata nel 1979 dall'attuale pastore generale Jorge H. López, che all'inizio poteva contare solo su 20 seguaci: ora i fedeli sono circa 15.000 e - a detta di López - le loro offerte hanno permesso la costruzione della gigantesca opera. Di origine battista, López definisce Fraternidad Cristiana "una Chiesa per la famiglia" (e in effetti la sua famiglia ne costituisce la guida spirituale: oltre a lui sono pastori la moglie e il figlio). Una Chiesa, è sempre López che parla, che vuole "far dimenticare la mentalità per cui un cristiano deve essere povero e senza influenza nella società". Quello che è certo è che Fraternidad Cristiana non è povera e gode di notevole influenza nella società guatemalteca, almeno a giudicare dalle personalità politiche presenti il 27 maggio all'apertura al culto del Mega Fráter.

27/5/2007


Cile, verso un maggior impegno sociale?

Con una relazione di quasi due ore la presidente Bachelet ha analizzato il 21 maggio, davanti al Congresso, le realizzazioni dell'anno appena trascorso e le sfide che la attendono. Ha annunciato miglioramenti in campo sanitario (con la costruzione di nuovi ospedali e consultori), maggiori fondi per l'istruzione, l'edilizia popolare, le pensioni; nuove opere pubbliche e iniziative per aumentare la partecipazione della società alla vita politica. È apparsa insomma decisa ad adempiere quell'impegno sociale assunto in campagna elettorale e che finora era passato in secondo piano. Ha poi rivolto un appello sia agli alleati della Concertación che all'opposizione: "L'opposizione può e deve esercitare la sua funzione, ma senza pregiudicare il progresso del paese; la Concertación ha un impegno di lealtà verso i cittadini che non devono essere defraudati. Invito la mia coalizione a non perder di vista questo impegno, che si esprime nella guida del governo, nel nostro programma e nelle nostre priorità".

Michelle Bachelet ha poi riconosciuto gli errori commessi con il piano di trasporti della capitale, il Transantiago, il cui fallimento aveva scatenato una vera e propria sollevazione popolare. "Questa riforma è stata un'esperienza negativa e frustrante per l'enorme maggioranza degli abitanti di Santiago, soprattutto per i settori più poveri", ha detto, aggiungendo che per superare la situazione sarà inviato all'esame del Parlamento un progetto di legge per la creazione di un'autorità metropolitana del trasporto.

Varato il 10 febbraio con l'ambizioso obiettivo di ridurre inquinamento e rumore, il Transantiago aveva rivoluzionato i percorsi dei mezzi pubblici e ridotto gli autobus da 8.000 a 5.000. Dopo alcuni giorni di esasperanti attese alle fermate e di congestionamento del traffico, i pendolari avevano espresso il loro malcontento dando vita a violente manifestazioni di protesta, obbligando Bachelet a rimuovere il ministro responsabile, Sergio Espejo. Il rimpasto era costato il posto anche alla ministra della Difesa Vivianne Blantot, a quello della Giustizia Isidro Solís e alla responsabile della Segreteria Generale della Presidenza, Paulina Veloso, che negli ultimi tempi avevano ricevuto critiche sia dall'opposizione che dalla maggioranza. A sostituirli erano stati chiamati José Goñi alla Difesa, Carlos Maldonado alla Giustizia, il senatore socialista José Viera-Gallo alla Segreteria della Presidenza e René Cortázar ai Trasporti: quest'ultimo aveva subito presentato sostanziali modifiche al Transantiago. I cambiamenti all'interno dell'esecutivo non erano però riusciti a impedire nuove proteste il 29 marzo, Día del Joven Combatiente (anniversario dell'uccisione dei fratelli Rafael ed Eduardo Vergara, militanti del Mir, durante la dittatura). Il malcontento per la gestione dei trasporti - e più in generale per una società fortemente disuguale - si era saldato alla mobilitazione degli studenti, che nella capitale si erano scontrati con la polizia, con un bilancio complessivo di decine di feriti e centinaia di arrestati, molti dei quali minorenni.

Per rispondere alle richieste del mondo della scuola, il 9 aprile la presidente Bachelet aveva firmato la deroga della Ley Orgánica Constitucional de Enseñanza (Loce), sostituendola con la Ley General de Educación. Il nuovo sistema elimina gli aspetti più contestati della legge introdotta dalla dittatura, senza però cancellarne completamente lo spirito. "Sono state prese in considerazione alcune delle lamentele portate avanti lo scorso anno, ma temo che l'istruzione continuerà a operare secondo le leggi di mercato": questo il commento del presidente del Colegio de Profesores, Jorge Pávez, raccolto dal quotidiano argentino Página/12. La Ley General de Educación prevede che i proprietari di collegi privati siano fondazioni od organizzazioni senza fini di lucro e crea una Soprintendenza con il compito di controllare l'utilizzo dei fondi statali assegnati ai diversi istituti. Proibisce inoltre, negli otto anni di istruzione di base, l'imposizione di qualsiasi criterio di selezione per l'ammissione degli alunni. Prima della scuola, Michelle Bachelet aveva posto mano al sistema elettorale, riformando la legge del regime di Pinochet che limitava la rappresentanza in Parlamento dei partiti minoritari.

22/5/2007


Messico, in corteo per le pensioni

Scioperi e cortei si sono svolti il 21 maggio nel centro della capitale per protestare contro la nuova Ley de Seguridad Social dei lavoratori statali: anche la prestigiosa Unam (Universidad Nacional Autónoma de México) è rimasta chiusa per dodici ore. Il presidente Calderón ha giustificato la riforma con la necessità di garantire le pensioni alle future generazioni, ma i sindacati respingono il provvedimento e minacciano nuove agitazioni. Nel frattempo aumentano le critiche verso la politica di sicurezza pubblica del governo e in particolare verso la decisione di ricorrere all'esercito in funzione anticrimine. Se sono scarsi i risultati raggiunti, sono decine le denunce ai militari per violazione dei diritti umani. Durante la vasta offensiva lanciata nello Stato del Michoacán per vendicare la recente uccisione di cinque soldati si sono registrate detenzioni arbitrarie, perquisizioni illegali, ricorso alla tortura e casi di violenza sessuale. Ma l'episodio più drammatico si è svolto nello Stato di Veracruz dove una contadina di 73 anni, Ernestina Ascención Rosario, è morta alla fine di febbraio per le conseguenze della violenza subita da un gruppo di soldati (sembra che i militari volessero vendicarsi della comunità indigena che aveva osato denunciare le loro sopraffazioni). Secondo la versione della Procura dello Stato, invece, la morte dell'anziana donna sarebbe avvenuta per cause naturali.

Il 12 maggio Città del Messico era stata attraversata da un'altra manifestazione, che chiedeva la scarcerazione dei prigionieri politici e protestava contro le pesanti condanne inflitte a Ignacio del Valle Medina, Felipe Alvarez Hernández, Héctor Galindo Gochicua, dirigenti del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (Fpdt) di San Salvador Atenco. I tre dovranno scontare 67 anni e sei mesi di prigione ciascuno per "sequestro": avevano trattenuto alcuni funzionari statali nel corso delle proteste popolari del 2006. "È un'infamia, si tratta di una vendetta del regime per mantenerli in galera con reati costruiti ad arte": questo il commento della responsabile della difesa, Bárbara Zamora. La moglie di Ignacio del Valle, Trinidad Ramírez, ora a capo del movimento contadino, aveva appreso della condanna mentre si trovava a Cuernavaca, nello Stato di Morelos, dove a nome del marito aveva ricevuto un premio per la difesa dei diritti umani. Altri militanti del Fpdt stavano invece partecipando alla caravana motorizada dell'Ezln. "Come zapatisti possiamo solo dire che il burocrate della giustizia che ha emesso la condanna è molto ingenuo, perché questo piacere non gli durerà 60 anni; prima, molto prima, le carceri dell'Altiplano, di Santiaguito, del Molino de las Flores e di tutto il paese si apriranno e ne usciranno tutti i detenuti", aveva dichiarato il subcomandante Marcos.

Secondo le organizzazioni per i diritti umani, l'amministrazione Fox ha lasciato in eredità oltre 400 detenuti per ragioni politiche (in particolare per le rivolte di Oaxaca e di San Salvador); a questa cifra vanno aggiunti gli arresti avvenuti nei primi mesi di governo del presidente Calderón, che ha represso con durezza le proteste per l'installazione della Minera San Xavier a San Luis Potosí e per la visita di George W. Bush.

21/5/2007


Un Vaticano sempre più distante

Papa Ratzinger è rientrato in Vaticano dopo il suo primo viaggio fuori dei confini europei. Cinque giorni in Brasile che non sembra abbiano dato molti frutti e che non hanno visto quel bagno di folla che le gerarchie ecclesiastiche forse si aspettavano. Del resto, parlare di guerra all'aborto e al divorzio, castità prematrimoniale e rifiuto del preservativo in un paese immerso in enormi problemi economici e sociali non poteva scatenare grande entusiasmo. Anche l'incontro con il presidente Luiz Inácio da Silva non è stato soddisfacente per Benedetto XVI: il cattolico Lula ha tracciato una netta linea di demarcazione tra Stato e Chiesa. Lo aveva già chiarito all'atto di ricevere l'illustre (e imbarazzante) ospite: dopo aver formalmente ringraziato per "l'appoggio entusiasta del Vaticano" all'iniziativa contro la fame e la povertà promossa da Francia e Brasile, Lula aveva ricordato che "lo Stato brasiliano e la Chiesa cattolica hanno una lunga e proficua storia di mutuo rispetto", con ciò sottolineando la separazione tra i due poteri. In precedenza il ministro della Sanità, José Gomes Temporão, aveva criticato a chiare lettere le pressioni ecclesiastiche contro il progettato referendum sull'interruzione volontaria della gravidanza. Gomes aveva inoltre espresso la propria solidarietà ai parlamentari di Città del Messico minacciati di scomunica per aver votato la depenalizzazione dell'aborto.

I rapporti tra Stato brasiliano e Chiesa non attraversano un buon periodo: il primo maggio il capo dello Stato non ha partecipato, per la prima volta in 27 anni, alla messa celebrata nel cordone industriale di San Paolo. Paese a grande maggioranza cattolico, il Brasile assiste a una continua emorragia di fedeli verso le sette evangeliche (soprattutto neopentecostali) di matrice statunitense. Se negli anni Cinquanta quasi il 94% dei brasiliani si dichiarava cattolico, nel 2000 questa percentuale era scesa sotto il 74% e ora è calcolata attorno al 64%.

Aprendo ad Aparecida la V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano, Benedetto XVI ha espresso considerazioni sulla spiritualità ancestrale (dipingendo le popolazioni precolombiane in attesa della fede cristiana) che non sono piaciute agli esponenti dei Popoli e delle Nazionalità Indigene di Abya Yala. In un comunicato il movimento ricorda l'avallo dato dalla Chiesa cattolica allo sfruttamento del continente, che culminò "in uno dei genocidi più orribili" della storia dell'umanità, e afferma che "il capo della Chiesa cattolica dovrebbe almeno riconoscere l'errore commesso". Il documento si dice inoltre solidale con i leader della sinistra latinoamericana (Fidel Castro, Evo Morales, Hugo Chávez) cui il pontefice non ha risparmiato velate critiche.

Papa Ratzinger non ha neppure resistito alla tentazione di attaccare la Teologia della Liberazione. Una corrente di pensiero tuttora vitale nonostante le ripetute condanne da parte della Chiesa, che ha via via imposto il silenzio al teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, al brasiliano Leonardo Boff e nel marzo di quest'anno al gesuita spagnolo (da anni residente in Salvador) Jon Sobrino, accusato di essere "cosciente dell'umanità di Gesù Cristo, ma non della sua divinità". Contro la condanna di Sobrino si erano levate molte voci, prima tra tutte quella di Frei Betto, che aveva deplorato il tentativo di censurare "la visione latinoamericana di un Gesù che non è bianco e non ha gli occhi azzurri". Si allarga così la distanza tra il papa tedesco e l'America Latina dove, a un clero docile e ligio alle imposizioni del Vaticano (grazie ai cambiamenti nelle gerarchie introdotti dal suo predecessore), si contrappone una società attraversata da un intenso dibattito sui temi delle libertà civili. Basti pensare alla legge che depenalizza l'aborto entro le prime dodici settimane, votata nella capitale di un altro grande paese cattolico: il Messico.

14/5/2007


Argentina, una militante della memoria

Le piace definirsi "una militante della memoria". E a permetterle di sopravvivere è stata proprio la necessità di testimoniare, l'urgenza di raccontare per introdurre nella società gli anticorpi che impediscano il ripetersi dell'orrore. Solo così si spiega la straordinaria vitalità di Vera Vigevani, la sua capacità di non piegarsi nonostante i drammi vissuti. Nata a Milano nel 1928, a dieci anni viene cacciata da scuola ed è costretta ad abbandonare l'Italia e a trasferirsi con la famiglia in Argentina a causa delle leggi razziali; solo il nonno rifiuta di partire e sarà deportato ad Auschwitz, dove morirà nel 1943.

Nella sua nuova patria Vera lavora come giornalista all'Ansa di Buenos Aires e sposa l'ingegnere triestino Giorgio Jarach, anch'egli fuggito dall'Italia perché ebreo. Nel dicembre del 1957 nasce la figlia Franca. Il 25 giugno del 1976, pochi mesi dopo il golpe, Franca - liceale diciottenne "colpevole" di aver protestato contro il regime - viene sequestrata dai militari e il suo nome si aggiunge alla lunga lista dei desaparecidos. La madre conoscerà la verità sulla sua sorte solo nel 2000 quando una donna, sopravvissuta al campo di concentramento della Esma, troverà la forza di raccontare: "Ho aspettato per un anno che mi parlasse perché non voleva ricordare, aveva visto cose terribili e voleva rimuovere tutto. Le ho chiesto se avevano torturata mia figlia, ma non mi ha risposto. La detenzione di Franca durò pochissimo. A un mese dal suo arresto lei e molti altri vennero eliminati per far posto a coloro che sarebbero arrivati. Nel mio caso non c’è alcuna speranza di ritrovare neanche il suo corpo, mia figlia è stata buttata giù da un aereo, buttata a mare".

Durante tutto il periodo della dittatura Vera Vigevani ha lottato con coraggio insieme alle altre Madres de Plaza de Mayo. E non ha smesso di lottare neanche in seguito per far conoscere la verità al mondo, per tramandare la memoria. "Perché la memoria? Quando ci dicono - e lo fanno sovente di questi tempi - smettetela di rivangare il passato, pensate al futuro, la nostra risposta è: proprio per questo parliamo di memoria; non per guardare indietro, per ricordare i fatti in sé stessi, ma perché le giovani generazioni li conoscano ed eventualmente, di fronte alle avvisaglie che possano ripetersi, si comportino diversamente da allora, non siano indifferenti o passivi, ma siano solidali e trovino modo di reagire". Questo ci ha detto Vera il 9 maggio a Milano, una delle tappe del suo recente viaggio in Italia, fitto di conferenze e di incontri soprattutto con i giovani.

In febbraio, presso l'ambasciata italiana a Buenos Aires, il presidente della Camera Bertinotti, a nome del presidente Napolitano, le aveva consegnato le insegne di Commendatore della Repubblica Italiana. Il riconoscimento - si legge nella motivazione - viene conferito a una "persona testimone e vittima delle principali tragedie del XX secolo: la persecuzione degli ebrei in Europa e il dramma dei desaparecidos in Argentina". A queste due tragedie Vera Vigevani ha dedicato altrettanti libri: nel 1998 Tante voci, una storia. Italiani ebrei in Argentina (1938-1948), scritto insieme a Eleonora Smolensky (ed. Il Mulino); nel 2005 Il silenzio infranto; il dramma dei desaparecidos italiani in Argentina (con Carla Tallone, Silvio Zamorani Editore).

Ma non c'è solo la ricerca della verità e la custodia del ricordo ad animare la lotta di Vera e delle Madres. C'è anche la domanda di giustizia, che per anni si è scontrata con il muro costituito dalle leggi dell'impunità a favore di torturatori e assassini. "Per questo i processi avviati in Italia sono stati fondamentali. Innanzitutto perché sono stati iniziati quando in Argentina non si poteva ancora fare nulla, poi perché hanno permesso di ascoltare testimonianze, di emettere condanne, sia pure in contumacia. Manca ora solo una cosa: la richiesta dell'estradizione da parte dello Stato italiano". Tra le testimonianze figura quella di Vera, che ha deposto il 9 novembre dello scorso anno nel procedimento per i fatti della Esma, procedimento che ha portato alla condanna di Jorge Acosta, Alfredo Astiz, Jorge Vildoza, Antonio Vañek ed Héctor Febres. Anche in Argentina qualcosa si sta muovendo, grazie al governo di Néstor Kirchner. "È stato il primo governo ad appoggiare le nostre richieste di giustizia, di cancellazione dell'impunità. Non solo: questo presidente cerca, nei limiti del possibile, di portare avanti gli ideali, gli obiettivi di giustizia sociale della generazione dei nostri figli, quella generazione a cui lui stesso appartiene".

Lugar

A la mañana paso
cerca de un sitio rodeado de muros
altos grices tristes sucios
de carteles, de vote lista azul
un día miro adentro
es una villa miseria.
Gente
más gente.
Vestida de tela barata
desnuda de felicidad.
Una chica me ofrece limones
"cien la docena, compremé".
Tiene trece años, más o menos
mi edad.
Un almacén ruinoso,
con ratas, con suciedad
con microbios funestos.
Es un sitio rodeado de muros
sucios de crímines humanos
que son sólo nuestros.

Questa poesia è stata scritta da Franca Jarach a 13 anni

10/5/2007


Messico, aborto: niente scomunica per i parlamentari

Non sono stati scomunicati i parlamentari di Città del Messico che hanno detto sì all'interruzione volontaria della gravidanza. La notizia, che era apparsa su vari organi di stampa anche italiani, è stata smentita dallo stesso Vaticano: il portavoce Federico Lombardi ha dichiarato che "non è giunto alcun comunicato in merito da parte dei vescovi messicani". Lombardi ha inoltre precisato che il Codice di Diritto Canonico prevede la scomunica automatica per le donne che abortiscono e per i medici che praticano l'intervento, non per i politici che legiferano a favore.

La legge che depenalizza l'aborto entro le prime dodici settimane è stata votata il 24 aprile dall'Assemblea Legislativa del Distrito Federal (il Parlamento della capitale). A nulla sono valse le pesanti pressioni della Chiesa (lo stesso papa Ratzinger aveva inviato un messaggio all'Assemblea): per la depenalizzazione si è pronunciata una larga maggioranza (Prd, Pri, Nueva Alianza, Alternativa y Convergencia); solo Pan e Partido Verde hanno espresso voto contrario. I parlamentari della capitale hanno anche modificato la Ley de Salud, definendo prioritaria l'attenzione alla salute sessuale e riproduttiva e imponendo alle istituzioni sanitarie pubbliche l'obbligo di garantire assistenza a quante richiedano l'interruzione della gravidanza entro il periodo previsto. Il voto è venuto al termine di un dibattito durato mesi durante il quale i cattolici conservatori hanno rispolverato toni da crociata, giungendo a minacciare di morte medici e infermieri.

La maggioranza della popolazione appare comunque a favore della depenalizzazione, anche per combattere la piaga dell'aborto clandestino che ogni anno miete innumerevoli vittime tra le donne più povere. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a più riprese per difendere non solo il diritto a decidere, ma anche la laicità dello Stato. La legge sull'interruzione volontaria della gravidanza non è il primo rospo che il clero di Città del Messico ha dovuto ingoiare: il 17 marzo nella capitale erano state ufficializzate le prime unioni tra coppie di omosessuali grazie all'approvazione della Ley de sociedad de convivencia, che consente la registrazione delle unioni civili e garantisce ai contraenti i diritti patrimoniali e di successione.

1/5/2007


Prove tecniche di integrazione

Il processo di integrazione regionale ha registrato importanti progressi grazie a due incontri avvenuti, nella seconda metà del mese, in territorio venezuelano. Sull'isola di Margarita si è tenuto, il 16 e il 17 aprile, il primo vertice sudamericano sui temi dell'energia: vi hanno preso parte i capi di Stato di Argentina, Brasile, Bolivia, Colombia, Cile, Ecuador, Paraguay, Venezuela e rappresentanti di Uruguay, Suriname, Guyana e Perù. I partecipanti hanno concordato di istituzionalizzare il meccanismo di integrazione regionale come Unasur (Unión de Naciones Suramericanas) e di creare un Consejo Energético destinato a valutare le risorse in petrolio, gas e biocombustibili per combattere la miseria e gli squilibri regionali e promuovere lo sviluppo sociale ed economico. Nella Declaración de Margarita i firmatari si impegnano a garantire l'accesso universale all'energia, riconoscono il potenziale dei biocombustibili per diversificare le fonti energetiche, ma invitano anche a rendere compatibile la produzione energetica con l'agricoltura, la salvaguardia dell'ambiente e la promozione di adeguate condizioni sociali e di lavoro. Il progetto di integrazione si basa su quattro linee direttrici: petrolio, gas, risparmio energetico ed energie alternative (biocombustibili, ma anche energia eolica, solare e idroelettrica).

Durante il summit il Brasile, il maggiore consumatore regionale di gas, non ha nascosto la sua opposizione al progettato cartello sudamericano dei produttori basato sull'accordo sottoscritto in marzo da Venezuela, Argentina e Bolivia. Come ha spiegato il ministro brasiliano dell'Energia Silas Rondeau, "hanno proposto la creazione di una Opep del gas e io ho detto che in linea di principio non era d'accordo con una separazione dei produttori di gas contro i consumatori". È apparso invece superato il contrasto tra Cile e Venezuela, sorto dopo che il Senato cileno aveva invitato la presidente Bachelet a protestare, presso l'Organización de los Estados Americanos, per la decisione del governo Chávez di non rinnovare la licenza a Radio Caracas Televisión. Di fronte a questa intromissione negli affari interni venezuelani, Chávez aveva risposto con fermezza, ricordando tra l'altro l'appoggio dato dalla destra del Senato al golpe di Pinochet contro Allende. Michelle Bachelet, in procinto di effettuare una visita ufficiale in Venezuela, si era vista costretta a chiedere a Chávez di rispettare le istituzioni cilene: la polemica si è conclusa con un messaggio del presidente venezuelano che, dopo aver chiesto scusa a Bachelet per le difficoltà create dalle sue dichiarazioni, ha ribadito comunque il suo dovere di difendere la sovranità nazionale.

Il 28 e il 29 aprile Barquisimeto ha ospitato il vertice dell'Alternativa Bolivariana para las Américas (Alba), con la partecipazione del presidente boliviano Evo Morales, del nicaraguense Daniel Ortega, del vicepresidente cubano Carlos Lage e - in qualità di osservatori - del presidente haitiano Préval e della ministra degli Esteri ecuadoriana María Fernanda Espinosa. Erano inoltre presenti delegazioni dell'Uruguay, di Saint Vincent, Saint Kitts and Nevis e Dominica. Nel corso dell'incontro il governo di Caracas si è offerto di finanziare il 50% della fattura petrolifera di Bolivia, Cuba, Nicaragua e Haiti, e di creare un fondo Alba per progetti sociali nell'area agricola, alimentare e delle piccole e medie imprese. "È arrivato il momento che il petrolio serva da sviluppo dei nostri popoli", ha affermato il presidente Chávez, lamentando che nel passato questa ricchezza abbia contribuito solo allo sviluppo statunitense. Attraverso PetroCaribe, il Venezuela fornisce già greggio alla maggioranza dei paesi dei Caraibi a prezzi favorevoli. Il progetto di Alternativa Bolivariana para las Américas era stato promosso tre anni fa da Cuba e Venezuela in contrapposizione all'Alca, con l'obiettivo di privilegiare gli accordi politici al disopra di quelli economici.

Di tutt'altro tenore il vertice straordinario che si era svolto il 10 aprile, nello Stato messicano di Campeche, per rilanciare il Plan Puebla-Panamá. Oltre ai capi di Stato e di governo del Messico, dei sette paesi del Centro America e della Colombia come nuovo socio, all'incontro avevano assistito rappresentanti di diversi organismi multilaterali di cooperazione e assistenza finanziaria, come il Banco Interamericano de Desarrollo, il Banco Centroamericano de Integración Económica, la Corporación Andina de Fomento e la Comisión Económica para América Latina. L'iniziativa era stata promossa dal presidente Felipe Calderón, che alla vigilia aveva espresso a chiare lettere la decisione del suo paese di assumere "il ruolo che gli spetta" nell'equilibrio regionale. L'ambizione di Calderón, con l'appoggio di governi più o meno schierati a fianco di Washington (fatta eccezione, in certa misura, per il Nicaragua) è quella di contrastare l'influenza che Hugo Chávez ha guadagnato nel sud del continente.

30/4/2007


Colombia, lo scandalo della parapolitica

"Quanti hanno favorito il paramilitarismo non stavano comprando la loro sicurezza, ma finanziando il terrore". Lo ha detto il procuratore generale Mario Iguarán commentando il ritrovamento di 78 cadaveri, che erano stati sepolti in fosse comuni nelle campagne del dipartimento del Meta. Tra le vittime, cinque bambini e due adolescenti. È solo l'ennesima conferma dei massacri compiuti dalle bande paramilitari, di cui stanno venendo alla luce in questi mesi i legami con la politica. I collegamenti di esponenti della maggioranza con i gruppi armati dell'estrema destra erano apparsi evidenti dopo la scoperta del computer di Rodrigo Tovar, alias Jorge 40, uno dei comandanti delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia): nei files erano indicate le attività di vari parlamentari e le loro riunioni con i capi delle squadracce. Il 19 gennaio, inoltre, era stato reso noto il testo di un patto sottoscritto nel 2001 tra 32 leader politici e i paramilitari, allo scopo di "rifondare la patria e stabilire un nuovo contratto sociale".

Esattamente un mese dopo, il 19 febbraio, la ministra degli Esteri María Consuelo Araújo era costretta a dimettersi, dopo il pesante coinvolgimento di suoi familiari in quello che i media hanno ribattezzato "lo scandalo della parapolitica". Su ordine della Corte Suprema di Giustizia il fratello Alvaro, parlamentare, era stato arrestato insieme al senatore Dieb Maloof, mentre il padre, Alvaro Araújo Noguera, finiva sotto inchiesta da parte della Procura in relazione a un sequestro perpetrato dai paras. Altri membri del Congresso e persino alcuni sindaci venivano accusati di aver "comprato" l'appoggio delle Auc alla loro carriera politica. Tra gli indagati più noti Jorge Noguera, ex direttore del Das (Departamento Administrativo de Seguridad), che avrebbe collaborato a un piano per l'omicidio sistematico di sindacalisti e a un tentativo di assassinio del presidente venezuelano Hugo Chávez. Noguera, amico personale e responsabile della campagna elettorale di Uribe nel dipartimento di Magdalena, avrebbe anche compiuto pesanti brogli per garantire la vittoria dell'attuale presidente nelle elezioni del 2002. Dopo aver rinunciato alla direzione del Das nel 2005, Noguera aveva potuto contare ancora sull'appoggio del potere: era stato infatti nominato console della Colombia a Milano, mantenendo l'incarico fino al maggio dello scorso anno. In seguito, mentre i sospetti contro di lui crescevano, aveva tentato di rifugiarsi negli Stati Uniti finché, alla fine del 2006, si era presentato davanti alla giustizia.

A fine marzo nuove rivelazioni mettevano in imbarazzo il governo Uribe: il quotidiano statunitense Los Angeles Times illustrava i legami del comandante in capo dell'esercito, generale Mario Montoya, con il paramilitare Diego Murillo Don Berna, che fino a qualche anno fa dominava la città di Medellín. E sempre a proposito di legami imbarazzanti, l'impresa Chiquita Brands International, produttrice delle famose banane, ammetteva di aver aiutato finanziariamente i paramilitari in cambio di protezione, versando quasi due milioni di dollari tra il 1997 e il 2004 (anno in cui vendette la sua filiale colombiana). Per questo veniva condannata dal Dipartimento di Giustizia statunitense a una multa di 25 milioni di dollari: i paras sono infatti considerati dal governo di Washington un'organizzazione terrorista. La condanna è stata definita troppo mite dalle associazioni per i diritti umani, che da tempo accusano le banane Chiquita di essere "macchiate di sangue". La compagnia infatti non avrebbe pagato i paras solo per proteggere i suoi impianti, ma per minacciare e assassinare i leader sindacali che reclamavano i diritti dei lavoratori. Inoltre i porti controllati dalla Chiquita sarebbero stati usati per contrabbandare nel paese armi destinate alle Auc.

La denuncia più recente riguarda però lo stesso capo dello Stato, che - secondo il senatore del Polo Democrático Alternativo, Gustavo Petro - avrebbe avuto un ruolo attivo nella creazione "del mostro paramilitare". Quando era governatore del dipartimento di Antioquia, Uribe avrebbe incentivato le cooperative di sicurezza privata Convivires, mettendo alla loro testa capi paramilitari e narcotrafficanti. Riunioni di bande armate e massacri di oppositori sarebbero avvenuti anche in due fattorie della famiglia di Uribe. Accuse pesanti, che il presidente ha cercato di controbattere apparendo in televisione: un discorso volto non tanto a difendere la sua reputazione davanti alla nazione, quanto a giustificarsi davanti al Congresso Usa, dove la maggioranza democratica ha già espresso dubbi sul rinnovo del Plan Colombia.

27/4/2007


Ecuador, consenso popolare per Correa

Una "risposta di pace, giustizia e sviluppo" all'azione "militarista e violenta" di Bogotá e al suo Plan Colombia sponsorizzato da Washington: questo in sintesi il Plan Ecuador proposto dal presidente Correa. Un progetto che conterà sull'aiuto di Corea, Canada e Nazioni Unite per combattere gli effetti economici dell'arrivo nel paese di migliaia di rifugiati colombiani, in fuga dalla violenza (14.000 ufficialmente registrati, altri 5.000 in attesa di asilo, ma il loro numero cresce quotidianamente).

Non è stato l'unico clamoroso annuncio del capo dello Stato, rafforzato dal trionfo del sì al referendum sulla Costituente. Riaffermando con forza la sovranità nazionale, Correa ha reso nota l'intenzione di espellere il rappresentante della Banca Mondiale a Quito, il brasiliano Eduardo Somensatto, e di avviare un'azione internazionale contro l'organismo finanziario. "Non siamo la colonia di nessuno", ha sottolineato, accusando la Banca Mondiale di aver sospeso un prestito di 100 milioni di dollari nel 2005, quando lui stesso era ministro dell'Economia. Alla richiesta di spiegazioni, "mi hanno risposto che lo avevano fatto perché avevamo riformato una legge interna (in materia di fondi petroliferi); in altre parole hanno punito un paese sovrano per aver modificato una legge nazionale".

Domenica 15 aprile la consultazione popolare aveva segnato una netta vittoria per il presidente: oltre l'81 dei votanti aveva detto sì alla sua proposta di convocare "un'Assemblea Costituente con pieni poteri per riformare il quadro istituzionale ed elaborare una nuova Costituzione". "Correa ha generato un forte discorso contro la mafia politica ed è stato lui in persona a gestire questo progetto costituente": così aveva spiegato il risultato l'analista politico ecuadoriano José Luis Ortiz.

Prima che dal voto, un forte sostegno al presidente era venuto dalla piazza. Il 28 marzo migliaia di persone avevano manifestato a Quito in difesa dell'Assemblea Costituente. Contadini, operai, indigeni, studenti, pensionati si erano dati convegno in Plaza de la Independencia, ai piedi del Palazzo di Governo, per dimostrare il loro appoggio all'esecutivo nella crisi istituzionale in atto. La crisi era iniziata quando il Tribunale Supremo Elettorale aveva deciso di appoggiare la consulta popolare per la Costituente. I deputati dell'opposizione avevano respinto la sentenza, giungendo a votare la destituzione del presidente del tribunale, Jorge Acosta. Come contromossa, il tribunale aveva destituito 57 parlamentari (quasi tutti i rappresentanti del Partido Renovador Institucional Nacional del miliardario Alvaro Noboa e di Sociedad Patriótica dell'ex presidente Gutiérrez). Il conflitto si era inasprito con il tentativo dei 57 congressisti di rioccupare i loro seggi (tentativo fallito per la presenza delle polizia e di numerosi manifestanti filogovernativi), e la decisione dell'esecutivo di ricorrere ai deputati supplenti. Il 20 e 21 marzo, in mezzo a rigide misure di sicurezza, 28 supplenti avevano giurato, garantendo in tal modo il quorum per l'attività del Congresso e segnando un'importante vittoria per Correa, privo di rappresentanza parlamentare, ma forte del consenso popolare.

Del resto gli avvenimenti di questi ultimi anni sono stati contrassegnati dal rifiuto della popolazione nei confronti della corrotta classe politica tradizionale. Basti pensare che dal 1996 nessun presidente ha potuto completare il suo mandato: Abdalá Bucaram è stato destituito "per incapacità mentale", tra le proteste contro l'aumento dei prezzi. Jamil Mahuad, che aveva decretato la dollarizzazione dell'economia, è stato costretto alle dimissioni da un'insurrezione indigena sostenuta da un gruppo di militari. Tra questi il colonnello Lucio Gutiérrez che poi, giunto al potere, ha riproposto il vecchio schema neoliberista (e ha dovuto rinunciare a furor di popolo). Proprio la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador), che aveva portato Gutiérrez al governo e ne era stata tradita, sostiene ora gli sforzi del presidente Correa per cambiare volto al paese. "Governeremo dalla Costituente - ha dichiarato il suo leader, Luis Macas - Ripuliremo il vecchio Stato e la faremo finita con i privilegi di un pugno di ricchi".

25/4/2007


Guatemala, da Adela a Rigoberta

Per la prima volta nella storia del paese una donna è stata nominata responsabile del Ministero dell'Interno. Si tratta di Adela Camacho deTorrebiarte, nota per la sua attività in difesa dei diritti umani: è fondatrice dell'organizzazione Madres Angustiadas, che fornisce sostegno psicologico ai familiari di persone sequestrate, e ha fatto parte del Consejo Asesor de Seguridad, un'istanza civile che appoggia il governo sui temi della sicurezza. Tra i primi compiti che la attendono, la lotta alla corruzione delle forze di polizia, dove il crimine organizzato ha da tempo messo radici. Adela Camacho sostituisce Carlos Vielmann, dimessosi in seguito allo scandalo scoppiato dopo la morte di tre deputati salvadoregni del Parlamento Centroamericano e del loro autista, uccisi il 19 febbraio probabilmente per un regolamento di conti legato al traffico della droga.

I deputati Eduardo D'Aubuisson, William Pichinte e José Ramón González, tutti del partito di estrema destra Arena (cui appartiene anche il presidente del Salvador, Antonio Saca), si trovavano in Guatemala per un convegno regionale. La vettura su cui viaggiavano, crivellata di colpi e poi data alle fiamme. era stata ritrovata in un luogo isolato, nei pressi della strada che unisce El Salvador e Guatemala. Qualche giorno dopo venivano "giustiziati", nel carcere di massima sicurezza in cui erano rinchiusi, i quattro membri della Policía Nacional Civil del Guatemala sospettati di essere i killer della strage. Gli agenti arrestati si erano rifiutati di rivelare il nome dei mandanti e avevano fatto capire di temere per la loro vita. Erano probabilmente all'oscuro dell'identità delle loro vittime: sarebbero stati pagati da una banda di narcos per assaltare la vettura, massacrare gli occupanti e rubare la droga che trasportavano. A corroborare questa ricostruzione vi è la figura di William Pichinte, un politico dalla rapida carriera che era ritenuto vicino al narcotraffico e al crimine organizzato. Quanto a Eduardo D'Aubuisson, era figlio del defunto maggiore Roberto D'Aubuisson, mandante dell'omicidio di Monsignor Romero.

Mentre Adela Camacho assume la responsabilità del dicastero dell'Interno, un'altra donna si prepara a competere per la massima carica dello Stato. Il 27 febbraio, a Madrid, il Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú ha ricevuto il premio del Club de las 25, un gruppo di professioniste di diversi settori. In quell'occasione ha spiegato le ragioni per cui ha deciso di presentare la sua candidatura alle presidenziali di settembre. "Vogliamo esercitare un diritto che i popoli indigeni e molte donne non hanno ottenuto in Guatemala: il diritto ad essere eletti - ha detto Rigoberta - Le ultime inchieste indicavano che la metà degli aventi diritto non intendeva votare. Molte persone si sentono deluse dai partiti tradizionali". La stampa locale ha dato grande risalto all'annuncio della candidatura. Nel suo editoriale del 22 febbraio, il quotidiano Prensa Libre ha definito la decisione della Menchú un elemento nuovo nella politica nazionale. E secondo il commentatore José Carlos Sanabria, questo fatto permetterà di radiografare i progressi del paese nella lotta contro il razzismo e la disuguaglianza di genere. A chi le faceva notare le possibili reazioni discriminatorie e machiste, Rigoberta ha risposto di non temere tali fantasmi e ha ribadito l'intenzione di non rispondere alle provocazioni. La notizia ufficiale della sua candidatura è giunta dopo lunghe trattative tra il partito Encuentro por Guatemala (della deputata Nineth Montenegro) e il movimento Winaq, che la stessa Menchú aveva presentato qualche giorno prima al paese. Winaq, che in dialetto maya significa "persona" nel suo concetto integrale, conta sul sostegno di numerose organizzazioni per i diritti umani.

1/4/2007


Bolivia, le difficoltà della trasformazione

Nel governo Morales si succedono gli avvicendamenti, a testimonianza della difficoltà di trasformare un paese dopo decenni di gestione da parte di una classe politica corrotta. Guillermo Dalence, titolare del dicastero delle Miniere, è stato costretto alle dimissioni per aver preso parte, senza permesso, a una riunione di ministri del settore svoltasi a Cuba. La settimana precedente era stata la volta del responsabile della compagnia petrolifera di Stato, Manuel Morales Olivera, destituito per aver ricevuto forti critiche dal Congresso. Gli attacchi si riferivano a irregolarità nelle firma dei nuovi contratti petroliferi, ma anche ad alcune fotografie scattate durante un seminario sul petrolio realizzato sempre a Cuba, dove il funzionario appariva spesso con un bicchiere di rum in mano. A succedere a Dalence è stato chiamato un suo stretto collaboratore, Luis Alberto Echazú. Recentemente il Movimiento al Socialismo ha decretato l'espulsione di tre militanti, che si sarebbero fatti pagare per garantire un impiego nella pubblica amministrazione. Anche due parlamentari, il senatore Lino Villca e la deputata Nemesia Achacollo sono in guai giudiziari per accuse di corruzione, mentre su un altro centinaio di dirigenti e di autorità del partito si nutrono forti sospetti. L'opposizione, che della corruzione aveva fatto il suo sistema di governo, ha subito approfittato della situazione e ora accusa lo stesso Morales di aver favorito due suoi cugini, funzionari del Ministero dell'Istruzione.

A fine gennaio Manuel Morales Olivera era stato designato presidente della compagnia petrolifera statale Ypfb (Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos) in sostituzione del dimissionario Juan Carlos Ortíz. Quest'ultimo aveva rinunciato all'incarico lamentando una campagna di diffamazione contro di lui condotta da persone che si nascondevano nell'anonimato. Gli osservatori ritengono che gli attacchi siano stati sferrati soprattutto da alleati del precedente presidente della compagnia, Jorge Alvarado, che aveva dovuto dimettersi perché accusato di corruzione. Dopo l'uscita di scena di Alvarado, Ortiz aveva giocato un ruolo di primo piano nel concludere 44 nuovi contratti petroliferi con imprese internazionali operanti in Bolivia.

Qualche giorno prima, nel tentativo di tendere una mano alla classe media e disinnescare la tensione esistente nel paese, il capo dello Stato aveva proceduto a un vero e proprio rimpasto, di cui avevano fatto le spese soprattutto i rappresentanti dei movimenti sociali. Hugo Salvatierra, ministro dello Sviluppo Agricolo e dell'Allevamento, aveva lasciato il posto a Susana Rivero, originaria del Beni che sembra conoscere bene il problema agrario; Félix Patzi, titolare dell'Istruzione, era stato sostituito dal maestro Víctor Cáceres, benvisto dalla categoria degli insegnanti; Alex Gálvez era stato rimpiazzato al dicastero del Lavoro dal vecchio leader sindacale Wálter Delgadillo; Fernando Larrazábal aveva abbandonato la guida del Ministero della Pianificazione dello Sviluppo a Gabriel Loza, uomo di fiducia del ministro degli Idrocarburi Carlos Villegas; nuova titolare della Giustizia Sociale (al posto di Casimira Rodríguez) era stata designata la sindacalista Celima Torrico; infine a sostituire Alicia Muñoz al Ministero di Governo (Interno) era stato chiamato Alfredo Rada, ex viceministro del Coordinamento con i Movimenti Sociali. In precedenza l'esecutivo aveva subito un duro colpo con la decisione del ministro Salvador Ric di abbandonare il suo incarico di titolare dei Lavori Pubblici. Ric era una sorta di mosca bianca nel gabinetto Morales: imprenditore miliardario di Santa Cruz, aveva il compito di fungere da ponte tra un governo a maggioranza andina e la realtà della regione più ricca del paese. Ma non era riuscito nel suo intento, anzi la sua condizione di ministro aveva scatenato la diffidenza degli industriali di Santa Cruz. E come egli stesso aveva dichiarato, anche in seno all'esecutivo aveva incontrato qualche difficoltà, non tanto come miliardario, quanto come cruceño. Ennesima dimostrazione di come la divisione della Bolivia attraversi anche le formazioni politiche. Al suo posto Morales aveva scelto Jerges Mercado, funzionario dello stesso Ministero.

Questa raffica di avvicendamenti si era prodotta in concomitanza con i festeggiamenti per il primo anniversario del "primo governo indigeno". Il 22 gennaio, ricordando il suo insediamento al Palacio Quemado di La Paz, Evo Morales aveva annunciato una serie di misure tendenti ad approfondire la trasformazione del paese. Tra queste la nazionalizzazione delle miniere e l'assunzione da parte dello Stato del controllo delle imprese capitalizzate. Nel 2006 il valore dei prodotti minerari inviati all'estero si è aggirato intorno ai 1.100 milioni di dollari, ma solo l'1,5% di questa cifra è finito nelle casse statali. La riforma governativa intende elevare questa percentuale ad almeno il 50%, oltre a porre limitazioni all'esportazione di materie prime per promuovere l'industrializzazione.

28/3/2007


Brasile, il nuovo governo Lula

Il 23 marzo a Brasilia hanno prestato giuramento tre nuovi membri del gabinetto Lula: il ministro dell'Agricoltura Reinhold Stephanes, la ministra del Turismo Marta Suplicy e il titolare dei Rapporti Istituzionali Walfrido Mares Guia. La designazione di Stephanes, del Partido do Movimento Democrático Brasileiro (Pmdb, centro destra), ha creato un certo malessere nell'ala sinistra della coalizione di governo. Con questa nomina infatti il Pmdb giunge a controllare cinque Ministeri su 23. Prima di Stephanes, la scelta era caduta sul suo compagno di partito Odilio Balbinotti, il maggior produttore brasiliano di semi di soia, che aveva però dovuto rinunciare all'incarico quando si era appreso che sul suo conto era in corso un'indagine per frode. Tra i ministri designati in precedenza figurano Tarso Genro alla Giustizia, Fernando Haddad all'Istruzione, José Gomes Temporão alla Sanità, Geddel Vieira Lima all'Integrazione (gli ultimi due appartengono al Pmdb). Ma la designazione che più ha fatto temere uno spostamento in senso conservatore è quella di Miguel Jorge al Ministero dello Sviluppo. Jorge, ex funzionario del Banco Santander e sostenitore dell'alleanza tra Brasile e Stati Uniti, occupa il posto di Luiz Fernando Furlan, che aveva difeso con forza gli interessi dell'industria brasiliana nel conflitto economico con l'Argentina. Nel governo manterranno comunque una forte influenza la responsabile di gabinetto Dilma Rousseff, che figura tra gli artefici del Programma di Accelerazione della Crescita (il megapiano di investimenti che dovrebbe contraddistinguere il secondo mandato di Lula); il ministro del Tesoro Guido Mantega e il presidente della Banca Centrale, con rango di ministro, Henrique Meirelles.

In gennaio si era registrato il significativo ritorno del deputato Ricardo Berzoini alla presidenza del Partido dos Trabalhadores, da lui abbandonata nell'ottobre 2006. Berzoini aveva assunto la guida del Pt nel 2005 in seguito alla peggiore crisi vissuta dall'organizzazione, scossa da denunce di corruzione che avevano coinvolto l'intera dirigenza. Lo scorso anno però anche lui era rimasto invischiato in uno scandalo: quello del dossier contro il leader dell'opposizione José Serra (candidato a governatore di San Paolo), che alcuni membri del Pt avevano tentato di comprare per 800.000 dollari. La presidenza del partito era passata allora, in via provvisoria, a Marco Aurélio Garcia.

Dopo il trionfo di Lula alle elezioni, Berzoini aveva insistito per riprendere l'incarico, affermando che a suo carico non era mai emersa alcuna prova. Ma non tutto il Pt era apparso contento del suo ritorno: le maggiori resistenze erano venute da quei settori che aspiravano a una dirigenza completamente rinnovata, per dare un segnale di cambiamento al paese. Il segretario generale petista, Raul Pont, aveva affermato che sarebbe stata preferibile una permanenza di Garcia alla testa del partito fino al congresso, previsto per luglio: la riassunzione della presidenza da parte di Berzoini "dimostra una volta di più che il Pt si arrende alla logica del pragmatismo e non a quella della ricostruzione".

L'insediamento per il secondo mandato di Lula, avvenuto il primo gennaio nella capitale, si era svolto decisamente in tono minore, senza le folle che nel 2003 avevano salutato l'inizio della presidenza dell'ex operaio. Nel suo discorso al Congresso, Lula aveva promesso sviluppo e inclusione sociale, nel quadro di un governo "popolare, ma non populista": "I verbi accelerare, crescere e includere reggeranno il Brasile nei prossimi quattro anni". Aveva però avvertito che "per essere rapida, sostenibile e duratura, la crescita deve avvenire con responsabilità fiscale; a questo non rinunceremo per nessuna ragione". Aveva poi difeso i programmi sociali della sua prima gestione, che avevano permesso di salvare dalla fame "milioni di brasiliani e brasiliane", e aveva fatto appello all'unità delle forze federali e di quelle statali per affrontare il "flagello nazionale" della criminalità organizzata. Quanto alla politica internazionale, aveva ribadito l'esigenza dell'integrazione sudamericana: "Il Brasile associa il suo destino economico, politico e sociale a quello del continente, al Mercosur e alla Comunidad Suramericana de Naciones".

24/3/2007


Viaggio e... controviaggio

Risultati deludenti - a detta di tutti i commentatori - per la visita di George W. Bush a cinque nazioni latinoamericane (Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala, Messico), in quello che è stato definito da The Washington Post "Il viaggio anti Chávez". Il tentativo di Bush di migliorare i rapporti con l'America Latina e di contrastare l'influenza del leader venezuelano è arrivato tardi. Fin dalla vigilia erano apparsi patetici gli sforzi del presidente Usa di guadagnarsi simpatie paragonando Simón Bolívar a George Washington, annunciando un pacchetto di aiuti sociali per la regione e assicurando "lavoratori e contadini" che negli Stati Uniti "hanno un amico che si preoccupa della loro situazione difficile". I latinoamericani non sono caduti nella trappola. Bush è giunto a San Paolo del Brasile, prima tappa del suo viaggio, ricevuto da proteste di massa: decine di migliaia di persone sono scese in piazza scontrandosi con la polizia (bilancio: 17 feriti e decine di arresti). Manifestazioni di protesta si sono svolte anche a Rio de Janeiro, mentre nel Congresso alcuni parlamentari innalzavano la scritta: "Bush non è il benvenuto".

Accanto alle motivazioni politiche, il viaggio del capo della Casa Bianca aveva anche forti motivi economici. Con il Brasile, primo produttore mondiale di etanolo, gli Stati Uniti hanno sottoscritto un memorandum per l'incremento della produzione di biocombustibili. L'etanolo Usa (ottenuto dal mais) ha bassa produttività, mentre quello brasiliano (ottenuto dalla canna da zucchero) è cinque volte più efficiente. Grazie all'intesa con Brasilia, Washington mira a ridurre la dipendenza dal petrolio venezuelano e mediorientale (e a indebolire i governi di Caracas e La Paz). Ma si tratta di prospettive a lungo termine: il Brasile produce 17.500 milioni di litri di etanolo all'anno (di cui il 90% è destinato al consumo interno), mentre gli Stati Uniti avrebbero bisogno di 132.000 milioni per raggiungere l'obiettivo che si sono prefissati: ridurre di circa il 20% il consumo di benzina. E c'è il rovescio della medaglia: l'espansione di coltivazioni a fini energetici aumenterà il prezzo degli alimenti e incrementerà il degrado del suolo per l'abuso di pesticidi. Sono questi i timori dei movimenti sociali della regione, in particolare Sem Terra e Via Campesina, per i quali "l'attuale modello di produzione di bioenergia si basa sugli stessi elementi che hanno sempre causato l'oppressione dei nostri popoli: appropriazione del territorio, dei beni naturali, della forza lavoro". Questo modello rischia inoltre di provocare tragiche ripercussioni sull'agricoltura tropicale, trasformando "grandi estensioni delle nostre terre in immense monoculture solo per far viaggiare le automobili", come ha sottolineato la dirigente contadina Irma Ostrosky.

Dopo il Brasile è stata la volta dell'Uruguay. Anche qui il presidente Usa è stato accolto da mobilitazioni di protesta, mentre due ministri del Frente Amplio (l'ex leader tupamaro José Mujica e la dirigente comunista Marina Arismendi) rendevano pubblica la loro contrarietà per la visita. A quanto si è appreso nella successiva conferenza stampa, durante il colloquio tra il capo della Casa Bianca e il presidente Tabaré Vázquez, quest'ultimo ha chiesto facilitazioni di accesso al mercato Usa per una serie di prodotti nazionali, tra cui tessuti, ovini, riso; ha manifestato l'intenzione di ampliare il commercio con il colosso del Nord, ma ha anche affermato che "l'Uruguay non può né vuole andarsene dal Mercosur". E il suo ministro dell'Economia, Danilo Astori, noto fautore del Tlc, ha ribadito: "Non si è parlato di un trattato di libero commercio con gli Usa". Nella scelta di includere questo piccolo paese tra le tappe del giro di Bush, la sinistra uruguayana ha comunque visto il tentativo di indebolire il Mercosur. All'interno del quale, secondo l'analista politico Raúl Zibechi, si stanno delineando due assi: Uruguay-Brasile (rafforzato dalla recente visita di Lula a Montevideo) e Argentina-Venezuela (si veda il "controviaggio" di Chávez a Buenos Aires).

Manifestazioni antistatunitensi non sono mancate neppure in Colombia, dove Bush si è recato per ribadire il suo appoggio "alla positiva lotta di questo paese contro il narcoterrorismo" e "agli sforzi per migliorare il livello di vita dei colombiani". Mentre a Bogotá migliaia di persone scendevano in piazza e si scontravano con la polizia, Bush si incontrava con Uribe, il suo migliore alleato nella regione, e davanti ai giornalisti si impegnava a fare tutto il possibile per la ratifica, da parte del Congresso Usa, del Tratado de Libre Comercio tra i due paesi. A porte chiuse sembra che i due capi di Stato abbiano discusso anche di un'eventuale azione militare per liberare gli ostaggi in mano alle Farc (tra cui tre statunitensi): un'opzione respinta con forza dai familiari, che temono un bagno di sangue.

Anche con il presidente guatemalteco Oscar Berger, Bush ha parlato del trattato di libero commercio, che qui si chiama Cafta-RD perché sottoscritto da Usa, nazioni del Centro America e Repubblica Dominicana. Ma a parte il consolidamento di questo accordo, al Guatemala preme soprattutto la sorte delle migliaia di indocumentados che cercano di giungere negli Stati Uniti. Un tema su cui Washington ha sempre mostrato di essere sordo. Come nel resto del continente, si sono svolte iniziative di protesta: circa 5.000 persone hanno manifestato a Città del Guatemala. E dopo la visita di Bush e della sua comitiva alle rovine maya della città sacra di Iximché, i sacerdoti indigeni hanno tenuto una cerimonia di purificazione, per cacciare dalla città sacra "i cattivi spiriti e le cattive energie" lasciate dai poco graditi ospiti.

Infine la visita di due giorni in Messico. Bush e Calderón hanno ripetuto le solite dichiarazioni retoriche sul petrolio, sulla lotta al terrorismo e al narcotraffico e sull'immigrazione negli Usa. Ma su quest'ultimo problema, che sta a cuore al presidente messicano come al suo omologo guatemalteco Berger, da parte di Washington non si profila alcuna apertura (del resto già nel 2001, all'inizio della sua presidenza, Vicente Fox non aveva ottenuto niente di più). E la campagna mediatica che ha circondato il viaggio di Bush non è stata sufficiente a far dimenticare ai messicani l'origine "illegittima" del mandato di Calderón, sempre accompagnato dall'ombra della frode elettorale del 2006.

Il "controviaggio" di Chávez

Mentre George W. Bush visitava l'America Latina, stando ben attento a non pronunciare mai il nome del suo "nemico", Hugo Chávez realizzava una sorta di controviaggio che vedeva come prima tappa l'Argentina. Qui il presidente venezuelano ha sottoscritto accordi in campo scientifico e tecnologico con il suo omologo argentino Kirchner. Tra i progetti presi in esame dai due capi di Stato, la realizzazione del Banco del Sur e il rafforzamento del processo di integrazione energetica. Poi Hugo Chávez, accolto dalla presidente delle Madres de Plaza de Mayo Hebe de Bonafini, ha partecipato a Buenos Aires a una massiccia iniziativa contro il capo della Casa Bianca, che nel suo discorso ha definito "un vero cadavere politico". Il giorno dopo è partito alla volta della Bolivia, dove ha visitato la zona colpita dalle recenti inondazioni (il governo di Caracas ha offerto 15 milioni di dollari in aiuti umanitari. contro il milione e mezzo promesso da Bush) e ha poi preso parte - insieme a Morales - a una seconda manifestazione antimperialista nella combattiva città di El Alto.

Ma il viaggio di Chávez non si è fermato qui: si è recato in Nicaragua, dove è stato ricevuto da Daniel Ortega e dove ha concordato la costruzione di una raffineria di petrolio nella località di León e l'incorporazione di Managua al progetto Telesur. Lunedì 12 è sbarcato in Giamaica, dove si è incontrato con la prima ministra Portia Lucretia Simpson-Miller. Nel colloquio sono stati presi in esame i progressi negli accordi sottoscritti tra i due paesi nell'agosto 2006 soprattutto in campo energetico (alla somministrazione di petrolio si è aggiunto ora il gas, oltre ad aiuti per la preparazione dei futuri tecnici della Petroleum Corporation of Jamaica). Infine Haiti: per la prima volta in visita ufficiale in questo paese, Chávez ha ricevuto un caloroso benvenuto dalla popolazione (il Venezuela ha sempre condannato la destituzione di Aristide e la missione Onu). A Port-au-Prince il presidente venezuelano, il suo omologo haitiano Préval e il vicepresidente cubano Esteban Lazo hanno firmato accordi di cooperazione per 20 milioni di dollari in materia di sanità, istruzione, economia ed energia.

14/3/2007


Venezuela, verso una democrazia partecipativa

Con la Ley de los Consejos Comunales, "il popolo sta prendendo le redini della costruzione della patria". Lo ha detto il presidente Chávez parlando di questo nuovo strumento legale, che mira a superare la democrazia rappresentativa per costruire una democrazia partecipativa. Relatore della legge è il costituzionalista Carlos Escarrá Malavé, vicepresidente della Commissione Esteri dell’Assemblea Nazionale, che in questi giorni è in visita nel nostro paese per una serie di conferenze e di incontri istituzionali.

Escarrá Malavé è anche membro del Consiglio presidenziale per la Riforma della Costituzione, cui è affidato il compito di riscrivere la Carta Magna. Il progetto, che verrà elaborato convocando i cittadini a esprimere il loro parere attraverso dibattiti pubblici, sarà poi portato alla discussione dell'Assemblea Legislativa e infine sottoposto a referendum. La base di partenza è il testo costituzionale del 1999. "La Costituzione del '99 - spiega Escarrá Malavé - riflette un sistema economico liberale, parla di Stato sociale di diritto, non di socialismo: si tratta di due visioni diverse. Sebbene sia una Costituzione straordinaria, ubbidisce a una fase politica che ormai stiamo lasciando alle spalle, poiché il processo rivoluzionario si è accelerato. Con il voto del 3 dicembre, che ha riconfermato il presidente Chávez a capo dello Stato, si è concluso un ciclo e se ne è aperto un altro, che richiede un nuovo modello istituzionale".

In quest'ottica, a giudizio di Escarrá, gli assi fondamentali saranno " in campo economico una visione umanista e ugualitaria, in campo sociale la creazione del Poder Popular". E qui entrano in campo i Consejos Comunales, "istanze di partecipazione, articolazione e integrazione tra le diverse organizzazioni comunitarie, i gruppi sociali e i cittadini e le cittadine, che permettono al popolo organizzato di esercitare direttamente la gestione delle politiche pubbliche e dei progetti orientati a rispondere alle necessità e alle aspirazioni delle comunità nell'edificazione di una società di uguaglianza e giustizia sociale". Così recita l'articolo 2 della legge. All'articolo 4 si specifica che i Consejos raggruppano dalle duecento alle quattrocento famiglie nell'area urbana, dalle venti famiglie nell'area rurale, dalle dieci presso le comunità indigene. A questi organismi, che esprimono al loro interno una serie di specifici Comités de Trabajo (salute, istruzione, alloggi, cultura, risorse idriche, ecc.), sono affidati numerosi compiti. Recentemente, in seguito alla denuncia di fenomeni di accaparramento, sono stati incaricati anche di vigilare supermercati e depositi di alimenti e di tenere d'occhio i rialzi ingiustificati dei prezzi.

Il Venezuela si incammina dunque verso la costruzione del la Repubblica Socialista Bolivariana. Ma su quali modelli? "Partiamo innanzitutto dal lavoro della deputata Pocaterra sull'organizzazione delle popolazioni autoctone prima dell'arrivo degli spagnoli, un lavoro in cui si segnala come i beni, i prodotti, i raccolti venissero concentrati e redistribuiti tra tutte le famiglie", afferma Escarrá Malavé (Noeli Pocaterra, coordinatrice nazionale del Consejo Nacional Indígena de Venezuela, sostiene la stretta analogia tra i primitivi sistemi di convivenza delle comunità indigene e il progetto di socialismo attualmente in discussione). "Naturalmente teniamo presente anche il socialismo utopico, che ha influito in maniera diretta su Bolívar (lo si nota soprattutto nel discorso di Angostura), le elaborazioni di Ezequiel Zamora (Tierra y Hombres Libres), altri pensatori latinoamericani (Artigas, Mariátegui, i fratelli Machado, Fidel, il Che): tutto questo configura un modo di vedere un modello sociale a partire dall'America Latina. Alla base vi è il socialismo scientifico, il materialismo dialettico su cui molti di noi si sono formati: tutti questi elementi li stiamo valutando in funzione di una determinata società. Nella quale non parleremo di dittatura del proletariato, ma di egemonia del potere popolare, non di lotta di classe nei termini prospettati da Marx, ma del confronto di diversi settori della popolazione, dove non verrà soppressa la proprietà privata, ma l'attività dello Stato verrà diretta verso la proprietà pubblica, la proprietà sociale, la proprietà collettiva".

28/2/2007


Monsignor Romero, il sovversivo

Hijo Meritísimo de El Salvador: questo riconoscimento avrebbe dovuto essere tributato alla memoria del maggiore Roberto D'Aubuisson, leader degli squadroni della morte e mandante dell'assassinio dell'arcivescovo Romero. L'incredibile proposta del gruppo parlamentare del partito Arena (fondato dallo stesso D'Aubuisson) è stata per il momento ritirata grazie al coro d'indignazione suscitato in tutto il paese. Insieme a D'Aubuisson avrebbe dovuto ricevere la stessa onorificenza il defunto presidente della Repubblica José Napoleón Duarte, che con l'appoggio delle forze armate e dell'ala più conservatrice della Democrazia Cristiana portò avanti, negli anni Ottanta, la guerra controinsurrezionale voluta dagli Stati Uniti e costata al Salvador quasi 80.000 morti. Giovedì 15 febbraio, quando l'omaggio ai due discussi personaggi doveva essere dibattuto in seduta plenaria, la protesta di militanti per i diritti umani e familiari delle vittime nella sede dell'Assemblea Legislativa ha convinto i rappresentanti di Arena e dei partiti alleati Pcn e Pdc a fare marcia indietro. La mozione è dunque tornata all'esame della Commissione Cultura e Istruzione, che per prima l'aveva lanciata (e che potrebbe tentare di riesumarla una volta calmate le acque).

Non si tratterebbe del primo omaggio reso alla figura di Roberto D'Aubuisson: come ha ricordato il direttore della Commissione Diritti Umani, Miguel Montenegro, l'amministrazione comunale di Antiguo Cuscatlán ha eretto un monumento "al tristemente noto maggiore D'Aubuisson, che era pagato dalla Cia e che insieme ad altri militari violentemente anticomunisti diresse la Agencia Nacional de Seguridad, che ha portato morte, sparizioni, torture e dolore a migliaia di salvadoregni". Al termine del conflitto, la Commissione della Verità segnalò esplicitamente le responsabilità di D'Aubuisson nell'uccisione di Monsignor Romero, ma nel 1993 una provvidenziale amnistia cancellò ogni speranza di giustizia.

Il dibattito di questi giorni ha avuto ripercussioni anche in seno al mondo cattolico. Domenica 18 numerosi fedeli si sono raccolti nella cripta della Cattedrale Metropolitana per ricordare con una messa l'arcivescovo assassinato nel 1980. Su alcuni cartelli si leggeva: "Il popolo respinge l'onorificenza all'ex maggiore Roberto D'Aubuisson... e la Chiesa che cosa risponde?" La gerarchia ecclesiastica ha risposto con le parole dell'attuale arcivescovo della capitale, Fernando Sáenz Lacalle. Dopo essersi mostrato indifferente all'ipotesi di un omaggio all'assassino del suo predecessore, il prelato si è invece lamentato dell'eccessiva "politicizzazione" della figura di Romero, che a suo parere viene indebitamente accostato ad altri protagonisti della lotta di quegli anni, come il dirigente comunista Schafik Handal. Sáenz Lacalle ha avvertito i fedeli che in tal modo si rischia di far arretrare il processo di canonizzazione di Romero: la coraggiosa scelta dell'arcivescovo martire a favore dei poveri rischia insomma di farlo apparire un pericoloso sovversivo.

19/2/2007


La scomparsa dell'antropologa Aura Marina Arriola

È morta il 15 febbraio, stroncata da un infarto, l'antropologa guatemalteca Aura Marina Arriola, nota anche nel nostro paese dove aveva vissuto per anni. Tra i suoi scritti ricordiamo in particolare Identidad y racismo en este fin de siglo, apparso in Guatemala nel 2001 (Flacso y Magna Terra), che raccoglie i risultati delle sue ricerche etnografiche in Italia e in Francia e del lavoro sul campo nel sud del Messico. L'opera, si legge nell'introduzione, parte "dall'apparente paradosso di confrontare luoghi tanto diversi. Apparente, perché oggi la globalizzazione - nonostante il disastro apocalittico che porta con sé - ha promosso l'apertura di orizzonti più ampi e di reti inter e transculturali (...) Le questioni dell'identità culturale, tanto nel centro come nelle periferie, diventano più complesse quando cominciamo a comprendere che non esiste un solo modello di cultura ibrida o composta, ma molte possibilità diverse".

Nel 2000, sempre in Guatemala, era stato pubblicato il libro Ese obstinado sobrevivir. Autoetnografía de una mujer guatemalteca (Editorial Del Pensativo). In esso Aura Marina Arriola racconta la sua esperienza nella guerriglia e la sua militanza nel Partido Guatemalteco del Trabajo. Una battaglia difficile, condotta non solo contro le dittature militari che hanno insanguinato il Centro America, ma contro il machismo presente tra gli stessi compagni di lotta.

18/2/2007


L'Italia torna in America Latina

Il governo Prodi sta rilanciando la presenza italiana in America Latina, una presenza che si era affievolita (fin quasi a scomparire) durante la gestione Berlusconi. Si stanno riattivando rapporti e progetti fermi da anni e si stanno avviando nuove iniziative politiche, istituzionali, economiche e di cooperazione. A Donato Di Santo, sottosegretario agli Esteri con delega per i paesi dell'America Latina e dei Caraibi, chiediamo di illustrarci l'attività di questi primi mesi.

-In sei mesi abbiamo svolto missioni politiche in quindici Stati dell'area latinoamericana e caraibica. Il primo paese che ho visitato nel luglio scorso è stata la Bolivia, e questo per una precisa scelta politica: perché non vogliamo che vengano isolate esperienze nuove, inedite. Dobbiamo dare un forte segnale, mostrare che c'è la volontà di inglobare nella comunità internazionale paesi che legittimamente e democraticamente hanno eletto governi nuovi, con cui è utile e costruttivo avere un dialogo. In Bolivia ho avuto l'onore di essere ricevuto dal capo dello Stato in un incontro che si è protratto per l'intera giornata, perché il presidente Morales ha voluto che lo accompagnassi nella visita al suo villaggio d'origine e mi ha fatto conoscere personalmente quasi tutti i suoi ministri.

-Veniamo al recente viaggio in Cile, Brasile e Perù insieme al ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Quali sono stati i risultati più notevoli di questa visita?

-In Brasile la nostra presenza era legata sia a incontri bilaterali, in particolare con il ministro degli Esteri Celso Amorim, sia a un impegno personale assunto da Massimo D'Alema nei confronti di Lula, che lo aveva invitato a presenziare al suo insediamento. Nel corso di questo viaggio sono state gettate le basi per riprendere in grande stile il lavoro tra i nostri due paesi e per concretizzare la visita del presidente del Consiglio Romano Prodi a fine marzo. In Cile il colloquio con la presidente Michelle Bachelet è durato oltre tre ore ed è stato di grande interesse e di grande utilità per i rapporti bilaterali: gli effetti già si vedono perché siamo riusciti a inserire, nella pur fitta agenda di Prodi, anche il passaggio dal Cile; personalmente sono molto orgoglioso di questo risultato. Debbo ricordare che, nei cinque anni del precedente governo, il presidente del Consiglio Berlusconi non aveva mai messo piede in America Latina. Per quanto riguarda il Perù, durante l'incontro con il capo dello Stato Alan García abbiamo scoperto che, prima di D'Alema, l'ultimo ministro degli Esteri italiano a visitare il paese era stato, oltre trent'anni fa, Emilio Colombo. A Lima è stato firmato l'accordo per la seconda fase della riconversione del debito estero peruviano in opere sociali, per un importo di circa 72 milioni di euro. Un accordo analogo è stato sottoscritto anche con l'Ecuador, paese che ho visitato in gennaio per rappresentare il governo italiano all'insediamento del nuovo presidente Rafael Correa. La mia presenza a questa cerimonia ha suscitato polemiche pretestuose: si è parlato addirittura di antiamericanismo. Ma allora dovrebbe essere considerato antiamericano anche il segretario di Commercio degli Stati Uniti, che era lì in rappresentanza del governo di Washington.

-Proprio da Perù ed Ecuador proviene il flusso maggiore di immigranti verso l'Italia...

-Questo fenomeno, invece di diventare un ostacolo tra i nostri paesi, può diventare un impulso per lo sviluppo reciproco e per lo sviluppo innanzitutto delle realtà più povere. Dobbiamo uscire dalla logica che vede l'immigrazione solo dal punto di vista dell'ordine pubblico o dell'assistenza sociale, per valutarla invece come una grande opportunità. In quest'ottica si sta avviando un lavoro sulle rimesse degli emigranti latinoamericani, sul modo di gestirle a favore dei paesi d'origine (proprio pochi mesi fa a Milano ho partecipato a una riunione su questo tema). E di questo argomento ho parlato con il vicepresidente dell'Ecuador, con il ministro dell'Economia e quello dell'Industria, con la sorella del presidente, Pierina Correa, che pur non essendo titolare di un dicastero è impegnata da anni nei rapporti con gli ecuadoriani all'estero. Infine ho preso contatti con il nuovo consigliere aggiunto del Comune di Roma, uno dei quattro consiglieri eletti tra le comunità immigrate, che è originario dell'Ecuador.

-Gli indizi di una rinnovata presenza dell'Italia riguardano anche altri paesi dell'area latinoamericana?

-Sì, vanno sottolineati gli sforzi italiani per favorire i colloqui di pace in Colombia. I primi risultati sono molto positivi: a novembre il nostro paese è stato invitato ufficialmente come osservatore negli incontri tra il governo colombiano e l'Eln. E se le parti in causa riterranno utile il nostro apporto, vogliamo mettere a disposizione la nostra esperienza, il nostro lavoro, i nostri contatti anche per quanto riguarda il difficile tentativo in atto di avviare uno scambio umanitario con le Farc. Va ricordata infine la vicenda del seggio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: il nostro è stato l'unico paese europeo che non ha votato contro la candidatura del Venezuela, favorendo una soluzione che fosse decisa dai latinoamericani e non portasse a una loro divisione.

28/1/2007


Ecuador, incidente o attentato?

La ministra della Difesa, Guadalupe Larriva, ha perso la vita il 24 gennaio in uno strano incidente aereo: mentre tornava dopo aver assistito a un'esercitazione di tiro notturno, l'elicottero in cui si trovava si è scontrato con un altro velivolo nei pressi della base aerea di Manta (dove sono ospitate le truppe statunitensi). Insieme a lei sono deceduti la figlia diciassettenne e cinque militari. Il presidente Correa ha promosso sull'accaduto un'immediata indagine, che sarà condotta da una commissione internazionale. Come ha ricordato il deputato Enrique Ayala, "per rispetto a Guadalupe e al paese, dobbiamo procedere con molta trasparenza. In Ecuador c'è un record negativo per quanto riguarda casi come questo".

In effetti l'elenco è impressionante: il 19 novembre 1979 il ministro della Difesa Rafael Rodríguez muore insieme ad altre quindici persone (tra cui la moglie e due figli) in un incidente all'aeroporto La Toma-Loja. Il 24 maggio 1981, nei pressi della frontiera peruviana, precipita l'aereo con a bordo il presidente Jaime Roldós, la moglie Martha Bucaram, il ministro della Difesa Marco Subía e altre sette persone: nessun superstite. Roldós, con i suoi progetti di riorganizzazione del settore degli idrocarburi, minacciava gli interessi statunitensi (si veda il libro di John Perkins Confessioni di un sicario dell'economia). Il 25 aprile 1986, su un piccolo velivolo, perdono la vita il ministro dell'Istruzione Camilo Gallegos, suo figlio e alcuni funzionari del Ministero. Il 3 giugno 1988 dieci membri dell'aviazione militare, tra cui il comandante in capo Angel Augusto Flores, muoiono nello scontro del loro jet contro la collina di Puengasi, a est di Quito. Il 10 dicembre 1992 un aereo militare si schianta contro un edificio di Quito: muoiono il comandante dell'esercito Carlomagno Andrade, suo figlio e altri alti ufficiali (erano considerati vicini alla sinistra). Pochi giorni dopo, nuovo schianto contro un palazzo della capitale: l'incidente costa la vita tra gli altri al ministro del Turismo Pedro Zambrano e alla moglie Rita Vélez.

Per tornare alla morte di Guadalupe Larriva, non tutto è chiaro nella dinamica dell'accaduto: come alcuni esperti hanno fatto notare, non è normale che due elicotteri volino insieme, soprattutto di notte. Ci si chiede anche come mai la ministra viaggiasse solo con militari di basso rango e non con alti ufficiali. Il presidente dell'Asamblea Permanente de Derechos Humanos, Alexis Ponce, ha inoltre fatto notare che "esercitazioni notturne non sono abituali nel mondo militare con persone civili, soprattutto in presenza della ministra della Difesa e della figlia". Presidente del Partido Socialista Frente Amplio, Larriva era la prima donna e la prima civile a farsi carico del dicastero della Difesa. Davanti al feretro Rafael Correa, commosso, ha giurato di portare avanti la trasformazione socialista del paese: "Oggi, cara ministra, compagna, patriota e amica, di fronte ai tuoi resti, ai resti di tua figlia e degli altri compatrioti che sono morti, rinnoviamo il nostro giuramento che non faremo un passo indietro e insieme al popolo, con la tua ispirazione, recupereremo la patria". Il presidente ha poi concluso il suo saluto con la frase del Che tanto amata da Guadalupe: "¡Hasta la victoria siempre!"

Ad alimentare i sospetti sull'incidente del 24 gennaio vi è anche il fatto che solo nove giorni prima si era svolta la cerimonia di insediamento del nuovo presidente Rafael Correa. Una cerimonia in cui Correa aveva delineato una vera e propria svolta per il paese. Nel discorso d'investitura il neopresidente aveva chiesto ai suoi concittadini di unirsi in quella che aveva definito Revolución Ciudadana. Aveva poi tracciato le linee di un profondo cambiamento: "La nuova conduzione economica dell'Ecuador avrà come priorità una politica dignitosa e sovrana; anziché liberare mercati, liberare il paese dall'arretratezza e dai potenti interessi nazionali e internazionali che lo dominano". Un cambiamento basato su cinque assi fondamentali: una rivoluzione costituzionale e democratica attraverso l'Assemblea Costituente, una rivoluzione etica per combattere la corruzione, una rivoluzione economica e produttiva per porre fine al modello neoliberista, una rivoluzione nel campo dell'istruzione e delle politiche sociali e una rivoluzione per la dignità, la sovranità e l'integrazione latinoamericana. "Vedrà la luce l'utopia di Bolívar e San Martín", aveva concluso Correa.

Il giorno precedente a Zumbahua, a 120 chilometri dalla capitale, Correa aveva ricevuto il bastón de mando dai rappresentanti dei popoli indigeni, che con un suggestivo rituale lo avevano ripulito "dalle cattive energie". Il futuro capo dello Stato, che era accompagnato dal boliviano Evo Morales e dal venezuelano Hugo Chávez, aveva promesso "un governo di emigranti, esclusi e indigeni". Al rito indigeno aveva fatto seguito la celebrazione di una messa in ricordo di monsignor Leonidas Proaño, esponente della Teologia della Liberazione. Profondamente cattolico, nel corso della campagna elettorale Correa si era definito "umanista, cristiano e di sinistra": "Umanista perché per me la politica e l'economica sono al servizio dell'uomo. Cristiano perché mi nutro della dottrina sociale della Chiesa e di sinistra perché credo nell'uguaglianza, nella giustizia e nella supremazia del lavoro sul capitale".

Proveniente da una famiglia della piccola borghesia, Rafael Correa ha compiuto i suoi studi prima nel Colegio San José La Salle poi, grazie a borse di studio, presso la facoltà di Economia dell'Università Cattolica della nativa Guayaquil e presso l'Università Cattolica di Lovanio, in Belgio. Ma l'esperienza più significativa per la sua formazione - come lui stesso ammette - è avvenuta proprio a Zumbahua, dove tra il 1986 e il 1987 ha partecipato come volontario a una missione dei Padri Salesiani. In questa parrocchia rurale il giovane Correa non si è limitato a insegnare catechismo e a tenere lezioni di matematica, ma ha creato una rete di microimprese contadine. E soprattutto ha potuto conoscere da vicino l'estrema povertà delle popolazioni indigene, le loro precarie condizioni di vita. Un'esperienza che forse gli ha dettato queste parole: "Il mio sogno è di vedere un paese senza miseria, senza bambini di strada, una Patria senza opulenza, ma dignitosa e felice. Una Patria amica, condivisa da tutti".

26/1/2007


Cerimonie di insediamento a Caracas e Managua

È iniziato il 9 gennaio il terzo mandato del presidente venezuelano Chávez, che dopo aver giurato aggiungendo alla formula tradizionale l'espressione "Socialismo o muerte", nel discorso inaugurale ha delineato i prossimi passi per avanzare verso un nuovo modello economico e sociale. "Stiamo recuperando la riserva petrolifera più grande del mondo", ha detto, aggiungendo che l'articolo 302 della Costituzione, secondo il quale lo Stato si riserva la proprietà del petrolio, andrà modificato con l'inclusione del gas naturale e l'eliminazione di tutte le eccezioni che proteggono gli interessi delle transnazionali. "Qui non si privatizza più nulla": ha affermato con forza. Ha poi ribadito l'intenzione di nazionalizzare l'elettricità, le telecomunicazioni e altri settori strategici. Le modifiche della Costituzione, che dovrebbero anche permettergli di ricandidarsi nel 2012, verranno studiate da una commissione guidata dalla presidente dell'Assemblea Nazionale, Cilia Flores.

Nei giorni precedenti Chávez aveva attuato un profondo rimpasto di governo, nominando nuovi responsabili di quelli che sono stati ribattezzati Ministerios del Poder Popular. La rimozione più rilevante riguarda il vicepresidente Rangel, sostituito dallo psichiatra ed ex presidente del Consiglio Nazionale Elettorale Jorge Rodríguez. "Non è stato facile per me prendere la decisione di rimuovere José Vicente Rangel, per il quale sento l'affetto e il rispetto di un figlio verso il padre", ha detto Chávez. E l'ex vicepresidente, salutato con tutti gli onori e ricevendo in dono una replica della spada del Libertador, ha dichiarato: "Noi che lasciamo il governo non lasciamo la rivoluzione. Usciamo dal governo per difendere nelle strade il socialismo". Altri avvicendamenti riguardano l'Interno, affidato al deputato del Movimiento V República Pedro Carreño, mentre l'ex titolare Jesse Chacón è stato designato a capo del Ministero delle Telecomunicazioni. Nizia Maldonado reggerà il nuovo dicastero dei Popoli Indigeni, Rodrigo Cabezas le Finanze e Adán Chávez, fratello del capo dello Stato, l'Istruzione.

Se l'insediamento di Hugo Chávez è stato contrassegnato dal richiamo al socialismo, quello del leader sandinista Daniel Ortega, avvenuto poche ore dopo, è stato all'insegna della moderazione. Nonostante tra gli invitati vi fossero lo stesso Chávez e il boliviano Morales, Ortega ha chiarito che non intende adottare provvedimenti economici radicali e ha fatto di tutto per dissipare i timori dei settori finanziari e industriali. Secondo il governo entrante, Managua può mantenere i propri legami con il Cafta, il trattato di libero commercio con gli Stati Uniti e il Canada, aderendo contemporaneamente all'Alba, l'Alternativa Bolivariana para las Américas promossa da Caracas.

Per cementare l'alleanza con Ortega, Chávez è arrivato con un pacchetto di aiuti economici. L'accordo tra le due nazioni garantirà al Nicaragua, a un prezzo assai favorevole, 10 milioni di barili annui di prodotto raffinato, 32 impianti generatori di energia, crediti per la costruzione di alloggi e l'apertura a Managua di una succursale del Banco de Desarrollo Económico y Social de Venezuela. Secondo gli osservatori l'appoggio venezuelano, specie in campo energetico, è di estrema importanza per il paese e potrebbe permettergli di alleviare l'estrema miseria di ampie fasce della popolazione. Tutto dipende ora dalla volontà politica del nuovo presidente Daniel Ortega.

10/1/2007

Latinoamerica-online.it

a cura di Nicoletta Manuzzato