![]() |
Latinoamerica-online.it |
|
Ecuador, Lasso sfugge alle accuse sciogliendo il Parlamento Si terranno il 20 agosto le elezioni anticipate in Ecuador, dopo la decisione del presidente Guillermo Lasso di sciogliere l'Asamblea Nacional per sfuggire a un processo politico per peculato dal quale sarebbe uscito quasi sicuramente perdente. Il 17 maggio, facendo uso della sua facoltà costituzionale, il capo dello Stato ha optato dunque per la muerte cruzada, la convocazione a nuove consultazioni sia per i parlamentari che per presidente e vicepresidente. Lo ha fatto adducendo "grave crisi politica e agitazione interna", una motivazione che l'opposizione ha subito contestato visto che il paese era assolutamente tranquillo e l'unica crisi esistente riguardava il rischio concreto di Lasso di essere destituito. Si è trattato insomma di una sorta di autogolpe con cui il capo dello Stato si è sottratto alle accuse, dopo che la Corte Costituzionale aveva autorizzato il processo contro di lui e il 9 maggio l'Asamblea Nacional aveva approvato l'avvio del procedimento con i voti della correista Unión por la Esperanza, del Partido Social Cristiano, del movimento indigeno Pachakutik e di alcuni indipendenti. Il caso per cui Lasso è chiamato a giudizio riguarda un contratto con compagnie private per il trasporto del petrolio dell'impresa pubblica Flopec, contratto da lui prorogato pur sapendo che era frutto di corruzione e costituiva un grave danno per le casse statali. Sono noti inoltre i collegamenti di Lasso con decine di imprese in paradisi fiscali. Ma i sospetti nei suoi confronti sono molto più pesanti, tanto che l'ex candidato presidenziale Andrés Arauz ha definito quello ecuadoriano "un governo di narco-banchieri". Alcuni media hanno infatti rivelato i legami del cognato (e suo uomo di fiducia) Danilo Carrera con settori della mafia albanese, in grado di designare funzionari nelle imprese pubbliche e nei Ministeri. Mentre nel paese crescono povertà e disoccupazione, la corruzione dilagante toglie agli ecuadoriani ogni fiducia nelle istituzioni: del resto anche il predecessore di Lasso, Lenín Moreno, è sotto indagine per tangenti. A questi mali si aggiunge l'aumento della violenza, che crea nella popolazione una sensazione di insicurezza. L'incremento dei fatti di sangue si rispecchia nelle prigioni, dove negli ultimi mesi 500 detenuti sono stati assassinati in scontri tra appartenenti a bande diverse. Il presidente ha ora tre mesi a disposizione per governare a suon di decreti. Se la sua popolarità è ai minimi storici, dalla sua parte ha le forze militari e la polizia. E l'appoggio di Washington, con cui ha firmato nel dicembre dello scorso anno la Ley de Asociación Estados Unidos-Ecuador, che prevede cooperazione in vari settori tra cui naturalmente la sicurezza. In concreto il colosso del Nord promette di essere al fianco di Quito per combattere non solo la criminalità organizzata interna e internazionale, ma anche "l'influenza dannosa di malvagi attori nazionali e stranieri". Come ebbe a dire il senatore repubblicano Marco Rubio, nel corso della sua visita in febbraio, "nella misura in cui l'America Latina e i Caraibi si muovono verso regimi antistatunitensi di sinistra, l'Ecuador continua ad essere un alleato strategico e importante tanto per il nostro paese quanto per la stabilità della nostra regione". 24/5/2023 |
|
Cile, la nuova Costituzione sarà scritta dall'estrema destra Il Partido Republicano, la formazione di estrema destra che si opponeva al cambiamento della Costituzione ereditata da Pinochet, dovrà ora guidare l'assemblea incaricata di elaborare la nuova legge fondamentale del Cile. È questo il sorprendente risultato scaturito dalle urne il 7 maggio: il Pr ha conquistato 23 (su 51) seggi del Consejo Constitucional e con gli undici della destra tradizionale (l'alleanza Chile Seguro, formata da Renovación Nacional, Udi ed Evópoli) si aggiudica una comoda maggioranza. La coalizione Unidad para Chile (Frente Amplio, Partido Comunista e Partido Socialista) ottiene solo 16 seggi. Nel Consejo siederà anche un rappresentante dei popoli originari. Il 20% degli elettori, costretti a recarsi alle urne perché il voto è obbligatorio, ha espresso la propria estraneità alle opzioni in campo consegnando la scheda in bianco o annullandola. La delusione nei confronti della classe politica e in particolare del governo è evidente soprattutto a sinistra: a Boric si rimprovera l'eccessiva timidezza al momento di varare le promesse riforme. Qualcosa è stato fatto, ad esempio la legge che riduce la settimana lavorativa da 45 a 40 ore, che verrà applicata gradualmente nel corso di cinque anni, o il lancio della Política Nacional del Litio, che prevede la creazione di un'associazione pubblico-privata in cui lo Stato possa giocare un ruolo attivo in tutto il ciclo produttivo del cosiddetto "oro bianco". Ma l'importante riforma tributaria, che doveva garantire il finanziamento dei programmi governativi, è stata bocciata in marzo dalla Camera. È diventato invece uno dei temi di forte imbarazzo per l'esecutivo il contrasto all'aumento della criminalità, questione su cui la destra ha giocato tutte le sue carte. Su questo piano il governo ha dimostrato la sua debolezza, accettando che i carabineros abbiano nuovamente in dotazione le pistole mitragliatrici Uzi, che erano state ritirate nel 2011 dopo l'uccisione del giovane Manuel Gutiérrez durante una protesta. E continuando ad ammettere che i processi agli attivisti mapuche avvengano con i testimoni dell'accusa che si presentano incappucciati. Nel frattempo il capo dello Stato ha realizzato un rimpasto di governo rimuovendo tra gli altri la ministra degli Esteri Antonia Urrejola (dopo la filtrazione di un audio in cui questa criticava pesantemente l'ambasciatore argentino) per sostituirla con il democristiano Alberto Van Klaveren, sostenitore della Nato e dell'appoggio a Zelensky. Un'ulteriore conferma dello spostamento dell'esecutivo in senso moderato è la nomina, alla Segreteria Generale della Presidenza, di Alvaro Elizalde, fino all'anno scorso presidente del Partido Socialista. I neoeletti membri del Consejo dovranno redigere la nuova carta costituzionale mantenendola nel solco della bozza preparata dai 24 esperti designati dai partiti politici. Ne scaturirà una proposta ben diversa da quella, veramente innovativa, che venne bocciata nel referendum dello scorso anno. La segretaria generale del Pr, Ruth Hurtado, è stata chiara in proposito: "Noi riteniamo che questa Costituzione sia buona", deve avere solo qualche modifica, ha affermato riferendosi al testo imposto dalla dittatura nel 1980 e solo parzialmente emendato in seguito. Sicuramente né il sistema politico, né il modello economico vigenti verranno posti in questione dalla proposta su cui i cileni verranno chiamati a votare in dicembre. 9/5/2023 |
|
Paraguay, i colorados ancora al potere Il Partido Colorado, la formazione conservatrice che dai tempi di Stroessner governa quasi senza interruzione il paese (unica eccezione la presidenza di Fernando Lugo), ha confermato il 30 aprile la sua egemonia politica. Le presidenziali sono state vinte, con il 42,74% dei voti, dall'economista Santiago Peña. Un risultato peraltro prevedibile vista la frammentazione dell'opposizione, divisa tra il candidato della Concertación Nacional Efraín Alegre (27,49%) e quello di Cruzada Nacional Paraguayo Payo Cubas (22,92%). Quest'ultimo, che è già stato definito il Bolsonaro del Paraguay, si è piazzato a sorpresa al terzo posto con un violento discorso antisistema e slogan a favore della pena di morte. I colorados si sono assicurati inoltre la maggioranza dei seggi in entrambi i rami del Congresso, oltre a 15 governatori su 17 in gioco. Abbastanza alta l'affluenza al voto, che ha superato il 63%. All'interno della Concertación, alleanza formata da parte del Frente Guazú, dal Partido Liberal Radical Auténtico, dalla formazione di centrodestra Patria Querida e da altri gruppi minori, si è registrato in particolare il crollo del Frente, che in Parlamento ha potuto eleggere solo l'ex ministra della Sanità Pubblica Esperanza Martínez al Senato e Johanna Ortega alla Camera. Neppure Lugo (che si sta riprendendo da un ictus) è riuscito a mantenere il suo seggio di senatore. Il resto del Frente che aveva scommesso su Euclides Acevedo, ex ministro degli Esteri del governo Abdo Benítez, ha totalizzato un magro 1,36%. Il vero vincitore di questa tornata elettorale è il presidente dell'Asociación Nacional Republicana (nome ufficiale del Partido Colorado) Horacio Cartes, che ha vissuto una sorta di resurrezione politica dopo l'ostracismo dichiaratogli dagli Stati Uniti. Da Washington gli erano state imposte sanzioni economiche e proibito l'ingresso negli States perché accusato di "atti di corruzione prima, durante e dopo il suo mandato come presidente del Paraguay". Ma l'impatto di tali sanzioni è stato decisamente scarso, visto che Cartes è riuscito a far eleggere quello che viene considerato il suo delfino, Peña. E facendo buon viso a cattivo gioco l'amministrazione Biden, che pure aveva puntato su Alegre, si è subito congratulata con il neoeletto dicendosi pronta a lavorare con lui "per promuovere interessi comuni". All'indomani di queste elezioni generali, le prime con sistema elettronico, non sono mancate accuse di brogli da parte di tutti gli esponenti dell'opposizione, che hanno chiesto il riconteggio manuale dei voti. Payo Cubas ha chiamato all'insurrezione i suoi sostenitori. Nei disordini che ne sono seguiti sono state arrestate decine di persone, tra cui lo stesso Cubas. 7/5/2023 |
|
Cuba, Díaz-Canel rieletto presidente Il presidente Miguel Díaz-Canel è stato rieletto il 19 aprile, per un secondo (e ultimo) mandato di cinque anni, dai deputati dell'Asamblea Nacional del Poder Popular. Hanno votato a suo favore 459 dei 462 parlamentari presenti. Confermato anche il vicepresidente Salvador Valdés Mesa. Su proposta dello stesso Díaz-Canel, Manuel Marrero Cruz è stato riconfermato primo ministro. Ai vertici dell'Asamblea rimangono Esteban Lazo come presidente e Ana María Mari Machado come vice. Cuba sta attraversando un momento economico assai difficile, con scarsità di alimenti, medicine e combustibile, a causa dell'inasprimento del bloqueo statunitense e delle conseguenze della pandemia di Covid, che ha provocato una riduzione drastica del turismo. Nonostante questi problemi è riuscita a mettere a punto efficaci vaccini contro il virus e a inviare medici e infermieri in tantissimi paesi (compresa l'Italia). La composizione dell'Asamblea Nacional era stata rinnovata il 26 marzo con il voto di quasi il 76% degli aventi diritto: una percentuale che - pur essendo la più bassa registrata in elezioni parlamentari dal 1959 - rappresenta comunque un risultato positivo se confrontato con il dato delle municipali del novembre 2022 (68,5%), o del referendum sul Código de las Familias di due mesi prima (74%). Sulla scheda gli elettori avevano due possibilità: il nome del candidato del loro distretto o l'opzione "voto por todos", cioè l'appoggio a tutti i 470 aspiranti deputati, i cui nomi erano stati selezionati dalle organizzazioni di massa e approvati dalle Asambleas Municipales del Poder Popular. 20/4/2023 |
|
Il rilancio dell'integrazione latinoamericana Il governo di Buenos Aires in marzo e quello di Brasilia in aprile hanno annunciato il loro rientro nell'Unión de Naciones Suramericanas (Unasur), cancellando la rottura decisa nel 2019 dai presidenti Mauricio Macri e Jair Bolsonaro. L'Unasur, costituita nel maggio 2008 con l'obiettivo di rafforzare l'integrazione regionale e di "costruire un'identità e una cittadinanza sudamericane", ebbe un ruolo importante sotto la guida di Néstor Kirchner, il suo primo segretario generale: frenò i tentativi secessonisti in Bolivia (2008), condannò il golpe in Honduras (2009), mediò nel conflitto tra la Colombia di Uribe e il Venezuela Bolivariano, accusato di ospitare sul suo territorio la guerriglia delle Farc, e appoggiò il presidente ecuadoriano Correa contro un tentativo di colpo di Stato (2010). Il cambiamento di segno politico di alcuni governi portò però alla crisi del blocco. Tra il 2018 e il 2020 non solo Argentina e Brasile, ma anche altri membri si ritirarono: Colombia, Cile, Ecuador, Paraguay, Uruguay. Rimasero unicamente Bolivia, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela. Ora la conferma del ritorno di due importanti paesi è un chiaro segnale della volontà di rafforzare nuovamente l'unità del Sud America. Sempre sul piano dell'integrazione del subcontinente, su iniziativa del presidente messicano López Obrador è stata creata l'Alianza de Paises de América Latina y el Caribe contra la Inflación "per incontrare soluzioni condivise di fronte alla pressione dei prezzi e alla carestia presenti nella regione". Il 5 aprile, alla prima riunione a distanza di questo gruppo, hanno partecipato, oltre al Messico, Argentina, Belice, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Honduras, Venezuela e Saint Vincent and the Grenadines (quest'ultimo paese in qualità di presidente pro tempore della Celac). Nel corso dell'incontro è stata decisa la formazione di un Gruppo di Lavoro Tecnico, con il compito di studiare le migliori condizioni per lo scambio di alimenti e prodotti di base e perché questi siano resi accessibili agli strati più vulnerabili. Due assenze di peso avevano segnato invece il XVIII Vertice Iberoamericano il 24 e 25 marzo nella Repubblica Dominicana: all'appuntamento non avevano partecipato infatti né López Obrador né Lula, i capi di Stato delle due maggiori economie latinoamericane. Una dimostrazione che questo incontro tra l'antica potenza coloniale e le nazioni del subcontinente sta perdendo sempre più rilevanza. Gli argomenti al centro dei documenti finali sono stati lo sviluppo sostenibile, la lotta al cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la trasformazione digitale, l'architettura finanziaria internazionale. Gli Stati membri hanno inoltre approvato il Piano d'azione della cooperazione iberoamericana per il periodo 2023-2026. Ma si è trattato di dichiarazioni generiche, che non si sa quanto influiranno sulla politica dei vari paesi. 8/4/2023 |
|
Nasce in Messico l'Internazionale Femminista Come era stato annunciato l'8 marzo, si è tenuto il primo aprile nella capitale messicana l'Encuentro Fundacional de la Internacional Feminista con la partecipazione di delegate provenienti da 25 paesi. Tra le 58 firmatarie dell'iniziativa la presidente dell'Honduras Xiomara Castro, la jefa de gobierno di Città del Messico Claudia Sheinbaum, la segretaria generale di Morena (il partito di López Obrador) Citlalli Hernández, la sindaca di Santiago del Chile Irací Hassler, la ministra spagnola per l'Uguaglianza Irene Montero, l'ex parlamentare peruviana Verónika Mendoza, la titolare del Centro Nacional de Educación Sexual di Cuba Mariela Castro, l'ecuadoriana Paola Pabón prefecta di Pichincha, la ministra dell'Uguaglianza Razziale del Brasile Anielle Franco, la deputata del Guatemala Sonia Gutiérrez Raguay, la parlamentare del Costa Rica Priscilla Vindas, l'indiana Varsha Grandikota-Nellutla (coordinatrice delle politiche dell'Internazionale Progressista), la deputata Elisabetta Piccolotti di Sinistra Italiana e Margherita Cantelli del Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo. "L’enorme portata e il progresso del femminismo, con programmi, mobilitazioni e proteste contro l’oppressione sistematica delle donne e delle persone lgbti+ in un numero sempre maggiore di paesi, guidato da diversi movimenti femministi, con e senza militanza di partiti politici, ha un obiettivo comune: essere al centro di dibattiti e confronti su progetti politici in tutto il mondo - afferma il manifesto fondativo - La necessità di lottare contro il patriarcato e il capitalismo richiede che l’organizzazione collettiva e internazionale delle femministe promuova un’agenda comune a favore dell’uguaglianza e di vite libere dalla violenza sessista, fortemente espressa nella violenza sessuale e politica, lottando per la legalizzazione del diritto all’aborto e al pieno godimento di tutti i diritti sessuali, riproduttivi e non riproduttivi, per la redistribuzione della ricchezza e del reddito, per il riconoscimento sociale ed economico del lavoro domestico e di cura con salari dignitosi e diritti del lavoro, eliminando i divari salariali e la discriminazione nell’occupazione, per un’istruzione che costruisca l’uguaglianza senza pregiudizi sessisti fin dai primi cicli formativi, per la necessità di ampliare gli spazi di potere occupati da donne e persone lgbti+". 3/4/2023 |
|
Dilma Rousseff presidente della Banca dei Brics L'ex presidente brasiliana Dilma Rousseff, deposta nel 2016 da un golpe parlamentare, è stata eletta a capo della New Development Bank (Ndb), l'istituzione finanziaria dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa). La candidatura di Rousseff, economista e specialista in temi energetici, era stata proposta da Lula. La sua nomina è stata approvata all'unanimità il 24 marzo nel corso dell'Assemblea dei Gobernatori della banca e il mandato durerà fino al luglio 2025. La nuova titolare prende il posto del bolsonarista Marcos Prado Troyjo, spinto alle dimissioni dopo il cambio di governo a Brasilia. La Banca dei Brics, creata nel 2014 e che ha sede a Shanghai, ha lo scopo di finanziare progetti di infrastrutture nei paesi membri e in altre nazioni emergenti come il Bangladesh, l'Egitto e l'Uruguay, ammessi come soci nel 2021. Nel comunicato della Ndb in cui si annuncia il cambio della guardia si sottolineano i risultati ottenuti da Rousseff come presidente del Brasile in materia di stabilità economica, creazione di posti di lavoro e riduzione della povertà e si ricorda che "sul piano internazionale ha promosso il rispetto per la sovranità di tutte le nazioni e la difesa del multilateralismo, dello sviluppo sostenibile, dei diritti umani e della pace". 25/3/2023 |
|
L'Honduras allaccia relazioni diplomatiche con la Cina "Ho dato istruzioni al ministro degli Esteri Eduardo Reina perché gestisca l'apertura di relazioni ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese, come dimostrazione della mia determinazione di attuare il Piano di Governo e di ampliare liberamente le frontiere nel concerto delle nazioni del mondo". Così la presidente Xiomara Castro, nonostante le forti pressioni statunitensi, ha annunciato su Twitter l'intenzione di seguire le orme degli altri paesi centroamericani, dal Salvador a Panama al Nicaragua, che hanno rotto con Taiwan allacciando rapporti diplomatici con Pechino. Da poco più di un anno Xiomara Castro è a capo del primo esecutivo progressista del paese. Una presidenza non facile, per la mancanza di una maggioranza nel Congresso dopo la rottura, avvenuta nell'ottobre del 2022, tra il partito Libre e il Psh (Salvador de Honduras), il cui leader Nasralla aveva fin dall'inizio assunto posizioni critiche all'interno del governo. Nonostante le difficoltà, molti sono comunque i progressi registrati in questi mesi: i sussidi al cmbustibile e il recupero dell'Empresa Nacional de Energía Eléctrica, che fornisce gratuitamente energia ai settori più poveri; il ripristino della sovranità nazionale nelle Zedes, le Zonas Especiales de Desarrollo y Empleo, in cui lo Stato aveva concesso agli investitori particolari prerogative sulla politica fiscale, la sicurezza, la risoluzione dei conflitti; la proibizione dell'attività estrattiva a cielo aperto, dal forte impatto ambientale; la creazione di programmi sociali come la Red Solidaria e il Bono Esperanza a favore della popolazione vulnerabile; i progetti per la sanità, l'istruzione, l'agricoltura, l'ambiente e la parità di genere presenti nel Presupuesto 2023; l'approvazione (decisa l'8 marzo) al commercio e all'uso della pillola del giorno dopo. Castro ha inoltre sottoscritto a metà dicembre un accordo con le Nazioni Unite per la creazione della Cicih, la Comisión Internacional Contra la Corrupción y la Impunidad e prima ancora ha decretato un estado de excepción per combattere la violenza delle pandillas: la misura ha visto un notevole calo nell'attività delle organizzazioni criminali. Nelle campagne però gruppi armati ai soldi dei latifondisti seminano ancora il terrore. In febbraio Santos Hipólito Rivas è stato assassinato a colpi d'arma da fuoco insieme al figlio quindicenne Javier: è il settimo leader comunitario ucciso nel Bajo Aguán dall'inizio dell'anno. 15/3/2023 |
|
Messico, litio e Cuba i "crimini" di Amlo Fin dai primi mesi del suo mandato il presidente López Obrador è stato oggetto di attacchi da parte di esponenti della destra sia interna che internazionale, che hanno tentato in tutti i modi di squalificarne l'operato. Tra i primi si era distinto Mario Vargas Llosa, che lo aveva dipinto come un caudillo convinto di essere "al disopra delle leggi e delle regole democratiche". Il motivo? La decisione di Amlo di differenziarsi dal Grupo de Lima, rifiutandosi di riconoscere l'autoproclamato Guaidó come capo dello Stato venezuelano. In seguito la guerra mediatica è diventata sempre più violenta. In questa lotta contro la Cuarta Transformación Pan e Pri si sono alleati e a loro si è aggiunto il Prd, che ha così rinnegato tutta la sua storia. Sul piano interno la destra rimprovera ad Amlo l'aiuto erogato agli strati meno privilegiati (pensione agli anziani, sussidi alle madri single, aiuti ai giovani disoccupati), con una politica che attacca i principi del neoliberismo, mentre le élites tradizionali guardano con timore alla sua lotta contro la corruzione. Una corruzione che ha mostrato tutto il suo volto con il caso di Genaro García Luna, il potente ex ministro della Sicurezza Pubblica durante il governo Calderón (e prima ancora, con Fox, titolare dell'Agencia Federal de Investigación), che vantava stretti legami con la Dea e la Cia. In febbraio la giustizia statunitense ha dichiarato García Luna colpevole di narcotraffico e di collusione con il cartello di Sinaloa. Sul piano internazionale due sono i "crimini" che non vengono perdonati ad Amlo. Innanzitutto la nazionalizzazione delle riserve di litio (per le quali il Messico è al decimo posto a livello mondiale). Il recupero di questa risorsa naturale era iniziato nell'aprile scorso con la riforma della Ley Minera, grazie alla quale si stabiliva che prospezione, sfruttamento e utilizzo erano a carico dello Stato attraverso la creazione dell'impresa pubblica LitioMx. In febbraio è stato firmato il decreto che conclude il percorso: come ha detto lo stesso Amlo, "il petrolio e il litio sono della nazione, sono del popolo del Messico". L'altro grande crimine: Cuba. López Obrador non ha mai nascosto le sue critiche all'embargo statunitense e il suo sostegno alla Revolución. Nel 2021 Díaz-Canel era stato l'invitato d'onore alle celebrazioni della festa nazionale del Grito de Independencia. All'opposizione non è mai mancato l'appoggio degli Stati Uniti, nonostante i buoni rapporti formalmente esistenti tra le due amministrazioni. A gennaio, nell'ultimo vertice che ha riunito a Città del Messico López Obrador, Trudeau e Biden, quest'ultimo ha affermato: "Noi tre siamo veri alleati. Condividiamo una stessa visione per il futuro, basata su valori comuni". E nella dichiarazione congiunta i tre capi di Stato si sono impegnati a lavorare insieme su questioni chiave quali l'immigrazione, la sicurezza regionale, il cambiamento climatico. Intanto la Ned (National Endowment for Democracy) e la Usaid (U.S. Aid for International Development) continuavano a finanziare le campagne mediatiche delle organizzazioni contro la 4T, come dimostrato dalle ricevute dei copiosi versamenti dell'ambasciata Usa mostrati alla stampa dal capo dello Stato. E le parole rassicuranti di Biden vengono smentite dalle ripetute ingerenze di Washington. L'ultima in ordine di tempo ha avuto per bersaglio la riforma dell'Instituto Nacional Electoral, un tema che la destra messicana ha deciso di utilizzare per lanciare la sua grande offensiva. La riforma, approvata dai due rami del Congresso, riduce personale e finanziamenti all'Ine, istituzione nota nel passato per aver avallato una serie di brogli e accusata dal governo di sprecare fondi pubblici (400 suoi funzionari guadagnano più del presidente della Repubblica). La legge, che il senatore statunitense Robert Menéndez ha definito un pericolo per "l'indipendenza e l'imparzialità di future elezioni", è servita come pretesto per il lancio di una "rivoluzione colorata", in realtà una controrivoluzione. Adottando il colore dell'Ine, il rosa, il 26 febbraio decine di migliaia di persone hanno riempito lo Zócalo della capitale al grido di Mi voto no se toca. Il giorno dopo, la mobilitazione riceveva un comunicato di sostegno del Dipartimento di Stato Usa e grandi foto venivano pubblicate sui principali quotidiani statunitensi, a cominciare dal New York Times. A portare in piazza tanta gente è stata una massiccia propaganda a base di fake news: numerosi dimostranti, intervistati, hanno mostrato di non conoscere il reale contenuto della riforma che erano venuti a contestare e di credere a bufale come il trasferimento di denaro pubblico al Venezuela o a Cuba su richiesta del Foro di San Paolo. López Obrador gode comunque di una popolarità ancora molto alta (in novembre un corteo per il termine del suo quarto anno di governo ha raccolto un milione e duecentomila persone) e probabilmente riuscirà a terminare il mandato senza grossi problemi. L'obiettivo sarebbe invece puntato sul 2024, quando dovrà essere eletto il successore: l'opposizione spera in quell'occasione di bloccare la Cuarta Transformación per riportare indietro le lancette della storia. 2/3/2023 |
|
Ecuador, ucciso un dirigente della Conaie Eduardo Mendúa, responsabile delle relazioni internazionali della Confederación de Nacionalidades Indígenas, è stato assassinato il 26 febbraio da incappucciati che gli hanno sparato mentre era intento a lavorare nel suo campo. Mendúa "era uno dei volti più visibili nella resistenza per la difesa del territorio", ha affermato il leader della Conaie, Leonidas Iza, e la sua uccisione è collegata al conflitto petrolifero in Amazzonia: "Riteniamo direttamente responsabile l'impresa Petroecuador e il governo nazionale per la perdita del nostro compagno". Mendúa aveva infatti denunciato i tentativi governativi di provocare uno scontro tra i membri della comunità Kofán Dureno di Sucumbíos, per favorire l'attività estrattiva in quelle terre. "Sono trenta pozzi petroliferi esistenti all'interno del territorio, dove questa comunità, la gente che è in resistenza, non è mai stata consultata e non è mai stata d'accordo - aveva dichiarato recentemente - Il governo per mezzo della sua impresa pubblica, assassina, ha iniziato la guerra tra fratelli e questo può continuare. Vogliono sterminarci. Pertanto chiedo a tutti i media e a tutte le organizzazioni per i diritti umani che facciano conoscere questo tipo di violenza". 27/2/2023 |
|
Colombia, riprendono i negoziati con l'Eln Il governo di Bogotá e la guerriglia dell'Ejército de Liberación Nacional, hanno ripreso il 13 febbraio a Città del Messico le trattative per gettare le basi di un'eventuale tregua. "Siamo qui con l'impulso dato dal presidente colombiano Gustavo Petro alla pace come politica di Stato", ha dichiarato Otty Patiño, capo della delegazione governativa. E Pablo Beltrán, rappresentante dell'Eln, ha affermato che in questo secondo round di negoziati si cercherà di concordare le condizioni per un "cessate il fuoco bilaterale, temporaneo e nazionale". L'obiettivo è quello di "una pace integrale e duratura". Dopo quattro anni di paralisi, il dialogo tra le parti era ricominciato in novembre grazie alla vittoria di Petro al ballottaggio di giugno. Ci sono stati momenti difficili, ad esempio l'annuncio del capo dello Stato di un cessate il fuoco bilaterale per l'inizio del nuovo anno era stato prontamente smentito da un comunicato del movimento guerrigliero, che negava l'esistenza di un accordo in tal senso perché non era stato discusso al tavolo del negoziato. E il sequestro del sergente Libey Danilo Bravo da parte dei guerriglieri, avvenuto il giorno dopo la ripresa dei colloqui, ha portato a un ulteriore scontro e Petro è giunto ad accusare l'Eln di sabotare "qualsiasi possibilità di pace". Fortunatamente dall'Eln è stata assicurata la pronta liberazione del sergente. 22/2/2023 |
|
Ecuador, dalle urne una sconfitta per Lasso Una sonora sconfitta per il presidente Guillermo Lasso è scaturita dalle urne di domenica 5 febbraio: le otto domande del referendum con cui sperava di legittimare il suo governo emendando la Costituzione, riducendo il numero dei parlamentari e indebolendo il Consejo de Participación Ciudadana y Control Social, sono state tutte respinte dall'elettorato. E per quanto riguarda il voto locale Revolución Ciudadana, il movimento che fa capo a Rafael Correa, ha ottenuto il controllo di nove province e oltre sessanta comuni tra cui Quito e Guayaquil. Particolarmente importante la riconferma di Paola Pabón a governatrice di Pichincha, nonostante la persecuzione giudiziaria di cui era stata oggetto (nel 2019 aveva trascorso 72 giorni in carcere sotto l'accusa di ribellione durante le proteste contro la politica d'austerità dell'ex presidente Lenín Moreno). Quelle del 5 febbraio sono state le prime consultazioni in cui Revolución Ciudadana ha potuto presentarsi come partito, dopo la decisione del Consejo Nacional Electoral di attribuire a Moreno il controllo di Alianza País e dopo una lunga attesa prima che le autorità elettorali permettessero la formazione di una nuova organizzazione. A favorire il successo dell'opposizione è stata sicuramente la situazione economica: solo un terzo della popolazione attiva ha un impiego formale, otto famiglie su dieci sopravvivono con i sussidi e ha fatto la sua ricomparsa la denutrizione infantile, che era stata sradicata un decennio fa. Per non parlare del diffondersi della criminalità (gli oltre 4.000 delitti del 2022 hanno reso l'Ecuador una delle nazioni più violente dell'America Latina) e della corruzione, come denunciato dal periodico digitale La Posta, che ha svelato i rapporti con il traffico della droga di personaggi legati al governo, in particolare del cognato di Lasso, Danilo Carrera. Proprio riferendosi a questo scandalo, noto come El Gran Padrino, il leader della Conaie, Leonidas Iza, ha invitato il capo dello Stato a dimettersi: "Guillermo Lasso si è riempito la bocca chiamando narcos quelli tra noi che lo avevano criticato. Ma ora, con le rivelazioni su questo caso, che dimostra l'infiltrazione della mafia nelle alte sfere, si configurerebbe l'esistenza di un narcogobierno. Il paese non merita questo, si faccia da parte". 14/2/2023 |
|
America Latina territorio di pace Nell'incontro tenuto il 10 febbraio a Washington con il suo omologo statunitense Joe Biden, il presidente brasiliano Lula ha proposto la creazione di un Gruppo di Pace in grado di mediare nel conflitto in corso in Ucraina. "Ho parlato a Biden della necessità di creare un gruppo di paesi che non siano coinvolti direttamente o indirettamente nella guerra della Russia contro l'Ucraina" per arrivare alla fine delle ostilità, ha spiegato lo stesso Lula ai giornalisti dopo la riunione. Del resto aveva in precedenza respinto la richiesta tedesca di fornire munizioni per i carri armati che Berlino intendeva inviare a Kiev, ritenendo che non valesse la pena di "provocare i russi". I soldati ucraini non hanno molta dimestichezza con gli armamenti attualmente usati dai paesi dell'alleanza, per i quali avrebbero bisogno di un lungo addestramento, mentre conoscono meglio le armi fabbricate in Russia, come quelle in dotazione a molti eserciti latinoamericani. Da qui l'interesse di Stati Uniti e governi alleati verso la regione. Allo stesso tempo i mezzi militari eventualmente spediti a Kiev potrebbero essere rimpiazzati con nuove forniture, aprendo così un ulteriore mercato alle fabbriche statunitensi. Ma le pressioni in merito hanno incontrato netti rifiuti. "L'Argentina e l'America Latina non stanno pensando di inviare armamenti né all'Ucraina né a nessun altro luogo in conflitto", ha affermato Alberto Fernández. "Noi non mandiamo armi da nessuna parte. Siamo pacifisti", gli ha fatto eco il messicano López Obrador. "La nostra Costituzione ha come imperativo nel terreno internazionale la pace - ha sottolineato il colombiano Gustavo Petro - Non consegneremo le armi russe perché vengano portate in Ucraina a proseguire una guerra". Risposta negativa anche da parte del cileno Gabriel Boric. E mentre l'America Latina si riafferma come territorio di pace, gli Stati Uniti ribadiscono il loro interesse verso le sue ricchezze. Nel cosiddetto "triangolo del litio", formato da Argentina, Bolivia e Cile, si trova il 60% a livello globale di questo elemento, indispensabile per la tecnologia odierna. La regione è importante inoltre per le più grandi riserve di petrolio, comprese quelle scoperte più di un anno fa di fronte alla Guyana, mentre il Venezuela può contare anche su rame e oro. Senza dimenticare la rilevanza dell'Amazzonia, "il polmone del mondo", e il fatto che il subcontinente possiede il 31% dell'acqua dolce del pianeta. Con questo elenco la comandante del Southern Command statunitense, generale Laura Richardson, ha spiegato in un video le ragioni per cui Washington ritiene l'America Latina importante "per la sicurezza nazionale". L'intervento è stato registrato in occasione di un recente evento dell'Atlantic Council, think tank legato alla Nato e che annovera tra i suoi membri gli ex segretari di Stato Usa Henry Kissinger e Condoleezza Rice, nonché alti ufficiali in ritiro ed ex funzionari della Cia. Netta la risposta di Evo Morales alle affermazioni di Richardson: "L'America Latina non è il cortile di casa né la sua proprietà per sfruttare risorse naturali". 11/2/2023 |
|
Perù, due mesi di proteste e di repressione Continuano le proteste in Perù e continua la sanguinosa repressione del governo di Dina Boluarte. Secondo cifre ufficiali sono già 48 i morti (ma potrebbero essere molti di più) e oltre 1.200 i feriti tra i manifestanti, da due mesi in lotta contro quello che a tutti gli effetti è stato un colpo di Stato. Dal 7 dicembre il paese è retto da un esecutivo sostenuto dalla destra e dall'estrema destra, che non sembra voler cedere minimamente alle richieste dei dimostranti: chiusura del Congresso, elezioni entro quest'anno, rinuncia di Boluarte, Assemblea Costituente e liberazione di Pedro Castillo. Quest'ultimo punto è sentito soprattutto dalle popolazioni andine, non tanto per gli scarsi risultati politici della presidenza del maestro rurale, quanto per l'identificazione che il Perù indigeno prova nei confronti di un politico non appartenente all'élite tradizionale. Proprio dal sud andino, la zona più povera e discriminata, era partita la protesta, che si è allargata alla capitale. Qui in gennaio sono confluiti in migliaia per quella che è stata chiamata la Toma de Lima. La risposta è stata la violenza poliziesca scatenata contro cortei pacifici e disarmati. Gli agenti sono entrati anche nella sede dell'Universidad de San Marcos, la più antica del continente, dove gli studenti avevano ospitato i dimostranti venuti da fuori: duecento gli arrestati, compresa una bambina di otto anni. L'assalto all'ateneo è stato condannato dalla Comisión Interamericana de Derechos Humanos e l'arbitrarietà dell'operazione è dimostrata dal fatto che i detenuti sono stati poi liberati per ordine della Procura. Le proteste proseguono anche nel resto del paese, con scioperi e massicci blocchi stradali. Polizia ed esercito agiscono con una violenza spropositata soprattutto nelle regioni a prevalenza indigena: solo a Juliaca, nel dipartimento di Puno (alla frontiera con la Bolivia), il 9 gennaio si sono contate 18 vittime. Il governo criminalizza quanti manifestano definendoli "terroristi" e giustificando l'operato degli agenti. Un bono especial para la heroica policía è stato proposto dal capo di gabinetto, il "falco" Alberto Otárola. E in sette dipartimenti è stato ora proclamato lo stato d'emergenza, con la soppressione delle garanzie costituzionali. Intanto lo screditato Congresso, la cui approvazione si aggira sul 7%, volta le spalle alle richieste popolari bocciando qualsiasi proposta di elezioni entro quest'anno. In dicembre era stato approvato l'anticipo delle consultazioni dal 2026 all'aprile 2024, ma la nuova data avrebbe dovuto essere ratificata da una seconda votazione in Parlamento e questo non è avvenuto. Tali scelte costano comunque care, sia sul piano interno che su quello internazionale. In due mesi si sono registrati ben otto cambiamenti nella compagine ministeriale: quattro dimissioni sono state motivate proprio da divergenze con la politica repressiva dell'esecutivo. Quanto ai rapporti con i paesi latinoamericani, il governo Boluarte è riuscito a inimicarsene molti. Ha ritirato i propri ambasciatori dal Messico (che aveva concesso asilo politico alla famiglia di Pedro Castillo) e dall'Honduras (Xiomara Castro aveva condannato il colpo di Stato); ha dichiarato l'ex presidente Evo Morales "persona non grata" e accusato di ingerenza l'attuale capo di Stato boliviano Luis Arce; infine ha espresso "malessere" per i commenti sulla crisi in atto da parte del cileno Gabriel Boric. 8/2/2023 |
|
Il Brasile torna nella Celac Il VII vertice della Celac, la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, che si è tenuto a Buenos Aires il 24 gennaio ha segnato il ritorno nel blocco del Brasile governato da Lula. Viene così annullata la decisione di Bolsonaro che nel gennaio 2020, per dimostrare il suo sostegno agli interessi statunitensi, aveva sospeso la partecipazione del suo paese alla Comunidad. All'incontro nella capitale argentina erano presenti dunque delegazioni di tutte le 33 nazioni della regione, con l'assenza però di alcuni capi di Stato: il messicano López Obrador, il guatemalteco Alejandro Giammattei, il panamense Laurentino Cortizo, il nicaraguense Daniel Ortega. Mancavano anche la contestata presidente del Perù, Dina Boluarte, e il venezuelano Nicolás Maduro. Quest'ultimo aveva in un primo momento confermato la sua partecipazione, per poi annunciare la cancellazione del suo viaggio, poiché era venuto alla luce un piano della destra argentina, "il cui obiettivo è l'attuazione di una serie di aggressioni contro la nostra delegazione guidata dal presidente". In effetti la leader di Propuesta Republicana, Patricia Bullrich, era giunta a chiedere alla Dea, l'agenzia antinarcotici statunitense, di arrestare il capo di Stato venezuelano al suo arrivo all'aeroporto, accusandolo di legami con il narcotraffico. Da Caracas, comunque, Maduro ha assicurato il suo appoggio alla creazione di una moneta comune della regione per le transazioni commerciali, come proposto da Lula e Alberto Fernández. L'incontro si è chiuso con la firma della Declaración de Buenos Aires, con cui i partecipanti si impegnano "ad avanzare con determinazione nel processo di integrazione, promuovendo l'unità e la diversità politica, economica, sociale e culturale dei nostri popoli". Il documento riafferma "la piena validità del Proclama dell'America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace", ribadisce "l'appello dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba", risalta l'importanza degli accordi raggiunti nell'ambito del dialogo tra il governo di Caracas e l'opposizione, sostiene "i legittimi diritti della Repubblica Argentina nella disputa per la sovranità delle Isole Malvinas" e riconferma "il carattere latinoamericano e caraibico di Puerto Rico". Ora la presidenza pro tempore passa da Alberto Fernández a Ralph Gonsalves, primo ministro di Saint Vincent and the Grenadines. Sotto la guida di Gonsalves, leader dello Unity Labour Party, lo Stato caraibico ha sviluppato in questi anni un'attiva politica estera nell'ambito della Caribbean Community e dell'Alba. In parallelo alla riunione della Celac si è tenuta a Buenos Aires la Cumbre Social, che ha riunito esponenti di organizzazioni sindacali ed ecologiste, militanti dei movimenti sociali e delle comunità indigene. Al termine dei lavori i partecipanti hanno consegnato ai capi di Stato un documento sui problemi socio-economici e ambientali della regione e sulla necessità di frenare le azioni destabilizzanti in atto contro i governi eletti dalla maggioranza, dal tentativo di golpe in Brasile alla sanguinaria repressione contro la protesta popolare in Perù. 25/1/2023 |
|
Brasile, l'8 gennaio e le sue conseguenze Le immagini di migliaia di persone che nel pomeriggio di domenica 8 gennaio invadevano, senza che nessuno sbarrasse loro la strada, il Congresso, il Palácio do Planalto (sede della Presidenza) e il Supremo Tribunal Federal hanno fatto temere per qualche ora il crollo della democrazia brasiliana. L'orda bolsonarista, confluita nella capitale a bordo di decine di autobus, ha scatenato la sua furia contro suppellettili e opere d'arte, mostrando il suo disprezzo per ogni forma di cultura. A favorire l'assalto le autorità del Distretto Federale, governato da un alleato dell'ex presidente, che hanno lasciato i tre edifici sguarniti. Il tentato colpo di Stato mirava a far sì che, di fronte al caos, Lula decretasse l'intervento dei militari in funzione di sicurezza interna, lasciando loro il compito di "riportare l'ordine". Il piano è fallito perché il presidente ha invece scelto di assumere il controllo del governo e della polizia locali. Agenti federali hanno sgomberato i palazzi occupati, arrestando centinaia di persone. La contromossa è stata vincente anche su un altro piano: tornato velocemente nella capitale, Lula ha patteggiato l'evacuazione dei sediziosi accampati da settimane di fronte al quartier generale dell'esercito, a cui chiedevano di intervenire per ribaltare l'esito del voto del 30 ottobre. Dopo alcune obiezioni, i generali hanno dovuto cedere e permettere che i circa 1.200 facinorosi venissero trasportati a una sede della polizia federale per essere interrogati. Un punto a favore del ministro della Giustizia Flavio Dino, fautore di una risposta dura, mentre il titolare della Difesa, il conservatore José Múcio, proponeva una soluzione concordata che trattasse gli insorti come semplici manifestanti. Sono contraddizioni all'interno del vasto gabinetto di Lula (ben 37 membri) dove, accanto a Marina Silva all'Ambiente, a Fernando Haddad alle Finanze e a Sônia Guajajara al nuovo Ministero dei Popoli Indigeni, figurano esponenti del centrodestra come Simone Tebet alla Pianificazione. L'8 gennaio ha visto così un indebolimento dell'ex presidente, anche perché i sondaggi mostrano una stragrande maggioranza di cittadini (di tutti gli schieramenti) critici di fronte alle devastazioni causate dai suoi seguaci. E altre tegole si abbattono sul capo di Bolsonaro, ancora rifugiato in Florida: i suoi conti bancari sono stati congelati e la Procura Generale ha ottenuto dal Supremo Tribunal Federal l'apertura di un'indagine su di lui come presunto istigatore dell'assalto ai palazzi del potere. Infine il suo uomo di fiducia, Anderson Torres, ex titolare della Sicurezza Pubblica della capitale, è stato arrestato per complicità. Nell'abitazione di Torres gli inquirenti hanno rinvenuto la bozza di un progetto in cui Bolsonaro assumeva il controllo delle istituzioni elettorali e dichiarava nullo il risultato delle presidenziali. E a seguito della sommossa Lula ha destituito i dirigenti dei media pubblici, che erano stati nominati nella gestione precedente e che avevano presentato il tentato golpe come una dimostrazione di dissenso. La giornalista Kariane Costa sarà la nuova presidente della Empresa Brasil de Comunicação. Silurato anche il comandante dell'esercito Júlio César de Arruda: non avrebbe agito con prontezza di fronte alla connivenza di alcuni settori militari con il tentativo eversivo. Altri quaranta membri delle forze armate, che prestavano servizio nella residenza presidenziale, sono stati destinati ad altri incarichi. Intanto Celine Leão, che ha assunto il governo ad interim del Distretto Federale dopo la sospensione del governatore Ibaneis Rocha, ha deciso di raddoppiare gli agenti che dovranno vigilare le sedi dei tre poteri. Non si escludono infatti altri tentativi da parte dei fanatici sostenitori dell'ex capitano. 22/1/2023 |
|
Colombia, sventato un attentato contro Francia Márquez Un ordigno con oltre sette chili di esplosivo è stato rinvenuto il 10 gennaio sulla strada che conduce alla residenza familiare di Francia Márquez, nel dipartimento del Cauca. Lo ha denunciato la stessa vicepresidente sui suoi social, precisando che la bomba è stata fatta brillare dagli artificieri. L'attentato, ha affermato, "mirava a minare gli sforzi di pace e di giustizia sociale" del governo di cui fa parte. Non è la prima volta che si attenta alla vita di Márquez. Nel 2019, prima di assumere la vicepresidenza, era stata attaccata con raffiche di fucile e lancio di granate per la sua attività in difesa dell'ambiente. Nel maggio dello scorso anno a Bogotá, mentre teneva un comizio alla vigilia delle elezioni, un raggio laser venne puntato sulla sua faccia come intimidazione e le sue guardie del corpo dovettero intervenire prontamente per proteggerla e farla scendere dal palco. Infine in agosto colpi d'arma da fuoco vennero esplosi contro un veicolo della comitiva presidenziale che viaggiava nella regione nordorientale del paese. 11/1/2023 |
|
Venezuela, finisce l'era della "presidenza" Guaidó Con 72 voti a favore, 29 contrari e otto astensioni l'opposizione ha scritto la parola fine all'autoproclamata presidenza ad interim di Juan Guaidó. Lo hanno deciso il 30 dicembre i membri del vecchio Parlamento del 2015 (gli antichavisti non riconoscono il risultato delle consultazioni del 2020, dove hanno perso la maggioranza). La decadenza di Guaidó dal suo effimero ruolo è diventata effettiva il 5 gennaio: una conclusione ingloriosa, dopo quattro anni in cui non è riuscito a scalzare le autorità legittime e si è solo contraddistinto per una serie di scandali e di ruberie. Creato nel gennaio 2019, il governo provvisorio era stato riconosciuto da oltre cinquanta Stati, Usa in testa. Ma il vasto appoggio politico di cui inizialmente godeva è andato sempre più diminuendo. Il riavvicinamento tra Caracas e Bogotá, dopo l'elezione del nuovo presidente colombiano Gustavo Petro, è proseguito in gennaio con l'inaugurazione del ponte Atanasio Girardot che unisce i due paesi e la riunione imprevista, nella capitale venezuelana, tra i due capi di Stato. "Un incontro ampio e molto fruttuoso", l'ha definito Maduro su Twitter. "Viva l'unione tra Colombia e Venezuela", gli ha fatto eco Petro. Anche il Brasile ha riallacciato i rapporti con il governo bolivariano, dopo l'intermezzo del mandato di Bolsonaro. Lula aveva già anticipato che questo sarebbe stato uno dei suoi primi provvedimenti e in occasione del suo insediamento è stato revocato il decreto che impediva l'entrata nel paese di Maduro e di altri funzionari venezuelani. Da Washington non si è registrata alcuna reazione all'eliminazione della figura del "presidente incaricato", ma la crisi energetica provocata dal conflitto in Ucraina aveva indotto già in marzo gli Stati Uniti a inviare a Caracas una delegazione per negoziare alternative al blocco delle forniture russe. In novembre l'amministrazione Biden, pur senza revocare le sanzioni, aveva autorizzato la Chevron a riprendere parzialmente l'attività di estrazione del petrolio in Venezuela. La decisione statunitense era venuta dopo la ripresa del dialogo tra il governo Maduro e un settore dell'opposizione. L'incontro, avvenuto in Messico con la mediazione della Norvegia, aveva portato alla firma di un accordo in cui le parti si impegnavano ad attivarsi in tutti i modi per "ottenere i fondi legittimi della Repubblica che si trovano congelati nel sistema finanziario internazionale". Tali fondi saranno amministrati dalle Nazioni Unite e utilizzati per progetti sociali. L'accordo testimonia la spaccatura all'interno dei partiti antichavisti che pure cercheranno, attraverso le primarie, di presentare un candidato unico alle presidenziali del 2024. 8/1/2023 |
|
Colombia, tregua bilaterale senza l'Eln Aveva suscitato grandi speranze l'annuncio, fatto dal presidente Gustavo Petro pochi minuti prima della fine del 2022, dell'accordo per una tregua di sei mesi raggiunto con l'Ejército de Liberación Nacional, due dissidenze delle Farc e due gruppi paramilitari. "Abbiamo accordato una cessazione bilaterale con l'Eln, la Segunda Marquetalia, l'Estado Mayor Central, le Autodefensas Gaitanistas de Colombia e le Autodefensas de la Sierra Nevada dal primo gennaio al 30 giugno 2023, prorogabile in base ai progressi dei negoziati", aveva detto il capo dello Stato in un significativo passo avanti nel suo obiettivo politico di "pace totale". Dopo l'annuncio il ministro della Difesa, Iván Velázquez, aveva assicurato l'appoggio delle forze armate e Rodrigo Londoño, leader di Comunes (il partito nato dalla smobilitazione delle Farc), aveva invitato i combattenti coinvolti ad agire con decisione: "La pace richiede coraggio, audacia ed eroismo. Ma soprattutto amore verso il popolo". È infatti la popolazione civile a soffrire le conseguenze più drammatiche del conflitto. A smorzare gli entusiasmi è sopraggiunto il 3 gennaio un comunicato dell'Ejército de Liberación Nacional, che nega l'esistenza di un accordo con il governo. "In diverse opportunità - sostiene il gruppo guerrigliero - abbiamo segnalato che l'Eln compie solo ciò che si discute e si concorda al tavolo del negoziato cui partecipiamo". E lì, insiste il comunicato, "non è stata discussa nessuna proposta di cessazione del fuoco bilaterale". Per ora dunque non ci sarà nessuna sospensione delle ostilità tra l'esercito di Bogotá e l'Eln. Quest'ultimo comunque non ha chiuso la porta al dialogo, anzi nel suo documento segnala di voler discutere un'eventuale tregua nel prossimo ciclo di conversazioni, il cui inizio è previsto per il 23 gennaio in Messico. I negoziati tra il governo Petro e i dirigenti dell'Eln erano iniziati ufficialmente a Caracas in novembre, alla presenza delle delegazioni di Cuba e Norvegia come paesi garanti. Questo primo round di colloqui era terminato il 12 dicembre con accordi parziali, tra cui un patto umanitario per consentire il ritorno alle loro case di centinaia di famiglie sfollate. 6/1/2023 |
a cura di Nicoletta Manuzzato |