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Brasile, anche Bolsonaro denunciato per il tentato golpe del 2023 Alla conclusione delle indagini sul tentato golpe dell'8 gennaio 2023, il 21 novembre la polizia federale ha denunciato 37 persone, tra cui Jair Bolsonaro. Oltre all'ex presidente, nell'elenco figurano due generali della riserva: l'ex capo di gabinetto ed ex ministro della Difesa Walter Braga Netto e l'ex ministro per la Sicurezza Istituzionale Augusto Heleno. Vi sono poi l'ex comandante della marina ammiraglio Almir Garnier Santos, l'ex direttore dell'Agência Brasileira de Inteligência Alexandre Ramagem, il presidente del bolsonarista Partido Liberal Valdemar Costa Neto e un argentino, l'imprenditore Fernando Cerimedo. Quest'ultimo era incaricato della disinformazione: attraverso i social e le piattaforme digitali facilitava la diffusione di fake news e la sua consulenza non si è limitata al Brasile, ma si è estesa alla campagna contro la riforma costituzionale cilena e a favore dell'elezione di Javier Milei in Argentina. Tutti gli accusati devono rispondere di "abolizione violenta dello Stato democratico di diritto, colpo di Stato e associazione illegale". Tra i denunciati c'è anche il nome del generale della riserva Mário Fernandes, recentemente arrestato insieme ad altri tre alti ufficiali e a un agente federale. I cinque sarebbero gli ideatori di un complotto per uccidere il presidente Luiz Inácio da Silva, il suo vice Geraldo Alckmin e il magistrato del Supremo Tribunal Federal Alexandre de Moraes. Secondo le indagini il piano doveva scattare nel dicembre 2022 e mirava a impedire l'insediamento di Lula per mantenere Bolsonaro al potere. Gli investigatori stanno analizzando anche i possibili legami di quel progetto di colpo di Stato con un oscuro episodio avvenuto il 13 novembre a Brasilia: Francisco Wanderley Luiz, militante del Partido Liberal, aveva tentato di introdursi nella sede del tribunale supremo e, non riuscendo nell'intento, aveva lanciato alcuni ordigni contro il palazzo per poi farsi esplodere. Nonostante Bolsonaro sia nel mirino della magistratura per i suoi tentativi di sovverire l'ordine democratico, i partiti conservatori rimangono forti in Brasile: lo confermano i risultati dei ballottaggi del 27 ottobre per le elezioni locali, dove la sinistra ha perso nella maggioranza dei comuni. A São Paulo è stato rieletto sindaco Ricardo Nunes, del Movimento Democrático Brasileiro, che si è imposto sul candidato appoggiato da Lula, Guilherme Boulos del Psol (Partido Socialismo e Liberdade). Anche a Porto Alegre Maria do Rosário, deputata federale del Partido dos Trabalhadores e attivista dei diritti umani, è stata sconfitta dal bolsonarista Sebastião Melo. L'appoggio della sinistra ha permesso comunque l'elezione di due candidati del centrista Partido Social Democrático: Fuad Noman a Belo Horizonte e Eduardo Paes a Rio de Janeiro (quest'ultimo vittorioso già al primo turno, il 6 ottobre, su Alexandre Ramagem, il bolsonarista ora denunciato per il tentativo di golpe). E a Fortaleza un altro seguace di Bolsonaro, André Fernandes, è stato sconfitto dal petista Evandro Leitão. ELON MUSK CEDE DI FRONTE ALLA MAGISTRATURA BRASILIANA. L'8 ottobre il giudice Alexandre de Moraes ha autorizzato X, dopo oltre un mese, a operare nuovamente in Brasile. Il social era stato sospeso perché accusato di incitamento alla violenza e mancata cooperazione nell'eliminazione di fake news. Per ottenere la revoca del provvedimento Elon Musk ha dovuto bloccare nove profili di simpatizzanti di Bolsonaro in cui venivano diffusi discorsi di odio, pagare una multa di 28,6 milioni di reais (5,2 milioni di dollari) e nominare un rappresentante legale nel paese. 24/11/2024 |
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Ancora una volta l'Onu vota contro il bloqueo a Cuba Il 30 ottobre, per l'ennesima volta, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è espressa a grandissima maggioranza (187 paesi) contro il blocco economico e finanziario imposto dagli Stati Uniti a Cuba. A favore naturalmente il rappresentante di Washington, con la sola compagnia di Israele e l'astensione della Moldavia. Il presidente argentino Milei avrebbe voluto schierarsi a fianco degli Usa, ma la sua indicazione è stata disattesa dalla ministra degli Esteri Diana Mondino, che per questo atto di indisciplina è stata immediatamente "licenziata". E proprio il bloqueo è alla base della peggiore crisi energetica che ha colpito l'isola, rimasta interamente all'oscuro venerdì 18 ottobre, mentre imperversava l'uragano Oscar. Dopo un secondo apagón, l'energia elettrica tornava quasi dappertutto solo lunedì 21. Le cause: la carenza di combustibile, perché l'accesso al mercato internazionale del petrolio è limitato dalle sanzioni (che colpiscono anche il Venezuela, uno dei pochi alleati nella regione). Lo stesso avviene con i pezzi di ricambio necessari per far funzionare impianti vecchi, che abbisognano di costanti riparazioni. Già prima del 18 i cubani da varie settimane avevano dovuto far fronte a interruzioni non solo della luce, ma delle comunicazioni e della somministrazione dell'acqua potabile. Non è mancato però, in questi giorni difficili, l'aiuto del Messico, che ha inviato all'isola 400.000 barili di petrolio. Come ha affermato la presidente Claudia Sheinbaum, "nonostante le critiche" il governo messicano continuerà a offrire appoggio umanitario a Cuba, come ha sempre fatto fin dall'imposizione del blocco statunitense. 31/10/2024 |
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Cile, il governo Boric non intacca il neoliberismo Nessuna forza politica è uscita chiaramente vincitrice dalle elezioni locali celebrate il 26 e 27 ottobre e che hanno registrato un'affluenza record di quasi l'85%. La coalizione di sinistra Apruebo Dignidad è riuscita a mantenere Maipú, Viña del Mar e Valparaíso, perdendo però Santiago, dove si è imposto Mario Desbordes, ex ministro durante la presidenza di Sebastián Piñera (quest'ultimo è morto nel febbraio scorso in un incidente d'elicottero). La vigilia del voto era stata contrassegnata dalla denuncia per violenza sessuale contro il sottosegretario Manuel Monsalve, costretto alle dimissioni: un colpo per il governo progressista di Gabriel Boric. Lo scandalo ha finito per oscurare il cosiddetto Caso Audios, un'estesa trama di corruzione in cui ricorre il nome di un noto dirigente di destra, Andrés Chadwick Piñera, cugino dell'ex presidente di cui era stato ministro dell'Interno. Il caso, venuto alla luce grazie a un'intercettazione all'avvocato Hermosilla che chiedeva soldi a un cliente per ottenere sentenze compiacenti, ha coinvolto membri della magistratura, compresa la giudice della Corte Suprema Angela Vivanco, destituita in ottobre. Al di là delle accuse a Monsalve, l'attuale presidenza ha deluso quanti avevano sperato in una vera svolta in Cile dopo l'estallido social del 2019, come testimoniano i sondaggi sulla popolarità del capo dello Stato che si aggira tra il 25 e il 28%. Gabriel Boric non ha fatto nulla per cambiare la struttura neoliberista dello Stato e per limitare lo strapotere dei fondi privati nelle pensioni e nella sanità, così come non ha modificato la politica repressiva nei confronti della popolazione mapuche. Alla sinistra al governo si rimprovera anche la difesa troppo timida delle proteste del 2019, che la destra cerca di criminalizzare mettendo l'accento su saccheggi e scontri e sorvolando sulle violazioni dei diritti umani da parte della polizia. A testimonianza del mutato clima, a cinque anni dalla rivolta che aveva portato aria nuova nel paese, è la vicenda di Daniel Jadue, l'ex sindaco comunista di Recoleta, arrestato in giugno con accuse di corruzione, truffa e frode al fisco per la sua gestione delle Farmacias Populares, da lui create nel 2016 per offrire medicine a basso costo ai meno abbienti. Una vera e propria persecuzione politica che non si è ancora fermata anche se, dopo 91 giorni, Jadue è stato scarcerato e ora si trova agli arresti domiciliari. In sua difesa si sono mobilitate personalità e organizzazioni da tutto il mondo, tra cui il Foro di San Paolo. 29/10/2024 |
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Il blocco Brics+ e l'America Latina Dal 22 al 24 ottobre si è tenuto, nella località russa di Kazan, il XVI Vertice del blocco Brics+. Erano presenti i rappresentanti di 36 nazioni, nonché il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Una chiara testimonianza dell'interesse suscitato da questo germe di un mondo multipolare, in grado di sviluppare istituti alternativi per il commercio e la finanza internazionali e di aggirare così le sanzioni statunitensi ed europee da cui molti sono colpiti. All'inizio del 2024 ai cinque membri storici, Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, si erano aggiunti Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia (l'Arabia Saudita non ha ancora formalizzato la sua adesione). Anche l'Argentina avrebbe dovuto far parte di questo gruppo, come completamento di un processo iniziato durante la presidenza di Cristina Fernández. Ma l'attuale capo dello Stato Javier Milei aveva già preannunciato, ancor prima di vincere le elezioni, che il paese "sotto il nostro governo non starà nei Brics" perché "non andremo ad allearci con i comunisti". Il XVI Vertice ha sancito l'ingresso di tredici nuovi Stati, ammessi come "associati": i latinoamericani Cuba e Bolivia insieme ad Algeria, Bielorussia, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan, Vietnam. Ha sorpreso invece l'esclusione del Nicaragua e soprattutto del Venezuela a causa del veto posto da Brasilia. Lula non si è recato a Kazan (era presente invece Celso Amorim) per i postumi di un incidente domestico su cui si è molto speculato: qualcuno ha pensato a un pretesto per evitare incontri imbarazzanti con Nicolás Maduro, che era tra gli invitati. Il governo brasiliano, che pure a suo tempo aveva sponsorizzato la candidatura venezuelana, si è ora opposto adducendo la rottura del rapporto di fiducia con Caracas. Si riferiva alla mancata pubblicazione degli atti ufficiali che avrebbero dovuto testimoniare la vittoria di Maduro alle elezioni del 28 luglio, vittoria contestata dalle opposizioni. Una motivazione che contrasta con la politica dei Brics+, basata sulla non ingerenza negli affari interni di ciascun paese. Molto si è discusso su questo veto, che il Ministero degli Esteri bolivariano ha definito "un atto aggressivo e ostile". Con ogni probabilità la decisione brasiliana risponde non solo al desiderio di non giungere a uno scontro aperto con gli Stati Uniti, ma anche a problemi interni: Lula non conta su una maggioranza parlamentare e deve appoggiarsi su una coalizione spostata in senso conservatore. Per il blocco Brics+ questo significa la perdita di un socio dotato della principale riserva petrolifera mondiale. E anche le ripercussioni sulla regione latinoamericana saranno pesanti, come scrive Atilio Boron su Página/12: "Quanto avvenuto sottrae prestigio al Brasile e fa apparire il suo governo come un docile alleato di Washington che opera in America Latina, favorendo la disconnessione, per non dire la 'disintegrazione' tra i paesi dell'area. Tutto ciò alimenta il sospetto sulle future intenzioni di Itamaraty [sede del dicastero degli Esteri] sul terreno internazionale. Per questo la mossa di Lula a Kazan è un 'veto suicida' perché indebolisce l'attrazione internazionale del Brasile non solo in America Latina, ma a livello mondiale". 28/10/2024 |
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Haiti, "Una situazione catastrofica" "Una situazione catastrofica": così la direttrice esecutiva dell'Unicef, Catherine Russell, ha definito la realtà di Haiti, sommersa da mesi in una crisi umanitaria senza precedenti. Bande criminali spadroneggiano commettendo i peggiori abusi, con violenze, mutilazioni e omicidi ai danni della popolazione indifesa, in particolare dei minori. Secondo dati dell'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'Onu, oltre 3.600 persone sono state assassinate nel corso del 2024. La metà degli abitanti del paese soffre di grave insicurezza alimentare e il numero di quanti hanno dovuto abbandonare le proprie case è già salito a 700.000. A questo già tremendo scenario si aggiunge la deportazione di massa che la confinante Repubblica Dominicana ha cominciato ad eseguire a partire dall'inizio di ottobre: il piano prevede l'espulsione ogni settimana, fino a fine anno, di oltre 10.000 haitiani che vi avevano trovato rifugio. È l'attuazione delle promesse elettorali del nuovo presidente, Luis Abinader, che a maggio ha preso possesso della sua carica. Non si tratta di una novità: secondo dati della Bbc, l'anno scorso gli espulsi furono circa 250.000 e nei primi sei mesi di quest'anno avevano già superato i 60.000. Del resto nel 2013 una sentenza del Tribunal Constitucional aveva privato della cittadinanza oltre 200.000 discendenti di haitiani, che pur risiedevano nel paese da quattro generazioni. La situazione di Haiti appare dunque sempre più drammatica, nonostante in aprile si sia insediato a Port-au-Prince il Conseil Présidentiel de Transition con l'obiettivo di preparare le condizioni per nuove elezioni. In questi pochi mesi la vita dell'organismo di transizione è stata alquanto travagliata: formalizzate le dimission di Ariel Henri, la presidenza a rotazione è passata prima a Edgard Leblanc Fils, poi in ottobre all'architetto Leslie Voltaire, che rappresenta il partito di Jean-Bertrand Aristide. Leblanc Fils però non ha voluto firmare il decreto relativo, adducendo accuse di corruzione contro altri membri del Consiglio. Quanto alla carica di primo ministro, inizialmente è stata assunta ad interim da Patrick Boisvert, fino alla nomina a fine maggio del medico Garry Conille, vicino all'amministrazione Usa, che aveva già ricoperto questo incarico per pochi mesi tra il 2011 e il 2012. La presenza nel paese della Missione Multinazionale di Appoggio alla Sicurezza (Mmas) sotto comando keniano non sembra in grado di riportare l'ordine, anche per la scarsità dei mezzi a disposizione. Attualmente la missione è composta da circa 430 persone: al contingente arrivato dal Kenia in giugno si sono aggiunti in seguito agenti delle Bahamas, del Belice e della Giamaica. Ma il nemico che hanno di fronte è potente e ben armato e non esita a compiere vere e proprie stragi, come quella avvenuta il 3 ottobre a Port Sondé, nel dipartimento di Antibonite: 115 civili inermi uccisi e decine feriti come rappresaglia per il rifiuto di alcuni conducenti di pagare un pedaggio imposto dalla banda locale. 25/10/2024 |
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Addio ad Antonio Skármeta Si è spento a metà ottobre, a Santiago, lo scrittore cileno Antonio Skármeta Vraníčić. Di lui si ricordano i romanzi: El cartero de Neruda (nell'edizione italiana Il postino di Neruda, da cui venne tratto il film Il postino, interpretato da Massimo Troisi), Soñé que la nieve ardía, El baile de la Victoria, Un padre de película. Fu anche autore di racconti, libri per bambini, opere teatrali (una di queste, El plebiscito, ispirò la pellicola No diretta da Pablo Larraín). Non si cimentò mai con la poesia, anche se ne sentiva il fascino, come spiegò una volta: "Sono tanto ammiratore dei poeti che, se passate in rassegna le mie opere, vedrete che nel cuore di questi racconti c'è un poema o qualche situazione collegata alla poesia che scatena il dramma o rafforza una relazione". Era nato ad Antofagasta nel 1940 da immigrati croati e aveva studiato filosofia presso l'Universidad de Chile, dove in seguito avrebbe insegnato. Dopo il golpe di Pinochet Skármeta, che militava nel Mapu (Movimiento de Acción Popular y Unitaria), dovette lasciare il paese per rifugiarsi prima in Argentina e poi in Germania: tornò in patria solo nel 1989. Dal maggio 2000 al febbraio 2003, sotto la presidenza di Ricardo Lagos, ricoprì l'incarico di ambasciatore a Berlino. Nel 2014 fu insignito del Premio Nacional de Literatura de Chile e in quell'occasione dichiarò: "Questo premio conferma il rapporto tanto grande e tanto intimo che ho con il Cile, la sua storia, le alternative storiche, i personaggi, la gente più vulnerabile alla quale mi sono dedicato nella mia opera, e i suoi artisti e poeti". 16/10/2024 |
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Messico, cambio della guardia nel segno della continuità Dal primo ottobre il Messico è governato da una presidenta, la prima della sua storia. L'investitura è avvenuta davanti al Congresso, riunito in seduta plenaria nel palazzo legislativo di San Lázaro, con il passaggio della fascia tricolore dal capo dello Stato uscente, Andrés Manuel López Obrador, a Claudia Sheinbaum Pardo. Nel suo discorso la neopresidente ha ribadito l'intenzione di continuare sul sentiero della Cuarta Transformación. Ha poi citato tre elementi su cui intende porre l'accento: la rivendicazione dei diritti delle donne, l'attenzione ai problemi ambientali e al cambiamento climatico, l'impulso alla scienza e alla ricerca. Nello stesso giorno Sheinbaum ha ricevuto il bastón de mando, come riconoscimento della sua legittimità alla guida del paese, da parte di cinque donne, autorità delle comunità indigene, in rappresentanza delle settanta popolazioni native e di quella afromessicana. Nel corso di questa cerimonia sono state rivolte invocazioni alle quattro direzioni cardinali e al centro dell'universo. Tanti i capi di Stato e di governo presenti a questa storica giornata: l'honduregna Xiomara Castro, il guatemalteco Bernardo Arevalo, il colombiano Gustavo Petro, il cubano Díaz-Canel, il brasiliano Lula, il cileno Gabriel Boric. Mancava invece un rappresentante di Madrid: il capo del governo spagnolo, Pedro Sánchez, pur invitato ha rifiutato di recarsi a Città del Messico perché l'invito non era stato esteso a re Felipe VI. In realtà il monarca era stato volutamente tralasciato in segno di protesta per la mancata risposta a un messaggio di Amlo del 2019, che lo invitava a un atto di riparazione nei confronti dei popoli originari, invasi, saccheggiati e massacrati dai Conquistadores. Il giorno successivo all'insediamento Claudia Sheinbaum, nella sua prima mañanera (l'incontro quotidiano con i giornalisti, tradizione ereditata da Amlo), ha offerto una disculpa pública per il massacro di Tlatelolco, la sanguinosa repressione della protesta studentesca del 2 ottobre 1968, ordinata dall'allora presidente Díaz Ordaz. Dos de octubre no se olvida ha affermato Sheinbaum, aggiungendo di essere "figlia del '68" perché sua madre, allora docente presso l'Instituto Politécnico Nacional, ne era stata espulsa per aver solidarizzato con il movimento. Un mese prima del cambio della guardia, López Obrador aveva tenuto il suo ultimo informe, affermando di andarsene "con la coscienza tranquilla" e rivendicando i risultati ottenuti nel corso del suo mandato, in particolare i nove milioni e mezzo di messicani usciti dalla povertà: del resto la parola d'ordine della sua gestione era stata Por el bien de todos, primero los pobres. I sei anni di Amlo hanno registrato anche un aumento significativo dei salari (del 110%) senza che questo abbia significato un incremento dell'inflazione, cresciuta solo dal 4,83% del dicembre 2018 al 4,99 del luglio 2024. Vanno poi considerati i tanti programmi sociali a favore degli anziani, degli handicappati, dell'infanzia e l'appoggio ai giovani perché possano continuare a studiare; l'avvio di gigantesche opere di infrastruttura come il Tren Maya e il recupero di risorse strategiche come il petrolio e il litio (in quest'ultimo caso con la creazione nel 2022 di LitioMx, organismo pubblico destinato all'esplorazione e allo sfruttamento di tale metallo). Se su un problema i sei anni di López Obrador non sono riusciti a incidere più di tanto è quello della violenza, dei tanti morti e desaparecidos a causa della lotta in atto tra i cartelli della droga, forniti di armi di tutti i tipi provenienti dagli Usa. La politica di Amlo al riguardo, sintetizzata nella frase Abrazos, no balazos, ha puntato non alla "guerra contro il narcotraffico", ma a una serie di politiche sociali per colpire il crimine alla radice. Una strategia che ha permesso di registrare una certa diminuzione degli atti delittuosi, anche se in alcuni Stati la delinquenza organizzata resta forte. E permangono ampie zone di impunità: non è stata fatta piena luce sulla sorte dei 43 giovani della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa, scomparsi dieci anni fa. I genitori hanno accusato Amlo di aver coperto il ruolo delle forze armate nei fatti di Iguala. Certo la cosiddetta verdad histórica, fabbricata durante la presidenza di Peña Nieto per negare ogni responsabilità dei militari incolpando solo la polizia locale e membri del cartello Guerreros Unidos, è definitivamente crollata. Ma secondo alcuni commentatori la promessa di López Obrador ai familiari di andare fino in fondo si è scontrata con minacce concrete di un colpo di Stato. Le indagini comunque non sono terminate e potrebbero riservare ancora qualche sorpresa. Nella sua battaglia contro la vasta trama di corruzione e impunità López Obrador si è spesso trovato di fronte il potere giudiziario. La riforma di questo potere, promulgata il 15 settembre dopo la sua approvazione da parte del legislativo e l'avallo della maggioranza dei Congressi locali, può ben dirsi storica. Schierati all'opposizione non solo magistrati e funzionari dei tribunali, che hanno dato vita a numerose manifestazioni di protesta, ma anche il governo Usa. Dopo l'intervento - poco diplomatico - dell'ambasciatore Salazar, un gruppo di parlamentari statunitensi si è detto preoccupato per un possibile conflitto delle nuove norme costituzionali messicane con gli interessi nordamericani, che si sentivano salvaguardati dal vecchio sistema. Per non parlare del britannico Financial Times, che riprendendo tutte le critiche della destra alla riforma è arrivato a scrivere un chiaro invito al golpe: "Non è troppo tardi per salvare la giovane e fragile democrazia messicana e Washington pagherebbe a lungo termine un alto prezzo per la sua inazione". LA SCOMPARSA DI IFIGENIA MARTINEZ. Il primo ottobre, come presidente della Camera, aveva presieduto la seduta plenaria del Congresso per l'insediamento di Claudia Sheinbaum. È stata la sua ultima apparizione in pubblico: Ifigenia Martínez y Hernández, storica leader della sinistra messicana, si è spenta il 5 ottobre a 99 anni. Laureata in Economia, era stata docente e poi direttrice della Escuela Nacional de Economía dell'Unam e in questa veste nel 1968 si era opposta con forza all'occupazione della Ciudad Universitaria da parte dell'esercito. Da sempre impegnata in politica, Doña Ifi (così veniva confidenzialmente chiamata) aveva militato nella Corriente Democrática del Pri insieme a Cuauhtémoc Cárdenas e Porfirio Muñoz Ledo; aveva poi preso parte alla fondazione del Partido de la Revolución Democrática per passare infine nelle file di Morena. Come ambasciatrice aveva rappresentato il suo paese presso le Nazioni Unite ed era stata più volte eletta alla Camera e al Senato. 6/10/2024 |
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Colombia, il gobierno del cambio tra passi avanti e minacce di golpe Gustavo Petro, il primo presidente progressista della Colombia, ha già superato metà del suo mandato (si era infatti insediato il 7 agosto 2022). Due anni non facili per il gobierno del cambio, in un paese dove la destra è ancora molto forte e ha in mano quasi tutti i media. Un importante successo è stato in giugno il voto favorevole del Parlamento alla riforma previdenziale, nonostante gli ostacoli posti dalle opposizioni che hanno allungato con ogni mezzo i tempi del dibattito. "Si tratta della principale conquista sociale del popolo lavoratore della Colombia da molto tempo a questa parte - ha commentato il capo dello Stato - Due milioni di persone che hanno passato la vita lavorando riceveranno un assegna pensionistico degno della loro vecchiaia. Milioni di lavoratori e lavoratrici di basso salario avranno diritto a una pensione reale". Altri passi avanti significativi si registrano nel settore dell'istruzione, con la costruzione di nuovi atenei, il miglioramento delle infrastrutture scolastiche e soprattutto il programma Puedo Estudiar, che mira ad ampliare l'accesso gratuito agli studi superiori. E sul piano della transizione energetica, volta a eliminare la dipendenza dal petrolio e a salvaguardare l'ambiente. Infine nella lotta alla povertà: secondo i dati del Departamento Administrativo Nacional de Estadística, nel 2023 i poveri erano 1.600.000 in meno rispetto all'anno precedente. Ma la disuguaglianza rimane alta: 16 milioni di cittadini risultano ancora privi di prestazioni di base. Quanto alla tanto anelata paz total con i gruppi armati non procede come sperato, con un alternarsi di tregue parziali e ripresa dei combattimenti. Il governo ha sospeso il dialogo con l'Eln, dopo l'attacco con esplosivi avvenuto il 17 settembre contro una base militare nel dipartimento di Arauca (tre soldati morti e altri 25 feriti). Rimane incompiuta l'attuazione integrale degli accordi di pace del 2016 con le Farc. Su questo tema Petro aveva partecipato in luglio alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiedendo misure per "potenziare la capacità finanziaria" del suo paese e ricordando che, su dieci milioni di contadini, "solo l'1% possiede il 90% della terra fertile. E questo 1% ha usato la terra fertile non per produrre cibo, ma per il riciclaggio del narcotraffico". La riforma agraria è riuscita finora a distribuire, a famiglie senza terra, titoli di proprietà per 200.000 ettari contro il milione e mezzo di ettari promesso. Per frenare il cambiamento settori dell'estrema destra, con l'aiuto di magistrati corrotti, hanno cercato più volte di coinvolgere il capo dello Stato in accuse su presunti fondi illeciti ricevuti per la sua campagna elettorale, alla caccia di un pretesto per estrometterlo dalla carica. Del resto nel maggio 2023 l'ex direttore dell'Asociación de Oficiales Retirados de las Fuerzas Armadas, colonnello Marulanda, aveva affermato che gli effettivi della riserva avrebbero fatto di tutto "per defenestrare un tipo che fu guerrigliero", riferendosi al passato del presidente nel M-19. Anche se Marulanda è deceduto nel maggio di quest'anno, le minacce di golpe non sono certo venute meno: lo ha ribadito il 19 settembre lo stesso Petro, davanti a migliaia di simpatizzanti scesi in piazza nella capitale per esprimere il loro sostegno al governo (altre manifestazioni si sono svolte nelle principali città colombiane). E non sono mancati gli attentati alla vita di Petro e a quella della vicepresidente Francia Márquez. Un piano per assassinare il presidente, fortunatamente sventato, avrebbe dovuto scattare il 20 luglio, in occasione della sfilata militare per l'anniversario dell'indipendenza. Quanto alla vice, in luglio contro la vettura che usa per i suoi spostamenti sono stati esplosi colpi d'arma da fuoco: Márquez in quel momento non era a bordo. Il mese precedente ignoti avevano sparato contro l'auto su cui viaggiava suo padre, fortunatamente rimasto illeso. 20/9/2024 |
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Honduras, decine di migliaia in piazza contro le minacce di golpe "La pace e la sicurezza interna della Repubblica sono in pericolo per un nuovo colpo di Stato che il popolo deve fermare". Questo il drammatico messaggio lanciato la sera del 3 settembre dalla presidente Xiomara Castro in un discorso attraverso la radio e la tv nazionale. "Il piano per distruggere il mio governo socialista e democratico e il prossimo processo elettorale è già in marcia", ha aggiunto attribuendo il progetto di golpe "alle stesse forze oscure che agirono nel 2009" destituendo suo marito, l'allora capo di Stato Manuel Zelaya. Dietro i golpisti del 2009 - non è un mistero per nessuno - c'erano Cia e Pentagono. E ancora adesso gli Stati Uniti non nascondono la volontà di intervenire pesantemente negli affari interni della Repubblica centroamericana. Commentando la riunione del 19 agosto tra il ministro della Difesa, José Manuel Zelaya, accompagnato dal capo delle forze armate generale Hernández, e il suo omologo venezuelano Padrino López, l'ambasciatrice Usa Laura Dogu ha espresso "la preoccupazione" del suo paese per l'incontro di autorità honduregne con quello che ha definito un "narcotrafficante" (l'esponente del governo Maduro). La presidente Castro ha risposto denunciando l'intenzione di Washington "di dirigere la politica dell'Honduras attraverso la sua ambasciata" e disponendo la cancellazione del trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Dal 2014, in virtù di questo trattato, l'Honduras ha estradato negli Usa una cinquantina di narcos, tra cui l'ex presidente Juan Orlando Hernández, condannato in giugno da un tribunale di New York a 45 anni di carcere. Fin dal suo insediamento Castro ha lottato per riscattare il paese dalla stretta della criminalità organizzata, penetrata massicciamente, dopo il 2009, nelle istituzioni. Senza rinnegare la sua battaglia contro corruzione e impunità, ha però affermato di non voler permettere "che si strumentalizzi in forma selettiva il trattato vigente con gli Stati Uniti per disarticolare le forze armate, abbattere il mio governo e distruggere le elezioni". Da parte dell'opposizione si sostiene invece che la revoca del trattato di estradizione sia volta a salvare i familiari della presidente, dopo la diffusione di un video del 2013 in cui appare il cognato Carlos Zelaya in un incontro con alcuni narcos. Per contrastare le accuse, Xiomara Castro ha ordinato alla Procura di procedere senza guardare in faccia a nessuno. Carlos Zelaya si è già dimesso da parlamentare (lo stesso ha fatto suo figlio José Manuel da ministro della Difesa) ponendosi a disposizione della giustizia. Davanti agli inquirenti ha ammesso la circostanza, sostenendo che gli interlocutori gli erano stati presentati come imprenditori desiderosi di contribuire finanziariamente alla campagna elettorale del partito Libre. Contro la cancellazione del trattato con gli Usa in centinaia sono scesi in piazza il 6 settembre nella capitale, dando vita alla cosiddetta Marcha de las Antorchas. Erano invece decine di migliaia le persone che il 14 settembre si sono mobilitate in difesa del governo e contro le minacce di golpe, al grido di "Xiomara non sei sola!". ASSASSINATO LEADER AMBIENTALISTA. Come Berta Cáceres. Juan López, 46 anni, che lottava contro lo sfruttamento minerario a cielo aperto in difesa del fiume Guapinol e della riserva forestale Botaderos, è stato ucciso il 14 settembre a colpi d'arma da fuoco a Tocoa (dipartimento di Colón), López, membro del partito Libre, dall'anno scorso godeva di misure di protezione ordinate dalla Comisión Interamericana de Derechos Humanos per le minacce che aveva ricevuto, ma questo non è bastato a salvarlo. Già nel 2021 si era detto consapevole che la sua battaglia in favore dei beni comuni lo aveva portato a scontrarsi con poderosi interessi. "Se uno esce di casa ha sempre in mente che non sa cosa gli può capitare e se potrà tornare a vedere la sua famiglia". L'Honduras è uno dei paesi più pericolosi per gli ecologisti: solo nel 2023 ne sono stati uccisi 18. 16/9/2024 |
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Perù, funerali di Stato per l'ex dittatore Tre giorni di lutto nazionale e funerali di Stato per Alberto Fujimori, morto l'11 settembre a Lima. L'ex dittatore, condannato a 25 anni di carcere per violazione dei diritti umani, nel dicembre scorso aveva goduto di un indulto e si era poi visto cancellare la pena grazie a una legge approvata in agosto, che dichiarava prescritti i crimini di lesa umanità commessi prima del luglio 2002. Annullati dunque tutti i delitti di cui si sono resi responsabili governanti e forze repressive nella cosiddetta "guerra contro il terrorimo", giustizia negata agli oltre 69.000 morti e ai 21.000 desaparecidos di quegli anni. Per quanto riguarda Fujimori, era stato riconosciuto colpevole di essere il mandante di due massacri eseguiti dai paramilitari del Grupo Colina: Barrios Altos nel 1991 (14 persone, tra cui un bambino di otto anni, uccise perché ritenute erroneamente appartenenti a Sendero Luminoso) e l'Università La Cantuta nel 1992 (un professore e nove studenti sequestrati e fatti scomparire). L'ex dittatore aveva ricevuto ulteriori condanne per corruzione e per suo volere decine di migliaia di donne indigene erano state sottoposte a sterilizzazione forzata. Eppure in suo onore negli uffici pubblici sono state issate le bandiere a mezz'asta e una scorta militare ha vegliato la salma nella camera ardente allestita in un salone del Ministero della Cultura. Nostalgici del suo regime, esponenti politici dell'estrema destra e imprenditori arricchiti grazie alla sua politica neoliberista sono accorsi a rendergli omaggio. Un trionfo dell'impunità che si spiega solo con la situazione politica del paese. La presidente illegittima Dina Boluarte è più debole che mai: in agosto è stata denunciata per la seconda volta davanti alla Corte Penale Internazionale per la morte di 49 persone durante la repressione seguita al suo insediamento in sostituzione di Pedro Castillo (la prima denuncia era stata nel giugno scorso). Dopo oltre un anno e mezzo praticamente nulla è stato fatto per rendere giustizia alle vittime: questa l'accusa dei sedici firmatari, tra cui figurano ex ministri ed ex parlamentari, diplomatici e attivisti per i diritti umani. Il governo di Dina Boluarte, che agli inizi di settembre aveva effettuato un rimpasto lasciando però al loro posto i ministri più contestati, compreso il capo di gabinetto Gustavo Adrianzén, si regge solo grazie al sostegno della destra e dell'estrema destra, in particolare di Fuerza Popular, il partito presieduto da Keiko Fujimori. Quest'ultima, in un ribaltamento della verità, rivolgendo un ultimo saluto al padre ha affermato: "Finalmente sei libero dall'odio e dalla vendetta, sei libero da quelle persone che non ti hanno perdonato anche se le hai salvate dalla fame e dal terrore. Sei libero da quei sedici anni di ingiusta prigione, da una sentenza comminata senza prova alcuna". 14/9/2024 |
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Il Messico "congela" i canali diplomatici con Usa e Canada "Speriamo vi sia da parte loro una conferma che saranno rispettosi dell'indipendenza del Messico, della sovranità del nostro paese, ma finché questo non avviene e finché continuano con quella politica ci sarà una pausa". Con queste parole il presidente López Obrador ha "congelato" i rapporti con l'ambasciatare statunitense Ken Salazar e con quello canadese Graeme C. Clark. Al centro del contendere la riforma del potere giudiziario promossa dall'esecutivo con l'elezione dei giudici attraverso il voto popolare: una risposta alla continua opposizione esercitata dalla Corte Suprema e dai tribunali federali alle diverse iniziative proposte nell'ambito della Cuarta Transformación. Come si legge nell'editoriale de La Jornada del primo settembre, "per decenni il potere giudiziario è stato complice di presidenti della Repubblica e parlamentari federali che hanno devastato la Costituzione, spogliandola del carattere sociale che era la sua essenza e la sua ragion d'essere per trasformarla in garante non dei diritti dei cittadini, ma della continuità dell'oligarchia neoliberista. Dopo la decisiva sconfitta elettorale del gruppo politico che aveva imposto il neoliberismo, il potere giudiziario assunse il ruolo di difensore di un regime che aveva perso l'appoggio sociale, diventando in tal modo non solo una forza elitaria e conservatrice, ma il principale ostacolo per la democrazia". L'intervento di Salazar non era stato improntato alla diplomazia: l'approvazione della riforma rappresenterebbe "un grosso rischio" per la democrazia e una minaccia alla "storica relazione commerciale tra i due paesi", oltre a indebolire l'integrazione economica del Nord America e a creare "turbolenza". Il Messico "deve contare su giudici capaci di gestire controversie complesse per le estradizioni, dispute commerciali e altre questioni" (frase che chiarisce la portata degli interessi in gioco). Dello stesso tenore le affermazioni di Clark: riformare il potere giudiziario potrebbe compromettere il "legame di fiducia" da parte degli investitori canadesi, garantiti a quanto pare dai giudici attuali. Sempre a proposito dell'interventismo statunitense negli affari interni del paese vicino, il direttore dell'Unidad de Inteligencia Financiera Pablo Gómez ha rivelato che l'organizzazione Mexicanos contra la Corrupción y la Impunidad, fondata nel novembre 2015 da uno dei principali leader dell'opposizione, l'imprenditore Claudio X. González, conta tra i suoi finanziatori internazionali l'ambasciata statunitense. Questa ha apportato all'associazione, attraverso l'Usaid (U.S. Agency for International Development), oltre 96 milioni di pesos tra l'agosto 2018 e il gennaio 2024. Da notare che l'invio di tali fondi è cominciato proprio all'indomani dell'elezione a presidente di Andrés Manuel López Obrador. 28/8/2024 |
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Lotta al neocolonialismo: l'Honduras si è ritirato dal Ciadi A sei mesi dalla notifica da parte di Tegucigalpa, è diventato effettivo il 25 agosto il ritiro dell'Honduras dal Ciadi, la sigla in spagnolo del Centro Internazionale per la Risoluzione delle Controversie sugli Investimenti Esteri. L'Icsid (questa la sigla in inglese) venne istituito nel 1965 dalla Convenzione di Washington come sistema di arbitrato internazionale nei contrasti tra investitori stranieri e Stati ospitanti. In realtà si tratta di un meccanismo perverso di impoverimento dei paesi del Sud del mondo: in base alle sue regole uno Stato può essere denunciato da una corporazione quando questa si ritenga defraudata per un mancato guadagno a causa di una legge del governo nazionale (in genere emanata per proteggere i diritti dei lavoratori o dell'ambiente). Si calcola che la sola America Latina abbia perso in tal modo più di 30 miliardi di dollari. L'Honduras è tra i paesi più colpiti da queste denunce di investitori "danneggiati" nei loro interessi. Nel maggio 2023 la compagnia statunitense Honduras Próspera Inc. ha chiesto allo Stato il pagamento di quasi 11 miliardi di dollari (più di un terzo dell'intero pil honduregno, che si aggira sui 30 miliardi) come compenso per l'abolizione delle zone a statuto speciale (Zede, Zone for Employment and Economic Development), territori che si reggono in base a proprie norme, svincolati dalla legislazione nazionale. La cancellazione di queste "città private" era stata promossa dalla presidente Xiomara Castro e approvata all'unanimità dal Parlamento. Nella causa intentata da Próspera il governo honduregno si era pronunciato contro l'arbitrato del Ciadi, definito "un sistema che mina la sovranità delle nazioni". In questa battaglia contro il neocolonialismo economico l'Honduras era stato preceduto nel 2007 dalla Bolivia, nel 2009 dall'Ecuador e nel 2012 dal Venezuela. Quito però ha fatto marcia indietro nel 2021, sotto la presidenza del banchiere Guillermo Lasso, rientrando nel Ciadi da cui si era ritirato con Rafael Correa. 26/8/2024 |
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Perù, approvata l'amnistia per i repressori Il 9 agosto rimarrà come una data nera nella storia del Perù: segna l'approvazione di una legge che dichiara prescritti i crimini di lesa umanità commessi anteriormente al 1° luglio 2002, quando entrò in vigore nel paese lo Statuto della Corte Penale Internazionale. Si calcola che tra il 1980 e il 2000 la cosiddetta "guerra contro il terrorismo" abbia provocato oltre 69.000 morti e 21.000 desaparecidos. "È un fatto preoccupante, in un contesto più ampio di passi indietro in materia di diritti umani e dello Stato di diritto", ha commentato l'alto commissario delle Nazioni Unite Volker Türk. Già in giugno la Corte Interamericana per i Diritti Umani aveva inutilmente chiesto di "sospendere immediatamente" la discussione del progetto di legge "per garantire il diritto di accesso alla giustizia delle vittime nei casi Barrios Altos e La Cantuta" (in entrambi è coinvolto Alberto Fujimori). Di questa vera e propria "amnistia" beneficeranno, oltre a Fujimori, seicento militari accusati di violazione dei diritti umani. L'ex dittatore, che grazie a un indulto è uscito nel dicembre scorso dal carcere dove stava scontando una condanna a 25 anni, ha ottenuto anche l'assegnazione di una pensione vitalizia di 15.600 soles mensili (equivalenti a 4.200 dollari). E già prevede di candidarsi alle presidenziali del 2026 per il partito Fuerza Popular presieduto dalla figlia Keiko. Il Congresso, controllato dal fujimorismo e dai suoi alleati, continua a coprire Dina Boluarte, di cui si serve per dare una parvenza di legalità. La presidente è indagata per una serie di reati che vanno dalla corruzione alla responsabilità nella morte di decine di manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza durante le proteste contro il suo governo. Per ben tre volte la maggioranza parlamentare l'ha salvata dalle richieste di destituzione "per incapacità morale". Boluarte ha ottenuto inoltre la scarcerazione del fratello Nicanor e del suo legale, accusati di far parte di un'organizzazione criminale, anche se ha dovuto rinunciare al ministro dell'Interno Walter Ortiz, indagato per ostruzione alla giustizia: al suo posto ha nominato Juan José Santiváñez, che era stato l'avvocato di ufficiali di polizia membri di uno squadrone della morte. Già in marzo la presidente aveva sostituito il capo di gabinetto Alberto Otárola (dimissionario per accuse di corruzione) con l'avvocato Gustavo Adrianzén (anche questi un falco come il suo predecessore). Aveva poi attuato un rimpasto di governo aumentando le quote di ministri provenienti dalla destra e dall'estrema destra. Del resto solo questa maggioranza può garantirle di rimanere al potere, dato che la sua popolarità è ai minimi storici. 10/8/2024 |
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Venezuela, dopo la rielezione di Maduro l'opposizione tenta il golpe Al termine della giornata elettorale del 28 luglio, trascorsa in relativa calma, il Consejo Nacional Electoral (cinque membri: tre rappresentanti della maggioranza e due dell'opposizione) ha annunciato i risultati parziali delle presidenziali proclamando la rielezione di Nicolás Maduro con il 51% dei voti. È stato come un segnale per scatenare le violente proteste dell'estrema destra, che da settimane vantava sondaggi ampiamente favorevoli (realizzati, secondo WikiLeaks, da un'agenzia legata alla Cia), al candidato della Plataforma Unitaria Democrática, l'ex diplomatico Edmundo González Urrutia. Quest'ultimo era sceso in campo poiché María Corina Machado, vincitrice delle primarie della coalizione, è inabilitata per quindici anni a ricoprire cariche pubbliche, per aver sollecitato "l'intervento militare straniero" al fine di "cacciare Maduro dal potere" e aver sostenuto le pretese dell'autoproclamato presidente Juan Guaidó (proprio tale inabilitazione è servita a Washington come principale pretesto per il totale ripristino delle sanzioni contro la Repubblica Bolivariana). Dopo quella di Machado, anche la candidatura di Corina Yoris, chiamata a sostituirla, non era stata registrata dalle autorità elettorali. Gli assalti di squadracce dell'opposizione a sedi istituzionali e a centri di votazione, accompagnati dall'appello all'intervento delle forze armate contro i presunti "brogli", hanno configurato un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, come ha denunciato il presidente Maduro. Ma i militari venezuelani non si sono schierati dalla parte dei golpisti e Caracas ha risposto ai governi di destra della regione, che sulla scia degli Stati Uniti avevano riconosciuto la vittoria di González Urrutia, rompendo i rapporti diplomatici con Costa Rica, Panama, Repubblica Dominicana, Argentina, Perù, Uruguay e anche con il Cile, dopo che Boric aveva definito i risultati del Cne "poco credibili". Sul fronte opposto 109 associazioni di 107 diversi paesi hanno sottoscritto il 29 luglio una dichiarazione in cui si congratulano con il rieletto capo di Stato ed esortano la comunità internazionale "ad appoggiare il processo democratico venezuelano e a condannare i tentativi di destabilizzazione". Tra i firmatari l'Asociación Americana de Juristas, una ong con rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite, che ha sottolineato come il processo elettorale si sia svolto "in condizioni di assoluta normalità, garantendo a tutta la cittadinanza l'esercizio del suo diritto costituzionale a emettere il voto". E si sono congratulati subito con Maduro i governi di Bolivia, Cuba, Honduras e Nicaragua. Non avallano le denunce di brogli avanzate dalla Pud il Brasile, la Colombia e il Messico, che hanno invitato ad attendere la pubblicazione degli atti ufficiali. In particolare López Obrador ha ammonito: "Nessun governo è autorizzato a emettere sentenze dando per perdente o vincitore un candidato di un altro paese". E ha criticato le ingerenze di alcuni paesi e dell'Organización de los Estados Americanos, secondo la quale il voto del 28 luglio aveva visto "la falsificazione più aberrante". Anche i dati resi noti il 2 agosto dal Consejo Nacional Electoral, terminato il controllo di quasi la totalità degli atti, hanno confermato il trionfo di Maduro con il 51,9% dei suffragi, mentre González Urrutia si è fermato al 43,1%. Nessuno degli altri otto candidati ha superato l'1,5%. Il ritardo nella divulgazione dei risultati è stato spiegato con una serie di "attacchi informatici da diverse parti del mondo". Ma le violenze dell'opposizione non si sono fermate: il bilancio degli scontri tra dimostranti e polizia è di 12 morti e 1.200 detenuti. Pacifiche invece le due grandi manifestazioni contrapposte del 3 agosto, che hanno visto come oratori da una parte Nicolás Maduro, dall'altra María Corina Machado. 4/8/2024 |
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La Bolivia diventa membro a pieno titolo del Mercosur Al 64° vertice del Mercado Común del Sur, che si è tenuto l'8 luglio nella capitale paraguayana, il presidente boliviano Luis Arce ha formalizzato l'ingresso del suo paese come membro a pieno titolo del blocco regionale. Un'adesione che, come ha scritto Arce nel suo account X, "riveste carattere strategico". Nel corso di una conferenza stampa la ministra degli Esteri, Celinda Sosa, ha affermato: "È un momento storico per la Bolivia, per i settori produttivi e per i boliviani che vivono e sono parte del Mercosur". Alla riunione hanno partecipato tutti i presidenti dei paesi aderenti, tranne l'argentino Javier Milei (in rappresentanza del governo di Buenos Aires era presente la ministra degli Esteri, Diana Mondino). Da notare che Milei era stato l'unico, tra i capi di Stato del Mercosur, a non condannare il tentato golpe del 26 giugno a La Paz, da lui definito un fraude. "È la prima volta che un presidente boicotta esplicitamente un vertice del blocco. La prima volta!", ha sottolineato l'argentino Gabriel Fuks, deputato del Parlasur. L'assenza di Milei ad Asunción ha ricevuto numerose critiche. "Se il Mercosur è tanto importante - ha sottolineato l'uruguayano Lacalle Pou - qui dovrebbero esserci tutti i presidenti". E parlando con i giornalisti al temine del vertice, il brasiliano Lula ha definito "un'immensa sciocchezza" la mancata partecipazione del capo di Stato argentino. 9/7/2024 |
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Bolivia, neutralizzato il tentativo di golpe È durato meno di mezza giornata il tentativo di golpe del 26 giugno, portato avanti da alcune unità dell'esercito guidate dal generale Juan José Zúñiga. Blindati militari occupavano Plaza Murillo, a La Paz, e uno abbatteva la porta del Palacio Quemado, la sede del governo dove il presidente Arce era riunito con i suoi ministri, permettendo ad alcuni insorti di fare irruzione all'interno. Zúñiga, parlando con i giornalisti presenti, spiegava l'intenzione di liberare tutti i "prigionieri politici", compresi i golpisti Jeanine Añez e Luis Fernando Camacho. Nel frattempo, all'esterno, le persone che si erano radunate in difesa della democrazia venivano accolte dal lancio di gas lacrimogeni e anche da colpi d'arma da fuoco. Arce affrontava il generale ribelle intimandogli di far rientrare i soldati nelle caserme e faceva appello ai boliviani a mobilitarsi contro il colpo di Stato. La Central Obrera Boliviana proclamava lo sciopero generale, mentre la presidente pro tempore della Celac, l'honduregna Xiomara Castro, convocava immediatamente i membri della Comunità a condannare quanto stata avvenendo. Dopo alcune ore di tensione Arce nominava i nuovi comandanti delle forze armate (José Sánchez per l'esercito, Gerardo Zabala per l'aviazione e Renán Guardia per la marina), che prestavano giuramento, mentre le truppe protagoniste della sommossa si ritiravano e Zúñiga veniva arrestato. Quest'ultimo, prima di essere portato in carcere, cercava di coinvolgere il capo dello Stato nell'accaduto, sostenendo di aver ricevuto da lui l'ordine di far uscire i blindati dalle caserme "per aumentare la sua popolarità". In serata il governo ha reso noto che il generale arrestato ha confessato di non aver potuto portare a termine i suoi obiettivi perché non erano giunti in tempo i rinforzi attesi. Come è stato poi confermato, nel tentativo di colpo di Stato (che ha provocato quattordici feriti) erano implicati i vertici delle tre armi, oltre a militari a riposo e personale civile. Il comandante della polizia, pur convocato a far parte del piano, si era invece rifiutato. Ventuno le persone finora arrestate. Il presidente Arce ha affermato di aver contattato, nel corso della crisi, Evo Morales: "Possiamo avere divergenze, la principale è che noi crediamo che lo strumento politico appartenga alle organizzazioni sociali e non a una persona in particolare, è una grande differenza che abbiamo con il compagno Evo; con tutto questo, quando abbiamo visto che stava per avvenire un golpe ho dato istruzione che mi mettessero in contatto con il compagno Evo e l'ho avvertito di quello che stava accadendo affinché prendesse le sue precauzioni, perché era chiaro che venivano per me, ma mi era chiaro che poi sarebbero andati alla ricerca di Morales. Per questo come compagno, perché alla fine questo siamo, l'ho chiamato per metterlo sull'avviso". La controversia tra i due esponenti del Movimiento al Socialismo aveva avuto un inasprimento agli inizi di maggio, quando le organizzazioni che appoggiano Arce avevano tenuto un congresso a El Alto designando il dirigente Grover García nuovo presidente del Mas. Secondo l'autorità elettorale, però, tale designazione non risponde allo statuto del movimento, per cui è necessrio procedere a un nuovo congresso unitario (cosa finora non avvenuta). Al di là dei dubbi sollevati sul golpe da settori contrari ad Arce, è facile individuare chi aveva interesse a un "cambiamento di regime" a La Paz. La Bolivia fa parte, insieme ad Argentina e Cile, del cosiddetto "triangolo del litio", che secondo alcune stime vanta il 53% delle riserve mondiali di questo metallo. A preoccupare gli Stati Uniti, oltre al possibile ingresso del paese nei Brics, sono i contratti recentemente firmati dall'esecutivo boliviano, per lo sfruttamento del litio, con il consorzio cinese CBC (Catl, Brunp & Cmoc) e con le compagnie Citic Guoan, anch'essa cinese, e Uranium One Group, della corporazione russa Rosatom. Non stupisce dunque che il 24 giugno la ministra degli Esteri di La Paz, Celinda Sosa Lunda, abbia convocato l'incaricata d'affari statunitense, Debra Hevia, per lamentarsi di "dichiarazioni e azioni" realizzate da parte del personale dell'ambasciata e considerate "intromissioni negli affari interni del paese". In particolare la rappresentanza diplomatica ha fomentato le proteste di trasportatori e commercianti per la mancanza di dollari e la penuria di combustibile. E sicuramente, tra gli strumenti di destabilizzazione, figura anche l'esasperazione della lotta intestina all'interno del Mas, con accuse come quella di Zúñiga relative all'autogolpe. Questa ipotesi, ripresa dall'ala evista, è stata scartata da Alvaro García Linera (vicepresidente durante il mandato di Morales), che ha ricordato come "lotte intestine ci fanno dimenticare i nemici maggiori. Che come ieri rialzano la testa". Senza contare che, il giorno prima del tentato colpo di Stato, Zúñiga era stato destituito proprio da Arce. 28/6/2024 |
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Argentina, Javier Milei all'attacco dello Stato La repressione di ogni forma di protesta è diventata il segno distintivo dell'Argentina di Javier Milei. Lo si è visto in tante occasioni, l'ultima in ordine di tempo il 12 giugno, nella mobilitazione contro la Ley Bases, approvata al Senato grazie ad accordi sottobanco per raggiungere i voti necessari. Una legge che liberalizza totalmente l'attività economica, privatizza innumerevoli imprese pubbliche e concede facoltà praticamente illimitate all'esecutivo. La manifestazione nei pressi del Congresso, dove la Ley Bases era in discussione, era pacifica, ma come al solito è bastato un pugno di provocatori, la cui presenza è ampiamente documentata, per giustificare una vera e propria caccia all'uomo. Una brutale aggressione che ha provocato il ferimento di diversi dimostranti, tra cui quattro parlamentari dell'opposizione, mentre gli arrestati si sono visti appioppare le assurde accuse di terrorismo e di tentato golpe. Il presidente anarcocapitalista avanza come un bulldozer contro ogni programma sociale. In un'intervista alla statunitense The Free Press ha affermato: "Sono quello che distrugge lo Stato dall'interno. È come essere infiltrato nelle file nemiche. La riforma dello Stato la deve fare qualcuno che odia lo Stato. E io lo odio tanto che, per distruggere lo Stato, sono disposto a sopportare ogni tipo di menzogne, calunnie e ingiurie tanto contro la mia persona quanto contro gli esseri a me più cari, che sono mia sorella, i miei cani e i miei genitori". Nella sua furia distruttrice Milei ha bloccato ogni opera pubblica, ha chiuso metà dei Ministeri e punta a licenziare altri 50.000 dipendenti statali, oltre ai 25.000 che hanno già perso l'impiego. Non stupisce che la povertà sia in costante aumento e ormai colpisca oltre il 55% degli argentini, 10% in più dello scorso anno. L'inflazione è poco al disotto del 300%, i prezzi di beni e tariffe continuano a crescere e la situazione è destinata ad aggravarsi nelle prossime settimane con il rialzo di gas ed elettricità, che colpirà soprattutto gli strati più svantaggiati ai quali sono stati tolti i sussidi. La disoccupazione, che alla fine del 2023 era al 5,7%, il livello più basso degli ultimi 36 anni, è adesso in costante crescita non solo per i licenziamenti nel pubblico, ma per il fallimento o il ridimensionamento di tante piccole e medie imprese soprattutto nel settore delle costruzioni, nell'industria, ma anche negli alimentari, che soffrono il crollo dei consumi. In aumento anche il numero di persone, tra cui intere famiglie, costrette a vivere per strada, esposte alle intemperie: secondo i calcoli delle organizzazioni sociali, solo a Buenos Aires i senzatetto sarebbero più di 12.000. La risposta delle autorità della capitale, in linea con il governo nazionale, è l'Operazione Ordine e Pulizia, che consiste nel cacciare gli homeless dalle zone centrali sottraendo loro ogni cosa, dai materassi alle coperte, condannandoli al freddo dell'autunno incipiente. Ma forse la dimostrazione più chiara del cinismo del potere risiede nel rifiuto di distribuire quasi sei milioni di chili di prodotti alimentari ereditati dalla gestione precedente e destinati ai comedores comunitarios, le mense allestite nelle zone più povere. E ai manifestanti che chiedevano pane la risposta è stata ancora una volta la violenza poliziesca. La ministra Sandra Pettovello, titolare del dicastero Capital Humano (che raggruppa Lavoro, Educazione, Cultura e Benessere Sociale), responsabile del blocco degli alimenti, ha dovuto alla fine cedere parzialmente a un ordine della Magistratura, anche se ha deciso di affidarne la distribuzione a una fondazione presieduta da un membro dell'Opus Dei e già raggiunta da accuse di malversazione. Nel frattempo il capo dello Stato festeggia la sua spietata ristrutturazione economica, volta a riequilibrare i conti pubblici al costo di una miseria e di una disuguaglianza in rapida crescita. Se la popolarità di Milei è in netto calo nel paese, anche all'estero non raccoglie consensi. Le sue offese contro ogni capo di Stato progressista hanno portato all'isolamento dell’Argentina nei confronti di alleati storici come il Brasile di Lula o il Messico di Amlo. Per non parlare di Madrid, dove le accuse di corruzione da lui lanciate contro la moglie del capo del governo, Pedro Sánchez, hanno provocato il ritiro dell'ambasciatrice spagnola dal paese. In compenso Buenos Aires ha abbandonato la tradizionale neutralità per esprimere pieno appoggio a Kiev e a Israele. E come abbiamo visto in occasione del vertice del G7 in Italia, è in perfetta sintonia con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Dall'attuale governo argentino non poteva mancare il sostegno agli anticastristi: il 12 giugno la ministra degli Esteri, Diana Mondino, ha ricevuto la controrivoluzionaria cubano-statunitense Rosa María Paiá, con cui ha discusso l'appoggio ai nuovi piani di Washington per la destabilizzazione di Cuba. L'unica nota positiva di questo periodo è la forte opposizione che le politiche di Milei hanno incontrato nel paese. Il movimento operaio aveva già reagito, fin da gennaio, con uno sciopero generale e cortei contro i primi decreti e la precarizzazione del lavoro. L'8 marzo erano scese in piazza decine di migliaia di donne per rivendicare i diritti sociali e riproduttivi e contro la proposta di legge antiaborto. Dopo la manifestazione di centinaia di migliaia di persone il 24 marzo per la Memoria, la Verità e la Giustizia, in aprile si è tenuta una grandiosa mobilitazione del mondo della scuola in difesa dell'istruzione pubblica. Il Primo Maggio ancora lavoratori e lavoratrici in piazza e, la settimana dopo, secondo sciopero generale convocato dalla Confederación General del Trabajo e dalle due Central de Trabajadores Argentinos, che ha praticamente paralizzato ogni attività produttiva. 15/6/2024 |
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Chiquita Brands condannata per i massacri in Colombia La compagnia bananiera statunitense Chiquita Brands è stata condannata da un tribunale dello Stato della Florida per i suoi finanziamenti agli squadroni della morte nella regione dell'Urabá (dipartimento di Antioquia), quando era governatore l'ex presidente Alvaro Uribe. L'impresa dovrà indennizzare, con oltre 38 milioni di dollari, i familiari di otto vittime. Si tratta comunque di una percentuale minima di quanti subirono l'ondata di terrore scatenata contro leader sindacali e contro le stesse comunità contadine, accusate di appoggiare i movimenti guerriglieri. Nel corso del processo si è potuto provare che tra il 1997 e il 2004 l'impresa versò quasi due milioni di dollari e fornì appoggio logistico a tre blocchi delle Autodefensas Unidas de Colombia, i gruppi paramilitari che operavano nella zona. La sentenza è stata accolta con favore dalle organizzazioni per i diritti umani, anche se molti lamentano che il procedimento non sia stato condotto in patria. "È una vera vergogna che sia la giustizia statunitense e non la colombiana ad aprire la strada per giudicare l'imprenditoria che ha ordinato e finanziato i massacri dell'Urabá", ha dichiarato il politologo León Valencia. E sul suo account X il presidente Gustavo Petro, ricordando che gli accordi di pace del 2016 prevedevano la creazione di un tribunale per determinare le verità giudiziarie, si è chiesto: "Perché non ne abbiamo uno?". Chiquita Brands è erede della United Fruit Company, l'impresa fondata nel 1899 e tristemente famosa per aver sponsorizzato numerosi colpi di Stato in Centro America e nei Caraibi (in particolare il golpe in Guatemala contro il governo Arbenz nel 1954). United Fruit è nota anche per il massacro di migliaia di lavoratori in sciopero nel 1928, un tragico episodio che ritorna nelle pagine del capolavoro di García Márquez Cien años de soledad. 12/6/2024 |
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Argentina, si è spento il sorriso di Lita Boitano Sarà ricordata per il suo sorriso, che non la abbandonò mai. Il 6 giugno, a una settimana di distanza da Nora Cortiñas, a 92 anni si è spenta un'altra madre di Plaza de Mayo: Angela Lita Boitano. Di origine italiana, la sua vita era stata segnata dalla doppia tragedia della scomparsa dei due figli, Adriana e Miguel. Entrambi erano militanti della Juventud Universitaria Peronista. Miguel venne sequestrato nel maggio del 1976, Adriana meno di un anno dopo, nell'aprile del 1977. Lita non risparmiò nessun tentativo per ritrovare i suoi figli. Fondò e presiedette l'organizzazione dei Familiares de Desaparecidos y Detenidos por Razones Políticas. Nel 1978, insieme a Graciela Lois, entrò nello stadio dove si svolgeva la partita Germania-Italia dei Mondiali di Calcio per distribuire volantini di denuncia dei crimini della dittatura. Pochi mesi dopo si recò a Puebla, in Messico, sede della Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano alla presenza di Giovanni Paolo II: l'obiettivo era quello di far sapere al papa quanto avveniva nel paese. Dal Messico però fu costretta a riparare in Italia: tornare in Argentina sarebbe stato troppo pericoloso. In Italia continuò la sua lotta e, dopo un digiuno, riuscì a ottenere che papa Wojtyla parlasse del dramma dei desaparecidos. Nel dicembre del 1983, con la caduta del regime, rientra a Buenos Aires, ma le sue speranze di conoscere finalmente la sorte di Miguel e Adriana resteranno deluse. Non smetterà comunque di combattere per i diritti umani, cui affiancherà la battaglia femminista. In rete gira un bel video in cui, con piglio deciso, canta Bella Ciao. 7/6/2024 |
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Claudia Sheinbaum sarà la prima presidenta del Messico La vittoria era prevista, ma non in queste proporzioni. Domenica 2 giugno Claudia Sheinbaum Pardo, candidata della coalizione Sigamos Haciendo Historia (Morena-Partido del Trabajo-Partido Verde Ecologista de México), è stata eletta alla più alta carica dello Stato con quasi il 60% dei voti. Più del doppio di quelli ottenuti dalla seconda classificata, Xóchitl Gálvez Ruiz dell'alleanza Fuerza y Corazón por México (Pan-Pri-Prd), che si è fermata al 27%. Al terzo posto Jorge Alvarez Máynez, del Movimiento Ciudadano, con il 10%. L'affluenza alle urne si è attestata sul 61%. Di Morena è anche la nuova jefa de Gobierno della capitale, Clara Brugada Molina, che ha sconfitto il suo avversario Santiago Taboada, legato al settore immobiliare. Dei partiti della coalizione Sigamos Haciendo Historia saranno inoltre i governatori di sei degli otto Stati in lizza in questa tornata: Veracruz, Morelos, Chiapas, Tabasco, Puebla, Yucatán. Claudia Sheinbaum, di origine lituana da parte di padre e bulgara da parte di madre (i nonni erano ebrei emigrati nella prima metà del Novecento) sarà la prima donna a presiedere il paese nordamericano. Il suo programma si situa nel solco di quell'humanismo mexicano proclamato da López Obrador. Promette di continuare con le politiche sociali, di promuovere la parità sostanziale delle donne, di rafforzare il servizio sanitario e la scuola pubblica. E si prevede un interesse particolare per la transizione energetica visto che, con un dottorato in ingegneria ambientale, ha fatto parte dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale che nel 2007 fu insignito del Premio Nobel per la Pace. Il successo di Sheinbaum è sicuramente legato alla popolarità del presidente uscente, che nel corso della sua gestione è riuscito a strappare alla povertà nove milioni di persone grazie all'aumento del salario minimo e all'incremento delle pensioni e dei sussidi per le madri single, le persone disabili, gli studenti delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, ha bloccato le privatizzazioni della compagnia petrolifera Pemex e della Comisión Federal de Electricidad, ha lanciato grandi progetti infrastrutturali come il Tren Interoceánico, tra il Pacifico e l'Atlantico, e il Tren Maya, nelle zone che hanno visto fiorire la cultura maya (incontrando in quest'ultimo caso l'opposizione di parte delle comunità indigene e del movimento zapatista). Contro questa politica i settori conservatori hanno scatenato una vera e propria guerra fatta di menzogne, fake news e attacchi indiscriminati, con l'appoggio non troppo dissimulato degli Stati Uniti. Basti citare l'articolo del New York Times che in febbraio parlava di indagini su un presunto finanziamento del narcotraffico nel 2018 alla campagna elettorale di Amlo. Accuse smentite dalla stessa Casa Bianca, ma che sono tornate quest'anno contro Sheinbaum. L'estrema destra statunitense non vede certo di buon occhio la difesa della sovranità nazionale da parte di López Obrador: non sono pochi gli esponenti repubblicani che hanno suggerito di attaccare militarmente i narcos in territorio messicano. La nuova presidente si trova di fronte un compito non facile: non solo portare avanti l'eredità di Amlo, ma frenare l'ondata di violenza della delinquenza organizzata, che nei mesi precedenti il voto ha portato all'uccisione di oltre trenta tra candidati e candidate dei diversi schieramenti. "In Messico il neoliberismo è alle nostre spalle", aveva affermato Sheinbaum alla vigilia delle elezioni. A seppellirlo per sempre dovrebbe contribuire il buon risultato delle legislative: alla Camera Morena e alleati hanno ottenuto la maggioranza qualificata e potrebbero introdurre cambiamenti costituzioniali; al Senato - secondo risultati preliminari - per lo stesso risultato mancherebbero solo due seggi. piacerebbe che le bandiere che innalzarono i nostri figli e figlie si potessero innalzare ora con l'orgoglio di essere in un'Argentina paese di resistenza". 5/6/2024 |
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L'Argentina piange Norita, storica madre di Plaza de Mayo "Nora Cortiñas non è una sola: è la madre che grida di fronte alle telecamere, quella che porta il fazzoletto bianco in testa, quella che porta il fazzoletto verde al polso [simbolo della battaglia per l'aborto], quella che gioca alla pelota, quella che sale su una moto, quella che cammina con il suo bastone con i fiori o quella che si lascia portare in sedia a rotelle. È la donna che è andata fino ai suoi ultimi giorni in Plaza de Mayo - il luogo in cui era arrivata nel maggio del 1977 con la speranza di recuperare suo figlio sequestrato dalla dittatura" (Luciana Bertoia, Página/12). Come soleva ripetere: "Questa assenza, questo dolore che sento tutti i giorni è il motore del mio impegno. Per questo accompagno ovunque le lotte contro tutte le oppressioni, perché semplicemente voglio cambiare questo mondo ingiusto". Norita, come veniva familiarmente chiamata, è morta il 30 maggio a 94 anni, dopo una vita spesa a cercare di conoscere la sorte del figlio Gustavo e a partecipare - nel suo ricordo - a tutte le mobilitazioni per la giustizia sociale, l'uguaglianza, i diritti dei popoli originari. Anche con l'avvento della presidenza Milei non aveva cessato di combattere, invitando sempre a scendere in piazza e a non arrendersi. Figura imprescindibile delle Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora, in lei si fondevano le lotte del passato e del presente, i diritti umani, la ricerca di verità e giustizia, l'ecologia e il femminismo. Nel maggio dello scorso anno, prendendo la parola davanti a una platea che l'applaudiva, aveva affermato: "Mi piacerebbe che le bandiere che innalzarono i nostri figli e figlie si potessero innalzare ora con l'orgoglio di essere in un'Argentina paese di resistenza". 31/5/2024 |
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L'America Latina tra siccità e inondazioni L'85,5% del territorio messicano è colpito dalla siccità, con temperature che in alcune zone hanno raggiunto i 47 gradi: il Ministero della Salute ha registrato 48 decessi, dovuti in genere a colpi di calore e disidratazione. E in Messico, come nei paesi centroamericani, in Colombia e in Ecuador, la scarsità di precipitazioni ha provocato l'abbassamento del livello dei bacini idroelettrici, con conseguente deficit energetico. Numerosi i black out in momenti in cui l'uso dei condizionatori è al massimo. Parte del Sud America è invece alle prese con le conseguenze di tremende inondazioni, che hanno già provocato innumerevoli vittime e migliaia di sfollati. In Brasile, dove lo Stato più colpito è quello di Rio Grande do Sul con la sua capitale Porto Alegre, si contano già 170 morti e oltre una cinquantina di dispersi, mentre quasi 600.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Nei paesi vicini le acque del fiume Uruguay hanno iniziato ad abbassarsi permettendo un lento ritorno alla normalità. Questo non ha impedito che oltre tremila persone abbiano dovuto essere evacuate in Uruguay e altre 750 in Argentina. "Siamo in guerra con la natura" e la natura contrattacca, afferma Clare Nullis, portavoce dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale, che attribuisce quanto sta accadendo al doppio impatto del riscaldamento globale e del fenomeno del Niño. E gli effetti delle forti piogge vengono ingigantiti dalla deforestazione attuata, nel sud del Brasile, soprattutto per far posto alla coltivazione di soia: la vegetazione nativa giocava infatti un ruolo importante nella retenzione delle acque. Una pesante eredità lasciata al presidente Lula dal negazionista Bolsonaro, che ha destinato alla prevenzione dei disastri climatici una cifra irrisoria. La sua politica continua nel governatore di Rio Grande do Sul, Eduardo Leite. Il subcontinente latinoamericano appare particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico: solo per citare tre episodi, lo scorso anno in Messico un uragano di categoria 5 ha distrutto vaste zone di Acapulco; a Panama navi da carico non riuscivano ad attraversare il Canale a causa del livello troppo basso delle acque; in Cile gli incendi boschivi hanno provocato la morte di oltre 130 persone. 27/5/2024 |
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Repubblica Dominicana, rieletto il presidente Abinader Luis Abinader, del Partido Revolucionario Moderno, è stato rieletto per altri quattro anni con oltre il 57% dei voti. Le elezioni si sono tenute domenica 19 maggio e si sono svolte in un clima di tranquillità, anche se l'opposizione ha denunciato alcune irregolarità. Al secondo posto si è piazzato l'ex capo di Stato Leonel Fernández, che si presentava per la formazione Fuerza del Pueblo, seguito da Abel Martínez, del Pld (Partido de la Liberación Dominicana). Nonostante possa contare su un'ampia maggioranza alla Camera e al Senato, Abinader ha fatto appello a un grande patto nazionale per affrontare i problemi del paese. Tra questi al primo posto figura l'immigrazione da Haiti, con cui la Repubblica Dominicana condivide l'isola de La Española. Sono molti gli haitiani che cercano rifugio oltre confine, in fuga dalla povertà e dalla violenza delle bande criminali. Ad attenderli però è una politica fortemente repressiva e con venature di razzismo: il governo di Santo Domingo fa ampio ricorso a retate e deportazioni, anche in caso di minori o donne incinte. Misure che sono state criticate dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, ma che incontrano l'approvazione della maggioranza dell'elettorato. E per "proteggere" il benessere dei dominicani dalla miseria haitiana, nel primo mandato Abinader aveva avviato la costruzione di un muro alla frontiera, che ora promette di completare al più presto. 21/5/2024 |
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Colombia, democrazia in emergenza "Siamo di fronte a un'arbitrarietà: un'istanza amministrativa formula accuse contro il presidente della Repubblica. È un'aperta rottura costituzionale. Si risponde con la forza del popolo". Così, sul suo account X, il presidente Petro ha messo in guardia su un possibile tentativo di golpe, ribadendo: "la democrazia entra in emergenza", dopo la decisione del Consejo Nacional Electoral di prendere in esame le denunce di due magistrati su un presunto finanziamento irregolare della sua campagna elettorale del 2022. Non è la prima volta che il capo dello Stato lancia allarmi di questo tipo: già nei mesi precedenti Procura e Corte Suprema avevano cercato in vari modi di sollevare casi su fondi illeciti che avrebbe ricevuto per la campagna o su altri presunti scandali dei suoi collaboratori. "Vogliono estromettere il presidente dalla carica a cui è stato eletto dal popolo", aveva affermato Petro, chiamando in causa "settori del narcotraffico, autori di crimini di lesa umanità, politici corrotti e settori corrotti della Procura". La nomina in marzo, da una terna proposta dall'esecutivo, di Luz Adriana Camargo come procuratrice generale in sostituzione di Francisco Barbosa, vicino a Iván Duque, è stata sicuramente positiva (Camargo è nota per la sua lotta contro la corruzione e la parapolitica), ma nella magistratura permangono forti sacche di resistenza al primo governo progressista del paese. Contro le minacce della destra, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Bogotá il Primo Maggio (al corteo ha partecipato lo stesso presidente). È stata questa una risposta alla mobilitazione dell'opposizione che il 21 aprile aveva tenuto massicce manifestazioni in diverse città con la parola d'ordine Fuera Petro e slogan razzisti e classisti. LA COLOMBIA ROMPE LE RELAZIONI DIPLOMATICHE CON ISRAELE. Il Ministero degli Esteri di Bogotá ha comunicato il 3 maggio la rottura delle relazioni diplomatiche con Israele. "La Colombia non può stare a fianco di un genocidio, il diritto internazionale deve essere preservato per fermare la barbarie - ha affermato il presidente Gustavo Petro - Oggi la diplomazia è l'espressione del potere economico e militare; la diplomazia deve essere invece la ragione dei popoli e il suo obiettivo non deve essere altro che la pace e la vita dell'umanità in tutta la sua diversità". Il governo ha comunque ribadito in una nota che la rottura non è diretta contro il popolo israeliano né contro le comunità ebraiche, cui "ci uniscono legami storici e di amicizia che persisteranno". 10/5/2024 |
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Panama, il nuovo presidente vuole sbarrare il passaggio ai migranti L'avvocato José Raúl Mulino, del partito di destra Realizando Metas, è il nuovo presidente di Panama. È stato eletto domenica 5 maggio, sconfiggendo gli altri sei candidati tra cui Ricardo Lombana, del Movimiento Otro Camino (formazione senza chiara connotazione politica), e Martín Torrijos, che aveva governato il paese dal 2004 al 2009. Particolarmente negativo il risultato dell'unica rappresentante della sinistra, l'economista Maribel Gordón, giunta ultima. Mulino è considerato il delfino di Ricardo Martinelli, capo di Stato dal 2009 al 2014, condannato per riciclaggio a dieci anni e mezzo di prigione e all'interdizione dai pubblici uffici. Proprio per questa sentenza Martinelli, che si è sottratto al carcere rifugiandosi nell'ambasciata del Nicaragua, ha dovuto abbandonare la competizione lasciando il posto al suo vice, Mulino. Questi ha potuto contare sull'appoggio dei poteri forti per superare gli ostacoli burocratici che avrebbero impedito la sua candidatura: a due giorni dal voto la Corte Suprema l'ha dichiarata costituzionale, nonostante non fosse stata decisa dall'assemblea del partito, come prescrive la legge, e non proponesse alcun nome per la carica di vice. Nel governo Martinelli, José Raúl Mulino guidò prima il dicastero del Governo e della Giustizia, poi quello della Sicurezza Pubblica. Fu proprio come titolare di quest'ultimo Ministero che represse con ferocia le proteste sociali: nel 2010 le forze di polizia attaccarono con violenza i lavoratori bananieri in lotta uccidendo due di loro: Antonio Smith e Virgilio Castillo. La politica economica del presidente eletto è improntata al neoliberismo: sul modello cileno prevede di privatizzare la sicurezza sociale e di renderne disponibili i fondi per la speculazione finanziaria. Quanto al problema dei migranti, propone di sbarrare il passaggio attraverso la foresta del Darién alla frontiera con la Colombia, percorso obbligato per le centinaia di migliaia di disperati che tentano di raggiungere gli Stati Uniti. Non potendo contare su una maggioranza nel Congresso uscito dalle urne il 5 maggio, Mulino dovrà comunque negoziare con l'opposizione. 7/5/2024 |
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Referendum in Ecuador: sì alla mano dura, no alla politica neoliberista All'annuncio dei risultati del referendum del 21 aprile il presidente Noboa ha scritto sul suo account X: "Grazie Ecuador per l'ampio appoggio a una politica di sicurezza e lotta contro la corruzione". Un tono trionfalistico che volutamente ignora i punti su cui la proposta del governo ha subito una solenne bocciatura. È vero infatti che gli elettori hanno approvato la politica di mano dura di fronte all'aumento della criminalità, come il ruolo delle forze armate in appoggio alla polizia nelle operazioni contro la delinquenza organizzata; la concessione dell'estradizione di cittadini ecuadoriani su richiesta della giustizia di altri paesi; l'aumento delle pene e l'eliminazione dei benefici penitenziari per determinati reati. È la logica conseguenza della situazione di insicurezza che si vive nel paese, attualmente uno dei più violenti della regione. Tra i bersagli soprattutto i sindaci: dopo l'uccisione, in marzo, della giovanissima Brigitte García, nella settimana precedente il voto sono stati assassinati José Sánchez, primo cittadino di Camilo Ponce Enríquez (provincia di Azuay), e Jorge Maldonado, di Portovelo (El Oro). E lo stesso giorno della consultazione è morto per mano dei killer Damián Parrales, direttore del carcere El Rodeo di Portoviejo. Se l'elettorato appoggia l'azione del governo nel "conflitto armato interno" dichiarato contro le bande criminali, non altrettanto si può dire per il modello economico neoliberista propugnato da Noboa. Un modello contro il quale Revolución Ciudadana ha condotto una strenua opposizione, cercando di contrastare lo smantellamento dello Stato sociale costruito durante la presidenza Correa. Alla domanda se si approva il riconoscimento "dell'arbitrato internazionale come metodo per risolvere controversie in materia di investimenti, contrattuali o commerciali", il 65% dei votanti ha risposto No, scegliendo di porre un argine agli interessi delle transnazionali nei confronti dello Stato. E alla proposta di "emendare la Costituzione della Repubblica e riformare il Codice del Lavoro per il contratto di lavoro a posto fisso e per ore, quando venga celebrato per la prima volta tra lo stesso datore di lavoro e lavoratore, senza ledere i diritti acquisiri dai lavoratori", il No si è attestato sul 69%, dimostrando il desiderio degli ecuadoriani di frenare la precarizzazione. Sicuramente il capo dello Stato sperava in un risultato più favorevole in vista delle elezioni del prossimo anno. In questo momento il suo governo deve fronteggiare tre problemi non indifferenti. Primo tra tutti l'isolamento internazionale come conseguenza dell'irruzione della polizia nell'ambasciata messicana: un'azione che - secondo molti analisti - ha goduto del tacito consenso di Washington, con cui Quito ha stretto in febbraio due accordi di cooperazione militare (senza contare che gli Usa hanno ottenuto, fin dal 2019, la concessione delle Isole Galápagos come "portaerei naturale"). Vi è poi la grave situazione economica, accentuata dalla decisione del governo di innalzare l'Iva dal 12 al 15% e dall'aumento del prezzo dei combustibili. Infine gli apagones, le interruzioni di energia elettrica in varie zone, tra cui la capitale e Guayaquil, dovute a una profonda crisi energetica provocata dalla siccità. In pratica Noboa può porre le sue speranze di rielezione solo su una drastica diminuzione della criminalità e della violenza. 24/4/2024 |
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Condanna internazionale per l'assalto all'ambasciata messicana a Quito Un attacco all'inviolabilità delle sedi diplomatiche e al diritto d'asilo: questo il significato dell'assalto della polizia ecuadoriana, la sera del 5 aprile, all'ambasciata messicana a Quito per arrestare l'ex vicepresidente Jorge Glas. A quest'ultimo, rifugiato fin da dicembre dopo l'ennesimo episodio di persecuzione giudiziaria, Città del Messico aveva appena concesso asilo politico. Nonostante tutto ciò Glas è stato letteralmente sequestrato da agenti incappucciati che - come risulta dai video girati all'interno - hanno anche malmenato e costretto a terra Roberto Canseco, l'incaricato d'affari, colpevole di aver cercato di opporsi. Canseco era titolare della missione diplomatica dopo che l'ambasciatrice Raquel Serus era stata dichiarata persona non grata dal governo Noboa, in seguito ad alcune affermazioni di López Obrador, che aveva messo in relazione l'assassinio in agosto del candidato presidenziale Villavicencio con la vittoria elettorale di Noboa due mesi dopo. Jorge Glas, ora rinchiuso in un carcere di massima sicurezza di Guayaquil, ha denunciato di essere stato percosso al momento dell'arresto. Il 12 aprile la Corte Nacional de Justicia ha dichiarato illegale e arbitraria la sua detenzione, ma non ne ha ordinato la scarcerazione, non avendo terminato di scontare una pena di otto anni per condanne precedenti. "Neppure nelle peggiori dittature è stata violata l'ambasciata di un paese. Non viviamo in uno Stato di diritto, ma in uno Stato di barbarie, con un improvvisato che confonde la patria con una delle sue aziende di banane", ha commentato l'ex presidente ecuadoriano Correa facendo riferimento a Daniel Noboa, erede di un impero fondato sul commercio di questo frutto. E il partito correista Revolución Ciudadana ha chiesto ufficialmente la rinuncia del capo dello Stato, che "ha dimostrato chiaramente di non avere la capacità di governare". Città del Messico ha reagito all'irruzione della polizia rompendo immediatamente le relazioni diplomatiche e ha denunciato l'accaduto all'International Court of Justice come violazione dell'articolo 22 della Convenzione di Vienna, chiedendo la sospensione dell'Ecuador da membro dell'Onu fino a quando dal suo governo non verrà "una pubblica scusa". Ha infine bloccato i negoziati commerciali in corso con Quito, che sperava in un accordo per poter entrare a far parte a pieno titolo dell'Alianza del Pacífico. La posizione messicana ha ricevuto l'appoggio delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea. Nel continente si sono associati governi di opposto orientamento, dall'Argentina al Brasile. In segno di solidarietà, Nicaragua e Venezuela hanno rotto le relazioni con l'Ecuador, mentre l'Organización de los Estados Americanos ha condannato "energicamente" l'accaduto, con una risoluzione approvata con l'unico voto contrario del rappresentante di Quito e l'astensione del Salvador. Anche Stati Uniti e Canada non hanno potuto esimersi da una condanna, sia pure tardiva. Sul tema i paesi della Celac hanno tenuto online una riunione d'urgenza. Mancava l'Uruguay, che ha giustificato la sua assenza sostenendo un cambiamento "nelle regole del gioco". Al termine dell'incontro la presidente honduregna Xiomara Castro ha affermato: "La conclusione è molto chiara sulla condanna ai violenti avvenimenti in Ecuador e sulla richiesta del salvacondotto per Jorge Glas". Il governo di Tegucigalpa ha poi richiamato la sua incaricata d'affari a Quito e ha preannunciato che appoggerà le azioni intraprese dal Messico. Resta il dubbio sulle vere motivazioni che hanno spinto Noboa a un'azione così arrischiata, che ha portato all'isolamento del suo paese sul piano internazionale. Secondo l'analisi di José Steinsleger su La Jornada, si tratta di un messaggio mafioso indirizzato contro il movimento della Revolución Ciudadana di Correa, contro Amlo e contro Claudia Sheinbaum. "Perché nell'Ecuador di Noboa - prosegue Steinsleger - niente si muove senza il consenso di Washington e della Cia". Lo aveva suggerito lo stesso López Obrador: "Un governo non agisce così se non sente l'appoggio di altri governi o potenze". 17/4/2024 |
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Argentina, ricetta neoliberista e alleanza strategica con gli Usa Una mobilitazione che ha superato ogni aspettativa: il 24 marzo centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e nelle altre città argentine, nell'anniversario del colpo di Stato del 1976. La manifestazione per la Memoria, la Verità e la Giustizia è stata anche una dimostrazione dell'opposizione alla politica del presidente Milei. Nel documento, letto in Plaza de Mayo dalla presidente delle Abuelas Estela de Carlotto, dal Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e da Taty Almeida di Madres Fundadoras, si ricorda tra l'altro che le vittime di quegli anni "lottavano per una società più giusta, ugualitaria, solidale e sovrana. Per questo li hanno portati via. Le stesse bandiere abbiamo impugnato come organismi dei diritti umani in pieno genocidio, quando abbiamo affrontato la dittatura più sanguinosa. E così facciamo oggi perché il governo di Milei intende strapparci tutto: i nostri diritti, la nostra sovranità e la nostra libertà". Il golpe di 48 anni fa servì ad imporre "con il terrorismo di Stato, la concentrazione della ricchezza in poche mani, l'approfondimento della disuguaglianza sociale e con essa la miseria pianificata (...) Le stesse corporazioni che si beneficiarono allora sono quelle che tornano a farlo oggi, con la stessa ricetta neoliberista, la stessa crudeltà e lo stesso disprezzo per il popolo argentino". Già a metà febbraio, in un lungo messaggio, Cristina Fernández avvertiva quanto si stava preparando con i primi provvedimenti presi da Milei, lo showman-economista, come lo definiva: "Fino a questo momento il nuovo governo ha avviato solo un feroce programma di ristrutturazione che agisce come un vero piano di destabilizzazione e che non solo incrementa la spirale inflazionistica ponendo la società sull'orlo dello shock, ma provocherà anche, irremediabilmente, l'aumento della disoccupazione e della disperazione sociale, in una sorta di caos pianificato". Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare, con la sospensione delle opere pubbliche e il licenziamento di oltre 15.000 dipendenti statali (e si tratta solo dell'inizio: il presidente intende cacciarne tra i 50 e i 70.000), mentre crescono i prezzi dei beni di prima necessità. E mentre le proteste contro la sua politica continuano, agli inizi di aprile il capo dello Stato ha lasciato la capitale per precipitarsi a Ushuaia (Tierra del Fuego) a rendere omaggio alla comandante del Southern Command statunitense, generale Laura Richardson: un'occasione per ribadire la sua intenzione di rafforzare "l'alleanza strategica" con gli Usa. È stata annunciata la costituzione di una base navale congiunta che, come ha detto il portavoce presidenziale Manuel Adorni, "costituisce il porto di sviluppo più vicino all'Antartide e trasforma Argentina e Stati Uniti nella porta d'accesso al continente bianco. Questo è parte della nostra integrazione al mondo occidentale e sviluppato, per affermare la nostra sovranità di fronte all'invasione di imbarcazioni di altri paesi". Il riferimento è in particolare alla Cina, la grande preoccupazione di Washington, che vede con sospetto persino l'osservatorio cino-argentino nella provincia di Neuquén, dedicato allo studio dello spazio profondo. Altri esempi di questa condiscendenza di Buenos Aires alle richieste Usa sono il previsto acquisto dalla Danimarca (che vuole disfarsene) di aerei F-16 di costruzione statunitense a condizioni più onerose rispetto all'offerta di velivoli JF-17 cinesi, o l'accordo firmato con il Corpo di Ingegneri dell'Esercito degli Stati Uniti per sovrintendere la navigabilità dei 1400 chilometri del corso argentino del Río Paraná. 7/4/2024 |
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La scomparsa di Martín Almada Si è spento il 30 marzo ad Asunción, a 87 anni, l'avvocato e difensore dei diritti umani Martín Almada, noto per aver scoperto gli Archivos del Terror, i documenti che testimoniano l'esistenza del Plan Cóndor, il coordinamento repressivo esistente tra i regimi militari del Sud America negli anni Settanta. Nel 1974, durante la dittatura di Alfredo Stroessner, Almada era stato arrestato e selvaggiamente torturato: era considerato un "pericoloso intellettuale" per aver scritto il libro Paraguay: educación y dependencia. Venne liberato tre anni dopo solo grazie alla pressione internazionale. Morì invece d'infarto la moglie, Celestina Pérez, obbligata dagli aguzzini ad ascoltare le urla del marito mentre veniva sottoposto a tormenti. Dopo la scarcerazione Almada visse in esilio a Panama e sulla sua esperienza scrisse il libro Paraguay: la cárcel olvidada. Lavorò a Parigi per l'Unesco, occupandosi di progetti di sviluppo rurale in Africa e in America Latina. Tornò in patria dopo la caduta del dittatore, cominciando una lunga lotta per la verità e la giustizia e creando nel 1990 la Fundación Celestina Pérez de Almada per favorire l'educazione ai diritti umani. E nel dicembre del 1992, proprio in seguito a una sua denuncia, il giudice José Agustín Fernández ordinò una perquisizione in un commissariato della città di Lambaré. Vennero così alla luce tre tonnellate di rapporti e comunicazioni tra le polizie paraguayana, argentina, brasiliana, cilena e uruguayana su scambio e trasferimenti di prigionieri e sul controllo dei "sovversivi": comunisti, socialisti, anarchici. Questa raccolta di documenti sul terrorismo di Stato, la più grossa mai scoperta, permise anche di dimostrare il ruolo degli Usa nelle dittature di quel decennio. Racconterà lo stesso Almada, in un'intervista al quotidiano messicano La Jornada: "Nel momento in cui vidi quella montagna di documenti, che avevo immaginato nei miei sogni di giustizia, non riuscii a trattenermi e piansi di emozione. Un poliziotto preoccupato ci portò verso un'altra stanza, dove c'erano alcuni archivi delle operazioni infami della famosa Policía Técnica e poi potemmo dissotterrare, a circa sessanta metri da questo locale di Lambaré, una borsa di certificati personali di paraguayani e argentini, identificazioni di persone desaparecidas che erano nascoste sottoterra in borse di plastica per proteggerle dall'umidità". Questi rinvenimenti furono determinanti per perforare il muto di impunità e promuovere i processi contro i responsabili di crimini di lesa umanità, specialmente in Argentina. Non altrettanto avvenne per il Paraguay. Stroessner è caduto, ma "l'apparato repressivo è rimasto intoccabile - lamentava Almada nel 2014 - Il governo non ha alcuna volontà politica di indagare". Del resto la dittatura paraguayana, la più lunga dell'America Latina, non è nota a livello internazionale come altri regimi. "Stroessner non è tanto famoso come Pinochet o Videla, perché questo è un paese povero, un'isola circondata di terra (...) Non abbiamo mare, siamo incomunicati e per questo le notizie circolano con ritardo". Nel 2002 Almada venne insignito del Premio Right Livelihood, noto come Nobel Alternativo. Oltre a continuare nella battaglia per la Memoria, la Verità e la Giustizia, si è occupato di ambiente, avviando progetti per lo sviluppo ecologico. Nel centro per l'energia solare da lui creato vengono disidratati frutti tropicali e funziona una radio comunitaria per le comunità indigene, il tutto grazie all'energia prodotta dal sole. 31/3/2024 |
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Assassinata la più giovane sindaca dell'Ecuador Brigitte García aveva solo 27 anni: era la sindaca di San Vicente, nella provincia di Manabí e apparteneva al movimento Revolución Ciudadana. Il suo corpo senza vita è stato trovato, all'alba del 24 marzo, all'interno di un'auto insieme a quello di Jairo Loor, responsabile della comunicazione dello stesso municipio: erano stati uccisi a colpi d'arma da fuoco sparati dall'interno del veicolo. Sono le ultime due vittime, in ordine di tempo, dell'ondata di violenza che sta sconvolgendo il paese e che lo stato d'emergenza decretato dal governo non è in grado di arrestare. Numerosi gli episodi di criminalità che hanno contrassegnato questi primi mesi del 2024, a partire dalla fuga dalla prigione di Guayaquil, il 7 gennaio, di Adolfo Macías Fito, capo di una delle bande più spietate, Los Choneros. Da allora si sono susseguiti saccheggi, sequestri, rivolte nelle carceri, fino alla clamorosa irruzione di uomini armati in uno studio televisivo mentre era in corso una trasmissione in diretta. César Suárez, il magistrato che indagava su quest'ultimo caso, è stato assassinato pochi giorni dopo. L'Ecuador, durante la presidenza di Rafael Correa una delle nazioni più tranquille del continente, ha visto sotto gli ultimi governi neoliberisti la distruzione dello Stato. E questo ha favorito la penetrazione del narcotraffico nell'apparato statale, forze di sicurezza comprese. 25/3/2024 |
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Emergenza umanitaria ad Haiti Duecento bande criminali che si disputano il potere in un paese immerso nel caos e dove lo Stato non è in grado di offrire alcuna protezione alla popolazione. È la situazione di Haiti, in preda a una vera e propria emergenza umanitaria: secondo il responsabile del Programma Alimentare Mondiale dell'Onu nella nazione caraibica, Jean-Martin Bauer, siamo di fronte a "una delle crisi alimentari più gravi al mondo", con quasi un milione e mezzo di persone "sull'orlo della denutrizione". Oltre 360.000 haitiani, la metà dei quali bambini, hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni per sfuggire alla violenza, inaspritasi agli inizi di marzo, quando in un attacco sanguinoso delle pandillas al penitenziario di Port-au-Prince 3.600 prigionieri sono riusciti a fuggire. Oltre alle carceri sono state attaccate caserme, banche, magazzini comunitari e persino il Palazzo Nazionale. Le istituzioni sono praticamente inesistenti e il primo ministro Ariel Henry, che allo scoppio della crisi si trovava all'estero, non riesce a rientrare in patria perché il suo governo non controlla l'aeroporto della capitale. Anche il porto è in mano a gruppi criminali e navi e portacontainer non attraccano più. Al potere dal luglio 2021 dopo l'assassinio del presidente Jovenel Moïse, Henry aveva tentato di posporre all'infinito le elezioni, ma alla fine ha dovuto arrendersi e annunciare in un videomessaggio le sue dimissioni, che diverranno effettive quando verrà insediato un governo di transizione. La decisione è dovuta alle pressioni internazionali seguite a un incontro in Giamaica dei leader della Caricom, la Comunità dei Caraibi, del segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, e dei rappresentanti di Francia, Canada e Onu. Intanto i gruppi armati più temibili, che si sono riuniti nella coalizione Viv Ansanm (Vivere Insieme) con alla testa l'ex poliziotto Jimmy Chérizier, detto Barbecue, hanno lanciato una sfida allo Stato minacciando la guerra civile. Le bande sono dotate di armi modernissime, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti che su tale commercio non hanno mai posto alcun embargo. Ma come si è arrivati a questa drammatica situazione, in quello che ha rappresentato il primo paese libero dell'America Latina e dei Caraibi? All'inizio del 1804, dopo una rivolta di schiavi, Haiti dichiarò l'indipendenza dalla Francia, ma ne ottenne il riconoscimento solo accettando di versare a Parigi un pesantissimo indennizzo: terminò di pagare nel 1947. Nel frattempo la potenza francese era stata sostituita dagli Stati Uniti, che invasero il paese nel 1915 e lo occuparono per 19 anni, appoggiando poi una serie di regimi finalizzati a proteggere i loro interessi (tra questi la sanguinaria dittatura dei Duvalier). Bisogna arrivare al febbraio 1991 per vedere il primo presidente democraticamente eletto, Jean-Bertrand Aristide, che chiese alla Francia riparazioni per il periodo coloniale e promosse alcune riforme per migliorare la situazione della popolazione più svantaggiata. La risposta fu un colpo di Stato militare meno di otto mesi dopo. Aristide riuscì in seguito a completare il suo mandato e nel 2000 venne rieletto, ma nel 2004 fu vittima di un nuovo golpe: forze canadesi presero il controllo dell'aeroporto internazionale, mentre marines Usa sequestravano il capo dello Stato e lo mettevano su un aereo diretto verso la Repubblica Centrafricana. Con una risoluzione dell'Onu venne istituito il Core Group (formato da Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Brasile, Canada, Unione Europea, Oea e Nazioni Unite), che da allora ha definitivamente sottratto alla popolazione haitiana ogni decisione sul suo futuro. Anche l'ultima parola sulla gestione degli aiuti internazionali dopo il disastroso terremoto del gennaio 2010, che provocò oltre 300.000 morti e un milione e mezzo di persone senza tetto, venne affidata ai delegati dei paesi donatori. Sempre nel 2010 la presenza della Missione di Stabilizzazione dell'Onu portò allo scoppio di un'epidemia di colera con oltre 10.000 vittime. E a quanto pare i sostanziosi fondi promessi per la ricostruzione non raggiunsero mai chi aveva veramente bisogno, visto che dieci anni dopo quella catastrofe gran parte dei terremotati viveva ancora in rifugi di fortuna e senza accesso all'acqua potabile. Una situazione aggravatasi nel 2021 a causa di un nuovo tremendo sisma e di una successiva tempesta tropicale. Era stato scelto dal Core Group anche il defunto presidente Moïse, che aveva utilizzato mercenari nordamericani per reprimere le manifestazioni popolari contro il carovita e in politica estera aveva preso posizioni fortemente antichaviste. Nel 2021, però, era avvenuta la svolta: aveva allacciato relazioni diplomatiche con Mosca e posto le basi per un riavvicinamento a Caracas, mettendo in allarme l'alleato statunitense. Da qui gli avvenimenti del 7 luglio: uomini armati penetrarono nella sua residenza privata, uccidendolo. I killer, di nazionalità colombiana, erano stati contrattati dalla compagnia statunitense CTU Security, sospettata di essere implicata nel fallito attentato del 2018 contro Maduro. E a decidere che Henry avrebbe sostituito il capo di Stato assassinato non sono stati certo i cittadini haitiani, visto che nessuna elezione si tiene dal 2016. Come ha rivelato WikiLeaks nel 2008, le vere motivazioni alla base dell'ingerenza di Washington non sono certo quelle di aiutare un paese in difficoltà, ma piuttosto di prevenire "il risorgere di forze politiche populiste e contro l'economia di mercato". Esempio clamoroso: nel 2009 il Parlamento di Haiti aveva cercato di aumentare il salario minimo a 5 dollari al giorno, ma gli Stati Uniti erano intervenuti nell'interesse delle multinazionali, bloccando il progetto di legge. Haiti dunque, la nazione più povera del continente, rimane a sovranità limitata. Un triste destino per un paese che ebbe il coraggio di ampliare agli ex schiavi il concetto di libertà della Rivoluzione Francese, inizialmente limitato ai bianchi, e che diede vita al primo Stato nero della storia moderna. 14/3/2024 |
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Celac, la destra regionale diserta il vertice I temi sul tappeto erano della massima importanza: sicurezza alimentare, strategia sanitaria, cambiamento climatico, mantenimento della pace nel subcontinente. Ma molti paesi non erano rappresentati al massimo livello: dei 33 capi di Stato e di governo chiamati a partecipare a Kingstown, capitale di Saint Vincent and the Grenadines, all'ottavo vertice della Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, erano presenti solo in quindici. Mancavano in particolare l'argentino Milei, il salvadoregno Bukele, l'ecuadoriano Noboa e l'uruguayano Lacalle Pou. Questo pone una grossa sfida a Xiomara Castro che dal primo ministro di Saint Vincent, Ralph Gonsalves, eredita la presidenza pro tempore della Celac: è chiaro che i leader della destra stanno mostrando, con la loro assenza, un rigido allineamento a Washington. Il rischio è quello di uno svuotamento degli obiettivi originari della Comunidad: l'autonomia dei paesi latinoamericani e caraibici contro ogni intervento estraneo alla regione. Nel ricevere il testimone, Castro ha sottolineato l'importanza di respingere le minacce neocolonialiste, ha invitato a ratificare l'impegno di rifiutare l'uso della violenza tra paesi fratelli e ad accettare il principio che le differenze tra le nazioni del blocco vanno risolte senza intromissioni esterne. Nella Dichiarazione di Kingstown che ha concluso l'incontro vengono prese in esame le crisi in corso nel subcontinente, a partire da quella haitiana. In merito i firmatari del documento ribadiscono la loro profonda preoccupazione "per il crescente deterioramento della sicurezza pubblica e della situazione umanitaria" e sottolineano che si richiede "una soluzione a guida haitiana, che comprenda un ampio dialogo tra società civile e protagonisti politici". Per quanto riguarda la controversia tra Venezuela e Guyana sull'Essequibo, si apprezza il risultato dell'incontro di Argyle tra i presidenti Maduro e Irfaan Alí, che hanno convenuto di risolvere qualsiasi disputa "in accordo con il diritto internazionale". I partecipanti al vertice ribadiscono inoltre "l'invito dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba che, oltre ad essere contrario alla legge internazionale, causa seri danni al benessere della popolazione cubana" e chiedono l'esclusione dell'isola dall'elenco dei paesi patrocinatori del terrorismo. Infine riaffermano il massimo appoggio della regione alla sovranità della Repubblica Argentina sulle isole Malvinas, South Georgia e South Sandwich e "il carattere latinoamericano e caraibico di Puerto Rico". 2/3/2024 |
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Colombia, il difficile cammino della pace Il presidente Gustavo Petro ha voluto lanciare un messaggio di pace nel corso della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (16-18 febbraio). "Noi possiamo aiutare l'Ucraina non con le armi, non attizzando una guerra tra fratelli - ha affermato parlando ai giornalisti - Possiamo aiutare in ciò che abbiamo appreso dalla pace, per esempio come sminare un territorio, per esempio propiziando i colloqui che permettano di uscire dalla guerra". Una risposta alle pressioni statunitensi sui paesi dell'America Latina per "arruolarli" nell'appoggio bellico a Kiev. Fin dal suo insediamento Petro non ha risparmiato gli sforzi per giungere a una "pace totale" in Colombia. Un difficile cammino che, tra alti e bassi, sta portando ai risultati sperati. Il primo febbraio una dichiarazione congiunta del rappresentante del governo Otty Patiño e di Iván Márquez, comandante del gruppo dissidente delle Farc Segunda Marquetalia, ha annunciato l'inizio di "un processo di colloqui sociopolitici miranti alla firma di un accordo". Intanto, dopo momenti di sospensione provocati da scambi di accuse tra le parti, proseguono i colloqui con l'altro gruppo dissidente, Estado Mayor Central: un nuovo ciclo di incontri è previsto ai primi di marzo a San José del Guaviare. Continua anche il dialogo con l'Ejército de Liberación Nacional. Recentemente vi erano state due brevi sospensioni volute dal gruppo guerrigliero: un paro armado nel dipartimento del Chocó, giustificato con la "presenza del paramilitarismo" e un congelamento delle trattative perché la controparte aveva realizzato "azioni in violazione a quanto pattuito". Finalmente il 26 febbraio un comunicato congiunto ha reso noto che gli incontri saranno ripresi: il settimo ciclo di colloqui si terrà in Venezuela dall'8 al 22 aprile. E come è stato confermato dalla responsabile del negoziato per il governo, Vera Grabe, l'Eln ha liberato tutte le persone che manteneva ancora sequestrate. In questo quadro va inserito anche il trasferimento a fine febbraio in un carcere colombiano, dopo oltre quindici anni nelle prigioni Usa per narcotraffico, di Salvatore Mancuso, ex capo delle Autodefensas Unidas de Colombia (gli squadroni della morte responsabili di innumerevoli massacri delle comunità contadine accusate di appoggiare la guerriglia). Mancuso torna nell'insolito ruolo di gestore di pace proprio per volontà del presidente Petro. In un comunicato ha dichiarato: "Mi metto a disposizione tanto del governo nazionale come delle organizzazioni armate che cercano con questo un dialogo, come le Autodefensas Gaitanistas de Colombia e le Autodefensas Conquistadores de la Sierra, per accompagnare le conversazioni di pace che siano necessarie". Il suo ritorno ha provocato un forte nervosismo negli ambienti di destra, che temono le sue rivelazioni sulle complicità di quegli anni. LA SCOMPARSA DI PIEDAD CORDOBA. Stroncata da un infarto, è morta a Medellín il 20 gennaio la senatrice Piedad Córdoba, grande lottatrice per la pace, la giustizia sociale, i diritti delle donne e degli afro-colombiani. Per queste battaglie attentarono due volte alla sua vita e nel 1999 fu anche sequestrata dai paramilitari delle Auc e tenuta prigioniera diverse settimane. Laureata in Legge, come parlamentare del Partito Liberal ebbe un importante ruolo di mediazione, insieme al presidente venezuelano Hugo Chávez, per la liberazione di alcune persone in mano alle Farc. Proprio con il pretesto dei suoi rapporti con il gruppo guerrigliero, nel 2010 l'allora procuratore generale Alejandro Ordóñez la espulse dal Senato inabilitandola per diciotto anni dal ricoprire cariche pubbliche. Solo nel 2016 le vennero restituiti i diritti politici. Intanto era diventata un'importante esponente del movimento di sinistra Marcha Patriótica. Nel novembre 2021 aderì al Pacto Histórico, la coalizione che porterà alla presidenza Gustavo Petro, e nelle legislative del 2022 conquistò nuovamente un seggio al Senato. Ma la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti non era finita: l'anno scorso una nuova indagine era stata aperta dalla Corte Suprema con accuse pretestuose. Di lei ha detto Petro: "Riuniva una serie di attributi che per la società retrograda non erano ammissibili; era una donna e nera e liberale di sinistra e amante della pace e parlava con guerriglieri e militari e proponeva la pace e non la guerra e non voleva una società paramilitare né un governo di assassini". 28/2/2024 |
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El Salvador, Bukele rieletto tra denunce di irregolarità Sono stati resi noti dal Tribunal Supremo Electoral i risultati definitivi delle presidenziali del 4 febbraio: Nayib Bukele è stato rieletto con l'82,6% dei voti. Un risultato poco credibile, anche tenendo conto della grande popolarità conquistata dal capo dello Stato con la sua spregiudicata lotta alle maras. In realtà vengono taciute le tante denunce di brogli e di irregolarità: disconnessione del sistema durante la trasmissione dei conteggi, mancanza di dati ufficiali, sostituzione degli scrutatori designati... Senza contare che i salvadoregni si sono recati alle urne nel quadro di un estado de excepción in vigore dal marzo del 2022 (e che dopo il voto è stato prorogato per altri 30 giorni). Del resto nel suo primo mandato Bukele ha governato attraverso un controllo assoluto sul potere legislativo, grazie al quale ha potuto destituire il procuratore generale e i membri della Sala Constitucional della Corte Suprema, designando al loro posto magistrati a lui fedeli. Sono stati proprio questi ultimi a permettergli di aggirare la Costituzione, che vietava la sua ricandidatura. Quanto all'opinione pubblica, è stata manipolata attraverso la diffusione via social di fake news e l'uso di profili falsi creati dalla sua macchina propagandistica, mentre i giornalisti critici vengono intimiditi e perseguitati: solo nel 2023 l'Asociación de Periodistas ha documentato 311 aggressioni a lavoratori dell'informazione. Anche la nuova Asamblea Legislativa, votata sempre il 4 febbraio, è allineata all'esecutivo: il partito di Bukele, Nuevas Ideas, ha ottenuto 55 seggi su 60. Gli altri cinque seggi sono così ripartiti: due al Pdc (Partido Demócrata Cristiano), due ad Arena (Alianza Republicana Nacionalista) e uno a Vamos; nessun rappresentante per Fmln e Gana (Gran Alianza por la Unidad Nacional). Nel Parlamento Centroamericano tredici deputati vanno a Nuevas Ideas, due ad Arena, due al Farabundo Martí, uno ciascuno a Gana, Pdc e Pcn (Partido de Concertación Nacional). Certo il capo dello Stato può vantarsi di aver "risolto" il problema della sicurezza: in Salvador il tasso di omicidi, un tempo tra i più alti al mondo, è crollato pesantemente ed è ora tra i più bassi del Centro America. Ma a prezzo di pesanti violazioni dei diritti umani. Il paese si è aggiudicato il primato mondiale del più alto numero di detenuti: oltre 75.000, l'1,4% della popolazione; si calcola che tra questi vi siano migliaia di innocenti. Le forze di sicurezza possono arrestare chiunque giudichino sospetto, senza necessità di indagini e mandati di cattura; la carcerazione preventiva non ha bisogno che venga formulato alcun capo d'accusa. Sono stati inoltre approvati i processi di massa: fino a 900 imputati per volta, rendendo praticamente impossibile al singolo dimostrare la propria estraneità ai fatti. Per ospitare parte di questa enorme popolazione carceraria è stato inaugurato un anno fa il più grosso penitenziario del continente americano. Il controllo sulla magistratura permette al capo dello Stato di attaccare, con accuse pretestuose, l'opposizione. L'ultimo bersaglio è l'ex democristiano Rubén Zamora che, dopo aver lottato con il Frente Democrático Revolucionario (alleato del Fmln) contro l'ultimo regime militare ed essere stato costretto all'esilio, con gli accordi di pace era tornato in patria e durante i governi del Frente aveva ricoperto l'incarico di ambasciatore negli Stati Uniti e presso le Nazioni Unite. Negli ultimi anni con il suo movimento, Resistencia Ciudadana, Zamora ha apertamente criticato la politica di Bukele. Nel dicembre scorso una giudice ha emesso contro di lui un mandato d'arresto: come membro della Junta Directiva del Parlamento, che nel 1993 approvò la Ley General de Amnistía (in seguito dichiarata incostituzionale), avrebbe coperto le responsabilità dei militari accusati della strage di El Mozote (1981). Da notare che la sua firma non compare sotto quel decreto di amnistia perché Zamora si rifiutò di sottoscriverlo. L'ordine di cattura nei suoi confronti è stato poi ritirato, ma il procedimento prosegue. E il 7 febbraio è morto in carcere, per cause non ancora chiarite, l'ex assessore per la Sicurezza Nazionale Alejandro Muyshondt. Era finito in cella in agosto sotto l'accusa di aver rivelato ai giornalisti e all'opposizione documenti segreti a favore dell'ex presidente Mauricio Funes, condannato per corruzione e attualmente rifugiato in Nicaragua. Poco prima del suo arresto Muyshondt aveva denunciato per narcotraffico un deputato di Nuevas Ideas. Intanto Bukele rafforza la sua immagine negli ambienti della destra continentale. Il 22 febbraio ha partecipato alla conferenza annuale organizzata dai conservatori a Washington, dove è stato accolto come una rock-star e nel suo intervento ha invitato a una “lotta senza sensi di colpa” contro le “forze oscure” che stanno prendendo il controllo degli Stati Uniti. 23/2/2024 |
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Ecuador, ratificati due accordi militari con gli Usa Come previsto, dopo il via libera della Corte Constitucional il governo Noboa ha ratificato il 15 febbraio due accordi di cooperazione militare con Washington. Il primo stabilisce i benefici, le esenzioni e le immunità garantite al personale statunitense (soldati, contrattisti, impiegati) che opererà in territorio ecuadoriano ufficialmente per combattere il narcotraffico. Il secondo riguarda il contrasto alle attività marittime transnazionali illecite e comporta la realizzazione di operazioni navali congiunte. In tal modo la sovranità nazionale viene delegata agli Stati Uniti, riportando il paese al periodo pre-Correa. E, sempre per compiacere gli Usa, Daniel Noboa aveva recentemente affermato che avrebbe inviato all'Ucraina armi e munizioni di origine russa in suo possesso. In cambio avrebbe ricevuto equipaggiamento statunitense per il valore di 200 milioni di dollari. La decisione non era piaciuta al Cremlino, che per ritorsione aveva bloccato le importazioni di banane dall'Ecuador (la Russia è al terzo posto tra i partner commerciali ecuadoriani). Risultato: una precipitosa marcia indietro di Noboa, che ha smentito la sua precedente dichiarazione. CONTINUA LA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA CONTRO JORGE GLAS. Scarcerato nel novembre del 2022 dopo cinque anni di prigionia per reati mai provati, l'ex vicepresidente Jorge Glas è stato raggiunto da una nuova accusa, riguardante presunti abusi nella gestione dei fondi per la ricostruzione della provincia di Manabí, colpita dal terremoto del 2016. Il 21 febbraio il tribunale competente ha respinto la richiesta di revoca della detenzione preventiva presentata dai suoi legali. Prevedendo la conclusione di questo nuovo caso di lawfare, Glas in dicembre si era rifugiato nell'ambasciata del Messico a Quito, dove attualmente si trova in qualità di "ospite". 22/2/2024 |
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Argentina, un milione e mezzo in piazza contro Milei Al grido di La patria no se vende, un milione e mezzo di persone hanno riempito le piazze di tutto il paese il 24 gennaio, in occasione dello sciopero generale proclamato dalle centrali sindacali. Una giornata di lotta per esprimere la protesta sociale contro il presidente Milei e per chiedere al Congresso di non ratificare il Decreto de Necesidad y Urgencia e la Ley Omnibus inviate dal governo, che derogano più di mille leggi costituzionali e prevedono la concessione di facoltà straordinarie all'esecutivo per due anni. Proposte che non solo cancellano i diritti dei lavoratori e le libertà sindacali, ma aprono la strada alla privatizzazione di tutte le imprese pubbliche, modificano il codice civile e commerciale, inaspriscono le pene per le manifestazion mentre ammorbidiscono le norme per la difesa dell'ambiente. La mobilitazione del 24 è stata accompagnata da iniziative di appoggio in tutto il mondo: in Italia si sono tenuti presidi a Roma, davanti all'ambasciata, e a Milano di fronte al consolato. Sono bastate poche settimane dall'inizio del suo mandato per far calare notevolmente la popolarità del nuovo presidente: gli argentini cominciano a rendersi conto che - a differenza di quanto aveva promesso in campagna elettorale - la politica di Milei non è certo indirizzata contro la "casta" i cui rappresentanti, Macri in testa, gestiscono il potere dietro le quinte. Due giorni dopo l'insediamento venivano resi pubblici i primi provvedimenti: svalutazione del 118% del peso, licenziamento di dipendenti statali, sospensione delle opere pubbliche e riduzione dei sussidi a energia e trasporti. Il numero dei dicasteri è stato drasticamente ridotto: in particolare scompare Donne, Generi e Diversità e viene creato il nuovo Ministerio de Capital Humano, che si occuperà di lavoro, sicurezza sociale, istruzione, cultura, politiche familiari. L'ARGENTINA NON ENTRA NEI BRICS. In una lettera inviata al gruppo dei Brics, il presidente Milei ha reso noto di non considerare opportuna "l'adesione della Repubblica Argentina come membro pieno a partire dal primo gennaio 2024", perché "l'impronta in materia di politica estera del governo che presiedo da pochi giorni differisce in molti aspetti da quella del governo precedente". La decisione è stata criticata da numerosi analisti economici, perché volta le spalle a paesi che sono potenziali acquirenti di prodotti argentini come alimenti, minerali, risorse energetiche. Ma le motivazioni del capo dello Stato sono ben chiare, come scrive su Página/12 Javier Lewkowicz: si tratta di "un forte gesto a favore degli Stati Uniti, da cui l'amministrazione Milei spera di ottenere finanziamento, sia da parte del Fondo Monetario Internazionale che da investitori privati, che le permettano di sostenersi come governo". 25/1/2024 |
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Venezuela, scoperti cinque piani eversivi Dal maggio scorso 32 persone sono finite in carcere, accusate di aver partecipato a cinque piani eversivi sventati dall'intelligence bolivariane. Lo ha rivelato il 22 gennaio il fiscal general Tarek William Saab, aggiungendo che sono stati emessi altri ordini di cattura. Tra i sospettati di cospirazione figurano civili e membri della Fuerza Armada Nacional Bolivariana. Tra gli obiettivi dei golpisti l'assassinio del presidente Maduro e assalti a installazioni militari. Il procuratore ha mostrato le testimonianze di due arrestati che coinvolgono in questi complotti la Cia e alcuni dirigenti politici di destra. Alle dichiarazioni del portavoce del Dipartimento di Stato Usa, secondo cui queste detenzioni "senza il debito processo sono contrarie allo spirito dell'accordo di road map elettorale" raggiunto in ottobre, Caracas ha risposto in un comunicato: "Non sorprende che Washington interceda a favore degli artefici delle operazioni terroristiche frustrate in Venezuela e che addirittura assicuri loro una posizione di complicità. Difendere queste azioni destabilizzatrici fomenta la violenza e attenta contro il normale sviluppo del processo elettorale del 2024". Il 17 ottobre il governo e l'opposizione, riunita nella Plataforma Unitaria Democrática, in un incontro nell'isola di Barbados avevano sottoscritto un documento per la celebrazione di elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024, con la presenza di osservatori dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite. Da parte statunitense era stato concesso un alleggerimento delle sanzioni. 24/1/2024 |
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Guatemala, la promessa di una nuova primavera L'investitura di Bernardo Arévalo de León alla massima carica dello Stato e della sua vice Karin Herrera Aguilar era previsto per le 16 di domenica 14 gennaio, ma ha potuto avvenire solo nelle prime ore di lunedì 15, a causa del ritardo nell'insediamento dei nuovi deputati. Un ritardo dovuto ai tentativi dei parlamentari legati alla vecchia legislatura di mantenere il controllo del Congresso o almeno della sua Junta Directiva, ostacolando l'ingresso degli eletti del Movimiento Semilla. Tentativi andati a vuoto, dal momento che alla fine a presiedere il Parlamento è stato proclamato un esponente di Semilla, Samuel Pérez. E anche la seconda votazione dei vertici del Congresso, imposta dalla Corte de Constitucionalidad in seguito ai ricorsi dell'opposizione, si è conclusa giorni dopo con la sconfitta della destra: la nuova Junta Directiva è composta da legislatori vicini ad Arévalo ed è presieduta da Nery Ramos, del Partido Azul. Nelle settimane precedenti pubblico ministero e giudici corrotti avevano cercato con ogni pretesto di invalidare l'esito delle elezioni, tanto che in dicembre la presidente del Tribunal Supremo Electoral, Blanca Alfaro, aveva dovuto dichiarare: "I risultati sono convalidati, sono ufficializzati e sono inalterabili", precisando che questo valeva non solo per Arévalo ed Herrera, ma anche per i 340 sindaci, i 160 congressisti e i 20 membri del Parlamento Centroamericano. Tutti avrebbero dovuto prendere possesso delle loro cariche in gennaio, per non incorrere nella "rottura dell'ordine costituzionale". A garantire la salvaguardia dello stato di diritto è stata soprattutto la popolazione indigena, da sempre oppressa e dimenticata: donne e uomini che dalle loro comunità hanno raggiunto la capitale e dall'inizio di ottobre hanno costituito presidi di fronte alla Fiscalía e ai tribunali, esigendo il rispetto della Costituzione e riuscendo a coinvolgere nella protesta studenti, sindacati e ampi settori della classe media. E fortunatamente gli aspiranti golpisti non hanno ottenuto alcun appoggio internazionale, neppure da Stati Uniti, Oea e Unione Europea. Così il 15 gennaio Arévalo ha potuto fare il suo ingresso nella sala dove si teneva la cerimonia di investitura al suono de La Primavera di Vivaldi. E nel suo discorso dal balcone del Palacio Nacional ha promesso una "nuova primavera", come quella che vide protagonista suo padre, Juan José Arévalo Bermejo, tra il 1946 e il 1951. Il nuovo capo dello Stato non ha nascosto le difficoltà che lo attendono: "Iniziano oggi quattro anni di un mandato che sicuramente sarà contrassegnato da una serie di ostacoli, molti dei quali non possiamo adesso prevedere", ma ha ribadito il suo impegno a trasformare non solo le istituzioni dello Stato, ma anche la realtà quotidiana dei guatemaltechi. "Non più corruzione, non più esclusione", ha esclamato. Alcuni giorni prima era stato presentato alla stampa il futuro governo, formato da sette uomini e sette donne. Tra queste ultime l'avvocata indigena Miriam Roquel, cui verrà affidato il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Roquel aveva occupato la carica di procuratrice aggiunta al fianco dell'allora procuratore per i Diritti Umani Jordán Rodas, costretto a rifugiarsi all'estero per aver denunciato le prevaricazioni dell'esecutivo Giammattei. "Siamo ancora in debito con la pluriculturalità", ha ammesso Arévalo, assicurando di voler continuare a impegnarsi per colmare questa lacuna. 20/1/2024 |
Latinoamerica-online.it a cura di Nicoletta Manuzzato |