Latinoamerica-online.it

 

La Bolivia diventa membro a pieno titolo del Mercosur  (9/7/2024)

L'America Latina tra siccità e inondazioni  (27/5/2024)

Condanna internazionale per l'assalto all'ambasciata messicana  (17/4/24)

La scomparsa di Martín Almada  (31/3/2024)

Celac, la destra regionale diserta il vertice  (2/3/2024)

 

Argentina

Javier Milei all'attacco dello Stato  (15/6/2024)

Si è spento il sorriso di Lita Boitano  (7/6/2024)

L'Argentina piange Norita, storica madre di Plaza de Mayo  (31/5/2024)

Ricetta neoliberista e alleanza strategica con gli Usa  (7/4/2024)

Un milione e mezzo in piazza contro Milei - L'Argentina non entra nei Brics  (25/1/2024)

 

Bolivia

Neutralizzato il tentativo di golpe  (28/6/2024)

 

Colombia

Chiquita Brands condannata per i massacri in Colombia  (12/6/2024)

Democrazia in emergenza - La Colombia rompe le relazioni diplomatiche con Israele  (10/5/2024)

Il difficile cammino della pace - La scomparsa di Piedad Córdoba  (28/2/2024)

 

Ecuador

Referendum in Ecuador: sì alla mano dura, no alla politica neoliberista  (24/4/2024)

Assassinata la più giovane sindaca dell'Ecuador  (25/3/2024)

Ratificati due accordi militari con gli Usa - Continua la persecuzione giudiziaria contro Jorge Glas  (22/2/2024)

 

El Salvador

Bukele rieletto tra denunce di irregolarità  (23/2/2024)

 

Guatemala

La promessa di una nuova primavera  (20/1/2024)

 

Haiti

Emergenza umanitaria ad Haiti  (14/3/2024)

 

Messico

Claudia Sheinbaum sarà la prima presidenta del Messico (5/6/2024)

 

Panama

Il nuovo presidente vuole sbarrare il passaggio ai migranti  (7/5/2024)

 

Repubblica Dominicana

Rieletto il presidente Abinader  (21/5/2024)

 

Venezuela

Scoperti cinque piani eversivi  (24/1/2024)

 


La Bolivia diventa membro a pieno titolo del Mercosur

Al 64° vertice del Mercado Común del Sur, che si è tenuto l'8 luglio nella capitale paraguayana, il presidente boliviano Luis Arce ha formalizzato l'ingresso del suo paese come membro a pieno titolo del blocco regionale. Un'adesione che, come ha scritto Arce nel suo account X, "riveste carattere strategico". Nel corso di una conferenza stampa la ministra degli Esteri, Celinda Sosa, ha affermato: "È un momento storico per la Bolivia, per i settori produttivi e per i boliviani che vivono e sono parte del Mercosur".

Alla riunione hanno partecipato tutti i presidenti dei paesi aderenti, tranne l'argentino Javier Milei (in rappresentanza del governo di Buenos Aires era presente la ministra degli Esteri, Diana Mondino). Da notare che Milei era stato l'unico, tra i capi di Stato del Mercosur, a non condannare il tentato golpe del 26 giugno a La Paz, da lui definito un fraude. "È la prima volta che un presidente boicotta esplicitamente un vertice del blocco. La prima volta!", ha sottolineato l'argentino Gabriel Fuks, deputato del Parlasur.

L'assenza di Milei ad Asunción ha ricevuto numerose critiche. "Se il Mercosur è tanto importante - ha sottolineato l'uruguayano Lacalle Pou - qui dovrebbero esserci tutti i presidenti". E parlando con i giornalisti al temine del vertice, il brasiliano Lula ha definito "un'immensa sciocchezza" la mancata partecipazione del capo di Stato argentino.

9/7/2024


Bolivia, neutralizzato il tentativo di golpe

È durato meno di mezza giornata il tentativo di golpe del 26 giugno, portato avanti da alcune unità dell'esercito guidate dal generale Juan José Zúñiga. Blindati militari occupavano Plaza Murillo, a La Paz, e uno abbatteva la porta del Palacio Quemado, la sede del governo dove il presidente Arce era riunito con i suoi ministri, permettendo ad alcuni insorti di fare irruzione all'interno. Zúñiga, parlando con i giornalisti presenti, spiegava l'intenzione di liberare tutti i "prigionieri politici", compresi i golpisti Jeanine Añez e Luis Fernando Camacho. Nel frattempo, all'esterno, le persone che si erano radunate in difesa della democrazia venivano accolte dal lancio di gas lacrimogeni e anche da colpi d'arma da fuoco.

Arce affrontava il generale ribelle intimandogli di far rientrare i soldati nelle caserme e faceva appello ai boliviani a mobilitarsi contro il colpo di Stato. La Central Obrera Boliviana proclamava lo sciopero generale, mentre la presidente pro tempore della Celac, l'honduregna Xiomara Castro, convocava immediatamente i membri della Comunità a condannare quanto stata avvenendo. Dopo alcune ore di tensione Arce nominava i nuovi comandanti delle forze armate (José Sánchez per l'esercito, Gerardo Zabala per l'aviazione e Renán Guardia per la marina), che prestavano giuramento, mentre le truppe protagoniste della sommossa si ritiravano e Zúñiga veniva arrestato. Quest'ultimo, prima di essere portato in carcere, cercava di coinvolgere il capo dello Stato nell'accaduto, sostenendo di aver ricevuto da lui l'ordine di far uscire i blindati dalle caserme "per aumentare la sua popolarità".

In serata il governo ha reso noto che il generale arrestato ha confessato di non aver potuto portare a termine i suoi obiettivi perché non erano giunti in tempo i rinforzi attesi. Come è stato poi confermato, nel tentativo di colpo di Stato (che ha provocato quattordici feriti) erano implicati i vertici delle tre armi, oltre a militari a riposo e personale civile. Il comandante della polizia, pur convocato a far parte del piano, si era invece rifiutato. Ventuno le persone finora arrestate.

Il presidente Arce ha affermato di aver contattato, nel corso della crisi, Evo Morales: "Possiamo avere divergenze, la principale è che noi crediamo che lo strumento politico appartenga alle organizzazioni sociali e non a una persona in particolare, è una grande differenza che abbiamo con il compagno Evo; con tutto questo, quando abbiamo visto che stava per avvenire un golpe ho dato istruzione che mi mettessero in contatto con il compagno Evo e l'ho avvertito di quello che stava accadendo affinché prendesse le sue precauzioni, perché era chiaro che venivano per me, ma mi era chiaro che poi sarebbero andati alla ricerca di Morales. Per questo come compagno, perché alla fine questo siamo, l'ho chiamato per metterlo sull'avviso". La controversia tra i due esponenti del Movimiento al Socialismo aveva avuto un inasprimento agli inizi di maggio, quando le organizzazioni che appoggiano Arce avevano tenuto un congresso a El Alto designando il dirigente Grover García nuovo presidente del Mas. Secondo l'autorità elettorale, però, tale designazione non risponde allo statuto del movimento, per cui è necessrio procedere a un nuovo congresso unitario (cosa finora non avvenuta).

Al di là dei dubbi sollevati sul golpe da settori contrari ad Arce, è facile individuare chi aveva interesse a un "cambiamento di regime" a La Paz. La Bolivia fa parte, insieme ad Argentina e Cile, del cosiddetto "triangolo del litio", che secondo alcune stime vanta il 53% delle riserve mondiali di questo metallo. A preoccupare gli Stati Uniti, oltre al possibile ingresso del paese nei Brics, sono i contratti recentemente firmati dall'esecutivo boliviano, per lo sfruttamento del litio, con il consorzio cinese CBC (Catl, Brunp & Cmoc) e con le compagnie Citic Guoan, anch'essa cinese, e Uranium One Group, della corporazione russa Rosatom. Non stupisce dunque che il 24 giugno la ministra degli Esteri di La Paz, Celinda Sosa Lunda, abbia convocato l'incaricata d'affari statunitense, Debra Hevia, per lamentarsi di "dichiarazioni e azioni" realizzate da parte del personale dell'ambasciata e considerate "intromissioni negli affari interni del paese". In particolare la rappresentanza diplomatica ha fomentato le proteste di trasportatori e commercianti per la mancanza di dollari e la penuria di combustibile. E sicuramente, tra gli strumenti di destabilizzazione, figura anche l'esasperazione della lotta intestina all'interno del Mas, con accuse come quella di Zúñiga relative all'autogolpe. Questa ipotesi, ripresa dall'ala evista, è stata scartata da Alvaro García Linera (vicepresidente durante il mandato di Morales), che ha ricordato come "lotte intestine ci fanno dimenticare i nemici maggiori. Che come ieri rialzano la testa". Senza contare che, il giorno prima del tentato colpo di Stato, Zúñiga era stato destituito proprio da Arce.

28/6/2024


Argentina, Javier Milei all'attacco dello Stato

La repressione di ogni forma di protesta è diventata il segno distintivo dell'Argentina di Javier Milei. Lo si è visto in tante occasioni, l'ultima in ordine di tempo il 12 giugno, nella mobilitazione contro la Ley Bases, approvata al Senato grazie ad accordi sottobanco per raggiungere i voti necessari. Una legge che liberalizza totalmente l'attività economica, privatizza innumerevoli imprese pubbliche e concede facoltà praticamente illimitate all'esecutivo. La manifestazione nei pressi del Congresso, dove la Ley Bases era in discussione, era pacifica, ma come al solito è bastato un pugno di provocatori, la cui presenza è ampiamente documentata, per giustificare una vera e propria caccia all'uomo. Una brutale aggressione che ha provocato il ferimento di diversi dimostranti, tra cui quattro parlamentari dell'opposizione, mentre gli arrestati si sono visti appioppare le assurde accuse di terrorismo e di tentato golpe.

Il presidente anarcocapitalista avanza come un bulldozer contro ogni programma sociale. In un'intervista alla statunitense The Free Press ha affermato: "Sono quello che distrugge lo Stato dall'interno. È come essere infiltrato nelle file nemiche. La riforma dello Stato la deve fare qualcuno che odia lo Stato. E io lo odio tanto che, per distruggere lo Stato, sono disposto a sopportare ogni tipo di menzogne, calunnie e ingiurie tanto contro la mia persona quanto contro gli esseri a me più cari, che sono mia sorella, i miei cani e i miei genitori".

Nella sua furia distruttrice Milei ha bloccato ogni opera pubblica, ha chiuso metà dei Ministeri e punta a licenziare altri 50.000 dipendenti statali, oltre ai 25.000 che hanno già perso l'impiego. Non stupisce che la povertà sia in costante aumento e ormai colpisca oltre il 55% degli argentini, 10% in più dello scorso anno.

L'inflazione è poco al disotto del 300%, i prezzi di beni e tariffe continuano a crescere e la situazione è destinata ad aggravarsi nelle prossime settimane con il rialzo di gas ed elettricità, che colpirà soprattutto gli strati più svantaggiati ai quali sono stati tolti i sussidi. La disoccupazione, che alla fine del 2023 era al 5,7%, il livello più basso degli ultimi 36 anni, è adesso in costante crescita non solo per i licenziamenti nel pubblico, ma per il fallimento o il ridimensionamento di tante piccole e medie imprese soprattutto nel settore delle costruzioni, nell'industria, ma anche negli alimentari, che soffrono il crollo dei consumi.

In aumento anche il numero di persone, tra cui intere famiglie, costrette a vivere per strada, esposte alle intemperie: secondo i calcoli delle organizzazioni sociali, solo a Buenos Aires i senzatetto sarebbero più di 12.000. La risposta delle autorità della capitale, in linea con il governo nazionale, è l'Operazione Ordine e Pulizia, che consiste nel cacciare gli homeless dalle zone centrali sottraendo loro ogni cosa, dai materassi alle coperte, condannandoli al freddo dell'autunno incipiente.

Ma forse la dimostrazione più chiara del cinismo del potere risiede nel rifiuto di distribuire quasi sei milioni di chili di prodotti alimentari ereditati dalla gestione precedente e destinati ai comedores comunitarios, le mense allestite nelle zone più povere. E ai manifestanti che chiedevano pane la risposta è stata ancora una volta la violenza poliziesca. La ministra Sandra Pettovello, titolare del dicastero Capital Humano (che raggruppa Lavoro, Educazione, Cultura e Benessere Sociale), responsabile del blocco degli alimenti, ha dovuto alla fine cedere parzialmente a un ordine della Magistratura, anche se ha deciso di affidarne la distribuzione a una fondazione presieduta da un membro dell'Opus Dei e già raggiunta da accuse di malversazione. Nel frattempo il capo dello Stato festeggia la sua spietata ristrutturazione economica, volta a riequilibrare i conti pubblici al costo di una miseria e di una disuguaglianza in rapida crescita.

Se la popolarità di Milei è in netto calo nel paese, anche all'estero non raccoglie consensi. Le sue offese contro ogni capo di Stato progressista hanno portato all'isolamento dell’Argentina nei confronti di alleati storici come il Brasile di Lula o il Messico di Amlo. Per non parlare di Madrid, dove le accuse di corruzione da lui lanciate contro la moglie del capo del governo, Pedro Sánchez, hanno provocato il ritiro dell'ambasciatrice spagnola dal paese. In compenso Buenos Aires ha abbandonato la tradizionale neutralità per esprimere pieno appoggio a Kiev e a Israele. E come abbiamo visto in occasione del vertice del G7 in Italia, è in perfetta sintonia con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Dall'attuale governo argentino non poteva mancare il sostegno agli anticastristi: il 12 giugno la ministra degli Esteri, Diana Mondino, ha ricevuto la controrivoluzionaria cubano-statunitense Rosa María Paiá, con cui ha discusso l'appoggio ai nuovi piani di Washington per la destabilizzazione di Cuba.

L'unica nota positiva di questo periodo è la forte opposizione che le politiche di Milei hanno incontrato nel paese. Il movimento operaio aveva già reagito, fin da gennaio, con uno sciopero generale e cortei contro i primi decreti e la precarizzazione del lavoro. L'8 marzo erano scese in piazza decine di migliaia di donne per rivendicare i diritti sociali e riproduttivi e contro la proposta di legge antiaborto. Dopo la  manifestazione di centinaia di migliaia di persone il 24 marzo per la Memoria, la Verità e la Giustizia, in aprile si è tenuta una grandiosa mobilitazione del mondo della scuola in difesa dell'istruzione pubblica. Il Primo Maggio ancora lavoratori e lavoratrici in piazza e, la settimana dopo, secondo sciopero generale convocato dalla Confederación General del Trabajo e dalle due Central de Trabajadores Argentinos, che ha praticamente paralizzato ogni attività produttiva.

15/6/2024


Chiquita Brands condannata per i massacri in Colombia

La compagnia bananiera statunitense Chiquita Brands è stata condannata da un tribunale dello Stato della Florida per i suoi finanziamenti agli squadroni della morte nella regione dell'Urabá (dipartimento di Antioquia), quando era governatore l'ex presidente Alvaro Uribe. L'impresa dovrà indennizzare, con oltre 38 milioni di dollari, i familiari di otto vittime. Si tratta comunque di una percentuale minima di quanti subirono l'ondata di terrore scatenata contro leader sindacali e contro le stesse comunità contadine, accusate di appoggiare i movimenti guerriglieri.

Nel corso del processo si è potuto provare che tra il 1997 e il 2004 l'impresa versò quasi due milioni di dollari e fornì appoggio logistico a tre blocchi delle Autodefensas Unidas de Colombia, i gruppi paramilitari che operavano nella zona. La sentenza è stata accolta con favore dalle organizzazioni per i diritti umani, anche se molti lamentano che il procedimento non sia stato condotto in patria. "È una vera vergogna che sia la giustizia statunitense e non la colombiana ad aprire la strada per giudicare l'imprenditoria che ha ordinato e finanziato i massacri dell'Urabá", ha dichiarato il politologo León Valencia. E sul suo account X il presidente Gustavo Petro, ricordando che gli accordi di pace del 2016 prevedevano la creazione di un tribunale per determinare le verità giudiziarie, si è chiesto: "Perché non ne abbiamo uno?".

Chiquita Brands è erede della United Fruit Company, l'impresa fondata nel 1899 e tristemente famosa per aver sponsorizzato numerosi colpi di Stato in Centro America e nei Caraibi (in particolare il golpe in Guatemala contro il governo Arbenz nel 1954). United Fruit è nota anche per il massacro di migliaia di lavoratori in sciopero nel 1928, un tragico episodio che ritorna nelle pagine del capolavoro di García Márquez Cien años de soledad.

12/6/2024


Argentina, si è spento il sorriso di Lita Boitano

Sarà ricordata per il suo sorriso, che non la abbandonò mai. Il 6 giugno, a una settimana di distanza da Nora Cortiñas, a 92 anni si è spenta un'altra madre di Plaza de Mayo: Angela Lita Boitano. Di origine italiana, la sua vita era stata segnata dalla doppia tragedia della scomparsa dei due figli, Adriana e Miguel. Entrambi erano militanti della Juventud Universitaria Peronista. Miguel venne sequestrato nel maggio del 1976, Adriana meno di un anno dopo, nell'aprile del 1977.

Lita non risparmiò nessun tentativo per ritrovare i suoi figli. Fondò e presiedette l'organizzazione dei Familiares de Desaparecidos y Detenidos por Razones Políticas. Nel 1978, insieme a Graciela Lois, entrò nello stadio dove si svolgeva la partita Germania-Italia dei Mondiali di Calcio per distribuire volantini di denuncia dei crimini della dittatura. Pochi mesi dopo si recò a Puebla, in Messico, sede della Terza Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano alla presenza di Giovanni Paolo II: l'obiettivo era quello di far sapere al papa quanto avveniva nel paese. Dal Messico però fu costretta a riparare in Italia: tornare in Argentina sarebbe stato troppo pericoloso. In Italia continuò la sua lotta e, dopo un digiuno, riuscì a ottenere che papa Wojtyla parlasse del dramma dei desaparecidos.

Nel dicembre del 1983, con la caduta del regime, rientra a Buenos Aires, ma le sue speranze di conoscere finalmente la sorte di Miguel e Adriana resteranno deluse. Non smetterà comunque di combattere per i diritti umani, cui affiancherà la battaglia femminista. In rete gira un bel video in cui, con piglio deciso, canta Bella Ciao.

7/6/2024


Claudia Sheinbaum sarà la prima presidenta del Messico

La vittoria era prevista, ma non in queste proporzioni. Domenica 2 giugno Claudia Sheinbaum Pardo, candidata della coalizione Sigamos Haciendo Historia (Morena-Partido del Trabajo-Partido Verde Ecologista de México), è stata eletta alla più alta carica dello Stato con quasi il 60% dei voti. Più del doppio di quelli ottenuti dalla seconda classificata, Xóchitl Gálvez Ruiz dell'alleanza Fuerza y Corazón por México (Pan-Pri-Prd), che si è fermata al 27%. Al terzo posto Jorge Alvarez Máynez, del Movimiento Ciudadano, con il 10%. L'affluenza alle urne si è attestata sul 61%. Di Morena è anche la nuova jefa de Gobierno della capitale, Clara Brugada Molina, che ha sconfitto il suo avversario Santiago Taboada, legato al settore immobiliare. Dei partiti della coalizione Sigamos Haciendo Historia saranno inoltre i governatori di sei degli otto Stati in lizza in questa tornata: Veracruz, Morelos, Chiapas, Tabasco, Puebla, Yucatán.

Claudia Sheinbaum, di origine lituana da parte di padre e bulgara da parte di madre (i nonni erano ebrei emigrati nella prima metà del Novecento) sarà la prima donna a presiedere il paese nordamericano. Il suo programma si situa nel solco di quell'humanismo mexicano proclamato da López Obrador. Promette di continuare con le politiche sociali, di promuovere la parità sostanziale delle donne, di rafforzare il servizio sanitario e la scuola pubblica. E si prevede un interesse particolare per la transizione energetica visto che, con un dottorato in ingegneria ambientale, ha fatto parte dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale che nel 2007 fu insignito del Premio Nobel per la Pace.

Il successo di Sheinbaum è sicuramente legato alla popolarità del presidente uscente, che nel corso della sua gestione è riuscito a strappare alla povertà nove milioni di persone grazie all'aumento del salario minimo e all'incremento delle pensioni e dei sussidi per le madri single, le persone disabili, gli studenti delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, ha bloccato le privatizzazioni della compagnia petrolifera Pemex e della Comisión Federal de Electricidad, ha lanciato grandi progetti infrastrutturali come il Tren Interoceánico, tra il Pacifico e l'Atlantico, e il Tren Maya, nelle zone che hanno visto fiorire la cultura maya (incontrando in quest'ultimo caso l'opposizione di parte delle comunità indigene e del movimento zapatista).

Contro questa politica i settori conservatori hanno scatenato una vera e propria guerra fatta di menzogne, fake news e attacchi indiscriminati, con l'appoggio non troppo dissimulato degli Stati Uniti. Basti citare l'articolo del New York Times che in febbraio parlava di indagini su un presunto finanziamento del narcotraffico nel 2018 alla campagna elettorale di Amlo. Accuse smentite dalla stessa Casa Bianca, ma che sono tornate quest'anno contro Sheinbaum. L'estrema destra statunitense non vede certo di buon occhio la difesa della sovranità nazionale da parte di López Obrador: non sono pochi gli esponenti repubblicani che hanno suggerito di attaccare militarmente i narcos in territorio messicano.

La nuova presidente si trova di fronte un compito non facile: non solo portare avanti l'eredità di Amlo, ma frenare l'ondata di violenza della delinquenza organizzata, che nei mesi precedenti il voto ha portato all'uccisione di oltre trenta tra candidati e candidate dei diversi schieramenti. "In Messico il neoliberismo è alle nostre spalle", aveva affermato Sheinbaum alla vigilia delle elezioni. A seppellirlo per sempre dovrebbe contribuire il buon risultato delle legislative: alla Camera Morena e alleati hanno ottenuto la maggioranza qualificata e potrebbero introdurre cambiamenti costituzioniali; al Senato - secondo risultati preliminari - per lo stesso risultato mancherebbero solo due seggi. piacerebbe che le bandiere che innalzarono i nostri figli e figlie si potessero innalzare ora con l'orgoglio di essere in un'Argentina paese di resistenza".

5/6/2024


L'Argentina piange Norita, storica madre di Plaza de Mayo

"Nora Cortiñas non è una sola: è la madre che grida di fronte alle telecamere, quella che porta il fazzoletto bianco in testa, quella che porta il fazzoletto verde al polso [simbolo della battaglia per l'aborto], quella che gioca alla pelota, quella che sale su una moto, quella che cammina con il suo bastone con i fiori o quella che si lascia portare in sedia a rotelle. È la donna che è andata fino ai suoi ultimi giorni in Plaza de Mayo - il luogo in cui era arrivata nel maggio del 1977 con la speranza di recuperare suo figlio sequestrato dalla dittatura" (Luciana Bertoia, Página/12). Come soleva ripetere: "Questa assenza, questo dolore che sento tutti i giorni è il motore del mio impegno. Per questo accompagno ovunque le lotte contro tutte le oppressioni, perché semplicemente voglio cambiare questo mondo ingiusto".

Norita, come veniva familiarmente chiamata, è morta il 30 maggio a 94 anni, dopo una vita spesa a cercare di conoscere la sorte del figlio Gustavo e a partecipare - nel suo ricordo - a tutte le mobilitazioni per la giustizia sociale, l'uguaglianza, i diritti dei popoli originari. Anche con l'avvento della presidenza Milei non aveva cessato di combattere, invitando sempre a scendere in piazza e a non arrendersi. Figura imprescindibile delle Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora, in lei si fondevano le lotte del passato e del presente, i diritti umani, la ricerca di verità e giustizia, l'ecologia e il femminismo. Nel maggio dello scorso anno, prendendo la parola davanti a una platea che l'applaudiva, aveva affermato: "Mi piacerebbe che le bandiere che innalzarono i nostri figli e figlie si potessero innalzare ora con l'orgoglio di essere in un'Argentina paese di resistenza".

31/5/2024


L'America Latina tra siccità e inondazioni

L'85,5% del territorio messicano è colpito dalla siccità, con temperature che in alcune zone hanno raggiunto i 47 gradi: il Ministero della Salute ha registrato 48 decessi, dovuti in genere a colpi di calore e disidratazione. E in Messico, come nei paesi centroamericani, in Colombia e in Ecuador, la scarsità di precipitazioni ha provocato l'abbassamento del livello dei bacini idroelettrici, con conseguente deficit energetico. Numerosi i black out in momenti in cui l'uso dei condizionatori è al massimo.

Parte del Sud America è invece alle prese con le conseguenze di tremende inondazioni, che hanno già provocato innumerevoli vittime e migliaia di sfollati. In Brasile, dove lo Stato più colpito è quello di Rio Grande do Sul con la sua capitale Porto Alegre, si contano già 170 morti e oltre una cinquantina di dispersi, mentre quasi 600.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case. Nei paesi vicini le acque del fiume Uruguay hanno iniziato ad abbassarsi permettendo un lento ritorno alla normalità. Questo non ha impedito che oltre tremila persone abbiano dovuto essere evacuate in Uruguay e altre 750 in Argentina.

"Siamo in guerra con la natura" e la natura contrattacca, afferma Clare Nullis, portavoce dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale, che attribuisce quanto sta accadendo al doppio impatto del riscaldamento globale e del fenomeno del Niño. E gli effetti delle forti piogge vengono ingigantiti dalla deforestazione attuata, nel sud del Brasile, soprattutto per far posto alla coltivazione di soia: la vegetazione nativa giocava infatti un ruolo importante nella retenzione delle acque. Una pesante eredità lasciata al presidente Lula dal negazionista Bolsonaro, che ha destinato alla prevenzione dei disastri climatici una cifra irrisoria. La sua politica continua nel governatore di Rio Grande do Sul, Eduardo Leite.

Il subcontinente latinoamericano appare particolarmente vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico: solo per citare tre episodi, lo scorso anno in Messico un uragano di categoria 5 ha distrutto vaste zone di Acapulco; a Panama navi da carico non riuscivano ad attraversare il Canale a causa del livello troppo basso delle acque; in Cile gli incendi boschivi hanno provocato la morte di oltre 130 persone.

27/5/2024


Repubblica Dominicana, rieletto il presidente Abinader

Luis Abinader, del Partido Revolucionario Moderno, è stato rieletto per altri quattro anni con oltre il 57% dei voti. Le elezioni si sono tenute domenica 19 maggio e si sono svolte in un clima di tranquillità, anche se l'opposizione ha denunciato alcune irregolarità. Al secondo posto si è piazzato l'ex capo di Stato Leonel Fernández, che si presentava per la formazione Fuerza del Pueblo, seguito da Abel Martínez, del Pld (Partido de la Liberación Dominicana).

Nonostante possa contare su un'ampia maggioranza alla Camera e al Senato, Abinader ha fatto appello a un grande patto nazionale per affrontare i problemi del paese. Tra questi al primo posto figura l'immigrazione da Haiti, con cui la Repubblica Dominicana condivide l'isola de La Española. Sono molti gli haitiani che cercano rifugio oltre confine, in fuga dalla povertà e dalla violenza delle bande criminali. Ad attenderli però è una politica fortemente repressiva e con venature di razzismo: il governo di Santo Domingo fa ampio ricorso a retate e deportazioni, anche in caso di minori o donne incinte. Misure che sono state criticate dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, ma che incontrano l'approvazione della maggioranza dell'elettorato. E per "proteggere" il benessere dei dominicani dalla miseria haitiana, nel primo mandato Abinader aveva avviato la costruzione di un muro alla frontiera, che ora promette di completare al più presto.

21/5/2024


Colombia, democrazia in emergenza

"Siamo di fronte a un'arbitrarietà: un'istanza amministrativa formula accuse contro il presidente della Repubblica. È un'aperta rottura costituzionale. Si risponde con la forza del popolo". Così, sul suo account X, il presidente Petro ha messo in guardia su un possibile tentativo di golpe, ribadendo: "la democrazia entra in emergenza", dopo la decisione del Consejo Nacional Electoral di prendere in esame le denunce di due magistrati su un presunto finanziamento irregolare della sua campagna elettorale del 2022.

Non è la prima volta che il capo dello Stato lancia allarmi di questo tipo: già nei mesi precedenti Procura e Corte Suprema avevano cercato in vari modi di sollevare casi su fondi illeciti che avrebbe ricevuto per la campagna o su altri presunti scandali dei suoi collaboratori. "Vogliono estromettere il presidente dalla carica a cui è stato eletto dal popolo", aveva affermato Petro, chiamando in causa "settori del narcotraffico, autori di crimini di lesa umanità, politici corrotti e settori corrotti della Procura". La nomina in marzo, da una terna proposta dall'esecutivo, di Luz Adriana Camargo come procuratrice generale in sostituzione di Francisco Barbosa, vicino a Iván Duque, è stata sicuramente positiva (Camargo è nota per la sua lotta contro la corruzione e la parapolitica), ma nella magistratura permangono forti sacche di resistenza al primo governo progressista del paese. Contro le minacce della destra, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Bogotá il Primo Maggio (al corteo ha partecipato lo stesso presidente). È stata questa una risposta alla mobilitazione dell'opposizione che il 21 aprile aveva tenuto massicce manifestazioni in diverse città con la parola d'ordine Fuera Petro e slogan razzisti e classisti.

LA COLOMBIA ROMPE LE RELAZIONI DIPLOMATICHE CON ISRAELE. Il Ministero degli Esteri di Bogotá ha comunicato il 3 maggio la rottura delle relazioni diplomatiche con Israele. "La Colombia non può stare a fianco di un genocidio, il diritto internazionale deve essere preservato per fermare la barbarie - ha affermato il presidente Gustavo Petro - Oggi la diplomazia è l'espressione del potere economico e militare; la diplomazia deve essere invece la ragione dei popoli e il suo obiettivo non deve essere altro che la pace e la vita dell'umanità in tutta la sua diversità". Il governo ha comunque ribadito in una nota che la rottura non è diretta contro il popolo israeliano né contro le comunità ebraiche, cui "ci uniscono legami storici e di amicizia che persisteranno".

10/5/2024


Panama, il nuovo presidente vuole sbarrare il passaggio ai migranti

L'avvocato José Raúl Mulino, del partito di destra Realizando Metas, è il nuovo presidente di Panama. È stato eletto domenica 5 maggio, sconfiggendo gli altri sei candidati tra cui Ricardo Lombana, del Movimiento Otro Camino (formazione senza chiara connotazione politica), e Martín Torrijos, che aveva governato il paese dal 2004 al 2009. Particolarmente negativo il risultato dell'unica rappresentante della sinistra, l'economista Maribel Gordón, giunta ultima.

Mulino è considerato il delfino di Ricardo Martinelli, capo di Stato dal 2009 al 2014, condannato per riciclaggio a dieci anni e mezzo di prigione e all'interdizione dai pubblici uffici. Proprio per questa sentenza Martinelli, che si è sottratto al carcere rifugiandosi nell'ambasciata del Nicaragua, ha dovuto abbandonare la competizione lasciando il posto al suo vice, Mulino. Questi ha potuto contare sull'appoggio dei poteri forti per superare gli ostacoli burocratici che avrebbero impedito la sua candidatura: a due giorni dal voto la Corte Suprema l'ha dichiarata costituzionale, nonostante non fosse stata decisa dall'assemblea del partito, come prescrive la legge, e non proponesse alcun nome per la carica di vice.

Nel governo Martinelli, José Raúl Mulino guidò prima il dicastero del Governo e della Giustizia, poi quello della Sicurezza Pubblica. Fu proprio come titolare di quest'ultimo Ministero che represse con ferocia le proteste sociali: nel 2010 le forze di polizia attaccarono con violenza i lavoratori bananieri in lotta uccidendo due di loro: Antonio Smith e Virgilio Castillo. La politica economica del presidente eletto è improntata al neoliberismo: sul modello cileno prevede di privatizzare la sicurezza sociale e di renderne disponibili i fondi per la speculazione finanziaria. Quanto al problema dei migranti, propone di sbarrare il passaggio attraverso la foresta del Darién alla frontiera con la Colombia, percorso obbligato per le centinaia di migliaia di disperati che tentano di raggiungere gli Stati Uniti. Non potendo contare su una maggioranza nel Congresso uscito dalle urne il 5 maggio, Mulino dovrà comunque negoziare con l'opposizione.

7/5/2024


Referendum in Ecuador: sì alla mano dura, no alla politica neoliberista

All'annuncio dei risultati del referendum del 21 aprile il presidente Noboa ha scritto sul suo account X: "Grazie Ecuador per l'ampio appoggio a una politica di sicurezza e lotta contro la corruzione". Un tono trionfalistico che volutamente ignora i punti su cui la proposta del governo ha subito una solenne bocciatura. È vero infatti che gli elettori hanno approvato la politica di mano dura di fronte all'aumento della criminalità, come il ruolo delle forze armate in appoggio alla polizia nelle operazioni contro la delinquenza organizzata; la concessione dell'estradizione di cittadini ecuadoriani su richiesta della giustizia di altri paesi; l'aumento delle pene e l'eliminazione dei benefici penitenziari per determinati reati. È la logica conseguenza della situazione di insicurezza che si vive nel paese, attualmente uno dei più violenti della regione. Tra i bersagli soprattutto i sindaci: dopo l'uccisione, in marzo, della giovanissima Brigitte García, nella settimana precedente il voto sono stati assassinati José Sánchez, primo cittadino di Camilo Ponce Enríquez (provincia di Azuay), e Jorge Maldonado, di Portovelo (El Oro). E lo stesso giorno della consultazione è morto per mano dei killer Damián Parrales, direttore del carcere El Rodeo di Portoviejo.

Se l'elettorato appoggia l'azione del governo nel "conflitto armato interno" dichiarato contro le bande criminali, non altrettanto si può dire per il modello economico neoliberista propugnato da Noboa. Un modello contro il quale Revolución Ciudadana ha condotto una strenua opposizione, cercando di contrastare lo smantellamento dello Stato sociale costruito durante la presidenza Correa. Alla domanda se si approva il riconoscimento "dell'arbitrato internazionale come metodo per risolvere controversie in materia di investimenti, contrattuali o commerciali", il 65% dei votanti ha risposto No, scegliendo di porre un argine agli interessi delle transnazionali nei confronti dello Stato. E alla proposta di "emendare la Costituzione della Repubblica e riformare il Codice del Lavoro per il contratto di lavoro a posto fisso e per ore, quando venga celebrato per la prima volta tra lo stesso datore di lavoro e lavoratore, senza ledere i diritti acquisiri dai lavoratori", il No si è attestato sul 69%, dimostrando il desiderio degli ecuadoriani di frenare la precarizzazione.

Sicuramente il capo dello Stato sperava in un risultato più favorevole in vista delle elezioni del prossimo anno. In questo momento il suo governo deve fronteggiare tre problemi non indifferenti. Primo tra tutti l'isolamento internazionale come conseguenza dell'irruzione della polizia nell'ambasciata messicana: un'azione che - secondo molti analisti - ha goduto del tacito consenso di Washington, con cui Quito ha stretto in febbraio due accordi di cooperazione militare (senza contare che gli Usa hanno ottenuto, fin dal 2019, la concessione delle Isole Galápagos come "portaerei naturale"). Vi è poi la grave situazione economica, accentuata dalla decisione del governo di innalzare l'Iva dal 12 al 15% e dall'aumento del prezzo dei combustibili. Infine gli apagones, le interruzioni di energia elettrica in varie zone, tra cui la capitale e Guayaquil, dovute a una profonda crisi energetica provocata dalla siccità. In pratica Noboa può porre le sue speranze di rielezione solo su una drastica diminuzione della criminalità e della violenza.

24/4/2024


Condanna internazionale per l'assalto all'ambasciata messicana a Quito

Un attacco all'inviolabilità delle sedi diplomatiche e al diritto d'asilo: questo il significato dell'assalto della polizia ecuadoriana, la sera del 5 aprile, all'ambasciata messicana a Quito per arrestare l'ex vicepresidente Jorge Glas. A quest'ultimo, rifugiato fin da dicembre dopo l'ennesimo episodio di persecuzione giudiziaria, Città del Messico aveva appena concesso asilo politico. Nonostante tutto ciò Glas è stato letteralmente sequestrato da agenti incappucciati che - come risulta dai video girati all'interno - hanno anche malmenato e costretto a terra Roberto Canseco, l'incaricato d'affari, colpevole di aver cercato di opporsi. Canseco era titolare della missione diplomatica dopo che l'ambasciatrice Raquel Serus era stata dichiarata persona non grata dal governo Noboa, in seguito ad alcune affermazioni di López Obrador, che aveva messo in relazione l'assassinio in agosto del candidato presidenziale Villavicencio con la vittoria elettorale di Noboa due mesi dopo.

Jorge Glas, ora rinchiuso in un carcere di massima sicurezza di Guayaquil, ha denunciato di essere stato percosso al momento dell'arresto. Il 12 aprile la Corte Nacional de Justicia ha dichiarato illegale e arbitraria la sua detenzione, ma non ne ha ordinato la scarcerazione, non avendo terminato di scontare una pena di otto anni per condanne precedenti. "Neppure nelle peggiori dittature è stata violata l'ambasciata di un paese. Non viviamo in uno Stato di diritto, ma in uno Stato di barbarie, con un improvvisato che confonde la patria con una delle sue aziende di banane", ha commentato l'ex presidente ecuadoriano Correa facendo riferimento a Daniel Noboa, erede di un impero fondato sul commercio di questo frutto. E il partito correista Revolución Ciudadana ha chiesto ufficialmente la rinuncia del capo dello Stato, che "ha dimostrato chiaramente di non avere la capacità di governare".

Città del Messico ha reagito all'irruzione della polizia rompendo immediatamente le relazioni diplomatiche e ha denunciato l'accaduto all'International Court of Justice come violazione dell'articolo 22 della Convenzione di Vienna, chiedendo la sospensione dell'Ecuador da membro dell'Onu fino a quando dal suo governo non verrà "una pubblica scusa". Ha infine bloccato i negoziati commerciali in corso con Quito, che sperava in un accordo per poter entrare a far parte a pieno titolo dell'Alianza del Pacífico.

La posizione messicana ha ricevuto l'appoggio delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea. Nel continente si sono associati governi di opposto orientamento, dall'Argentina al Brasile. In segno di solidarietà, Nicaragua e Venezuela hanno rotto le relazioni con l'Ecuador, mentre l'Organización de los Estados Americanos ha condannato "energicamente" l'accaduto, con una risoluzione approvata con l'unico voto contrario del rappresentante di Quito e l'astensione del Salvador. Anche Stati Uniti e Canada non hanno potuto esimersi da una condanna, sia pure tardiva.

Sul tema i paesi della Celac hanno tenuto online una riunione d'urgenza. Mancava l'Uruguay, che ha giustificato la sua assenza sostenendo un cambiamento "nelle regole del gioco". Al termine dell'incontro la presidente honduregna Xiomara Castro ha affermato: "La conclusione è molto chiara sulla condanna ai violenti avvenimenti in Ecuador e sulla richiesta del salvacondotto per Jorge Glas". Il governo di Tegucigalpa ha poi richiamato la sua incaricata d'affari a Quito e ha preannunciato che appoggerà le azioni intraprese dal Messico.

Resta il dubbio sulle vere motivazioni che hanno spinto Noboa a un'azione così arrischiata, che ha portato all'isolamento del suo paese sul piano internazionale. Secondo l'analisi di José Steinsleger su La Jornada, si tratta di un messaggio mafioso indirizzato contro il movimento della Revolución Ciudadana di Correa, contro Amlo e contro Claudia Sheinbaum. "Perché nell'Ecuador di Noboa - prosegue Steinsleger - niente si muove senza il consenso di Washington e della Cia". Lo aveva suggerito lo stesso López Obrador: "Un governo non agisce così se non sente l'appoggio di altri governi o potenze".

17/4/2024


Argentina, ricetta neoliberista e alleanza strategica con gli Usa

Una mobilitazione che ha superato ogni aspettativa: il 24 marzo centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e nelle altre città argentine, nell'anniversario del colpo di Stato del 1976. La manifestazione per la Memoria, la Verità e la Giustizia è stata anche una dimostrazione dell'opposizione alla politica del presidente Milei. Nel documento, letto in Plaza de Mayo dalla presidente delle Abuelas Estela de Carlotto, dal Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e da Taty Almeida di Madres Fundadoras, si ricorda tra l'altro che le vittime di quegli anni "lottavano per una società più giusta, ugualitaria, solidale e sovrana. Per questo li hanno portati via. Le stesse bandiere abbiamo impugnato come organismi dei diritti umani in pieno genocidio, quando abbiamo affrontato la dittatura più sanguinosa. E così facciamo oggi perché il governo di Milei intende strapparci tutto: i nostri diritti, la nostra sovranità e la nostra libertà". Il golpe di 48 anni fa servì ad imporre "con il terrorismo di Stato, la concentrazione della ricchezza in poche mani, l'approfondimento della disuguaglianza sociale e con essa la miseria pianificata (...) Le stesse corporazioni che si beneficiarono allora sono quelle che tornano a farlo oggi, con la stessa ricetta neoliberista, la stessa crudeltà e lo stesso disprezzo per il popolo argentino".

Già a metà febbraio, in un lungo messaggio, Cristina Fernández avvertiva quanto si stava preparando con i primi provvedimenti presi da Milei, lo showman-economista, come lo definiva: "Fino a questo momento il nuovo governo ha avviato solo un feroce programma di ristrutturazione che agisce come un vero piano di destabilizzazione e che non solo incrementa la spirale inflazionistica ponendo la società sull'orlo dello shock, ma provocherà anche, irremediabilmente, l'aumento della disoccupazione e della disperazione sociale, in una sorta di caos pianificato". Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare, con la sospensione delle opere pubbliche e il licenziamento di oltre 15.000 dipendenti statali (e si tratta solo dell'inizio: il presidente intende cacciarne tra i 50 e i 70.000), mentre crescono i prezzi dei beni di prima necessità.

E mentre le proteste contro la sua politica continuano, agli inizi di aprile il capo dello Stato ha lasciato la capitale per precipitarsi a Ushuaia (Tierra del Fuego) a rendere omaggio alla comandante del Southern Command statunitense, generale Laura Richardson: un'occasione per ribadire la sua intenzione di rafforzare "l'alleanza strategica" con gli Usa. È stata annunciata la costituzione di una base navale congiunta che, come ha detto il portavoce presidenziale Manuel Adorni, "costituisce il porto di sviluppo più vicino all'Antartide e trasforma Argentina e Stati Uniti nella porta d'accesso al continente bianco. Questo è parte della nostra integrazione al mondo occidentale e sviluppato, per affermare la nostra sovranità di fronte all'invasione di imbarcazioni di altri paesi". Il riferimento è in particolare alla Cina, la grande preoccupazione di Washington, che vede con sospetto persino l'osservatorio cino-argentino nella provincia di Neuquén, dedicato allo studio dello spazio profondo.

Altri esempi di questa condiscendenza di Buenos Aires alle richieste Usa sono il previsto acquisto dalla Danimarca (che vuole disfarsene) di aerei F-16 di costruzione statunitense a condizioni più onerose rispetto all'offerta di velivoli JF-17 cinesi, o l'accordo firmato con il Corpo di Ingegneri dell'Esercito degli Stati Uniti per sovrintendere la navigabilità dei 1400 chilometri del corso argentino del Río Paraná.

7/4/2024


La scomparsa di Martín Almada

Si è spento il 30 marzo ad Asunción, a 87 anni, l'avvocato e difensore dei diritti umani Martín Almada, noto per aver scoperto gli Archivos del Terror, i documenti che testimoniano l'esistenza del Plan Cóndor, il coordinamento repressivo esistente tra i regimi militari del Sud America negli anni Settanta. Nel 1974, durante la dittatura di Alfredo Stroessner, Almada era stato arrestato e selvaggiamente torturato: era considerato un "pericoloso intellettuale" per aver scritto il libro Paraguay: educación y dependencia. Venne liberato tre anni dopo solo grazie alla pressione internazionale. Morì invece d'infarto la moglie, Celestina Pérez, obbligata dagli aguzzini ad ascoltare le urla del marito mentre veniva sottoposto a tormenti.

Dopo la scarcerazione Almada visse in esilio a Panama e sulla sua esperienza scrisse il libro Paraguay: la cárcel olvidada. Lavorò a Parigi per l'Unesco, occupandosi di progetti di sviluppo rurale in Africa e in America Latina. Tornò in patria dopo la caduta del dittatore, cominciando una lunga lotta per la verità e la giustizia e creando nel 1990 la Fundación Celestina Pérez de Almada per favorire l'educazione ai diritti umani. E nel dicembre del 1992, proprio in seguito a una sua denuncia, il giudice José Agustín Fernández ordinò una perquisizione in un commissariato della città di Lambaré. Vennero così alla luce tre tonnellate di rapporti e comunicazioni tra le polizie paraguayana, argentina, brasiliana, cilena e uruguayana su scambio e trasferimenti di prigionieri e sul controllo dei "sovversivi": comunisti, socialisti, anarchici. Questa raccolta di documenti sul terrorismo di Stato, la più grossa mai scoperta, permise anche di dimostrare il ruolo degli Usa nelle dittature di quel decennio.

Racconterà lo stesso Almada, in un'intervista al quotidiano messicano La Jornada: "Nel momento in cui vidi quella montagna di documenti, che avevo immaginato nei miei sogni di giustizia, non riuscii a trattenermi e piansi di emozione. Un poliziotto preoccupato ci portò verso un'altra stanza, dove c'erano alcuni archivi delle operazioni infami della famosa Policía Técnica e poi potemmo dissotterrare, a circa sessanta metri da questo locale di Lambaré, una borsa di certificati personali di paraguayani e argentini, identificazioni di persone desaparecidas che erano nascoste sottoterra in borse di plastica per proteggerle dall'umidità".

Questi rinvenimenti furono determinanti per perforare il muto di impunità e promuovere i processi contro i responsabili di crimini di lesa umanità, specialmente in Argentina. Non altrettanto avvenne per il Paraguay. Stroessner è caduto, ma "l'apparato repressivo è rimasto intoccabile - lamentava Almada nel 2014 - Il governo non ha alcuna volontà politica di indagare". Del resto la dittatura paraguayana, la più lunga dell'America Latina, non è nota a livello internazionale come altri regimi. "Stroessner non è tanto famoso come Pinochet o Videla, perché questo è un paese povero, un'isola circondata di terra (...) Non abbiamo mare, siamo incomunicati e per questo le notizie circolano con ritardo".

Nel 2002 Almada venne insignito del Premio Right Livelihood, noto come Nobel Alternativo. Oltre a continuare nella battaglia per la Memoria, la Verità e la Giustizia, si è occupato di ambiente, avviando progetti per lo sviluppo ecologico. Nel centro per l'energia solare da lui creato vengono disidratati frutti tropicali e funziona una radio comunitaria per le comunità indigene, il tutto grazie all'energia prodotta dal sole.

31/3/2024


Assassinata la più giovane sindaca dell'Ecuador

Brigitte García aveva solo 27 anni: era la sindaca di San Vicente, nella provincia di Manabí e apparteneva al movimento Revolución Ciudadana. Il suo corpo senza vita è stato trovato, all'alba del 24 marzo, all'interno di un'auto insieme a quello di Jairo Loor, responsabile della comunicazione dello stesso municipio: erano stati uccisi a colpi d'arma da fuoco sparati dall'interno del veicolo. Sono le ultime due vittime, in ordine di tempo, dell'ondata di violenza che sta sconvolgendo il paese e che lo stato d'emergenza decretato dal governo non è in grado di arrestare.

Numerosi gli episodi di criminalità che hanno contrassegnato questi primi mesi del 2024, a partire dalla fuga dalla prigione di Guayaquil, il 7 gennaio, di Adolfo Macías Fito, capo di una delle bande più spietate, Los Choneros. Da allora si sono susseguiti saccheggi, sequestri, rivolte nelle carceri, fino alla clamorosa irruzione di uomini armati in uno studio televisivo mentre era in corso una trasmissione in diretta. César Suárez, il magistrato che indagava su quest'ultimo caso, è stato assassinato pochi giorni dopo. L'Ecuador, durante la presidenza di Rafael Correa una delle nazioni più tranquille del continente, ha visto sotto gli ultimi governi neoliberisti la distruzione dello Stato. E questo ha favorito la penetrazione del narcotraffico nell'apparato statale, forze di sicurezza comprese.

25/3/2024


Emergenza umanitaria ad Haiti

Duecento bande criminali che si disputano il potere in un paese immerso nel caos e dove lo Stato non è in grado di offrire alcuna protezione alla popolazione. È la situazione di Haiti, in preda a una vera e propria emergenza umanitaria: secondo il responsabile del Programma Alimentare Mondiale dell'Onu nella nazione caraibica, Jean-Martin Bauer, siamo di fronte a "una delle crisi alimentari più gravi al mondo", con quasi un milione e mezzo di persone "sull'orlo della denutrizione". Oltre 360.000 haitiani, la metà dei quali bambini, hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni per sfuggire alla violenza, inaspritasi agli inizi di marzo, quando in un attacco sanguinoso delle pandillas al penitenziario di Port-au-Prince 3.600 prigionieri sono riusciti a fuggire. Oltre alle carceri sono state attaccate caserme, banche, magazzini comunitari e persino il Palazzo Nazionale.

Le istituzioni sono praticamente inesistenti e il primo ministro Ariel Henry, che allo scoppio della crisi si trovava all'estero, non riesce a rientrare in patria perché il suo governo non controlla l'aeroporto della capitale. Anche il porto è in mano a gruppi criminali e navi e portacontainer non attraccano più. Al potere dal luglio 2021 dopo l'assassinio del presidente Jovenel Moïse, Henry aveva tentato di posporre all'infinito le elezioni, ma alla fine ha dovuto arrendersi e annunciare in un videomessaggio le sue dimissioni, che diverranno effettive quando verrà insediato un governo di transizione. La decisione è dovuta alle pressioni internazionali seguite a un incontro in Giamaica dei leader della Caricom, la Comunità dei Caraibi, del segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, e dei rappresentanti di Francia, Canada e Onu. Intanto i gruppi armati più temibili, che si sono riuniti nella coalizione Viv Ansanm (Vivere Insieme) con alla testa l'ex poliziotto Jimmy Chérizier, detto Barbecue, hanno lanciato una sfida allo Stato minacciando la guerra civile. Le bande sono dotate di armi modernissime, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti che su tale commercio non hanno mai posto alcun embargo.

Ma come si è arrivati a questa drammatica situazione, in quello che ha rappresentato il primo paese libero dell'America Latina e dei Caraibi? All'inizio del 1804, dopo una rivolta di schiavi, Haiti dichiarò l'indipendenza dalla Francia, ma ne ottenne il riconoscimento solo accettando di versare a Parigi un pesantissimo indennizzo: terminò di pagare nel 1947. Nel frattempo la potenza francese era stata sostituita dagli Stati Uniti, che invasero il paese nel 1915 e lo occuparono per 19 anni, appoggiando poi una serie di regimi finalizzati a proteggere i loro interessi (tra questi la sanguinaria dittatura dei Duvalier). Bisogna arrivare al febbraio 1991 per vedere il primo presidente democraticamente eletto, Jean-Bertrand Aristide, che chiese alla Francia riparazioni per il periodo coloniale e promosse alcune riforme per migliorare la situazione della popolazione più svantaggiata. La risposta fu un colpo di Stato militare meno di otto mesi dopo.

Aristide riuscì in seguito a completare il suo mandato e nel 2000 venne rieletto, ma nel 2004 fu vittima di un nuovo golpe: forze canadesi presero il controllo dell'aeroporto internazionale, mentre marines Usa sequestravano il capo dello Stato e lo mettevano su un aereo diretto verso la Repubblica Centrafricana. Con una risoluzione dell'Onu venne istituito il Core Group (formato da Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna, Brasile, Canada, Unione Europea, Oea e Nazioni Unite), che da allora ha definitivamente sottratto alla popolazione haitiana ogni decisione sul suo futuro. Anche l'ultima parola sulla gestione degli aiuti internazionali dopo il disastroso terremoto del gennaio 2010, che provocò oltre 300.000 morti e un milione e mezzo di persone senza tetto, venne affidata ai delegati dei paesi donatori. Sempre nel 2010 la presenza della Missione di Stabilizzazione dell'Onu portò allo scoppio di un'epidemia di colera con oltre 10.000 vittime. E a quanto pare i sostanziosi fondi promessi per la ricostruzione non raggiunsero mai chi aveva veramente bisogno, visto che dieci anni dopo quella catastrofe gran parte dei terremotati viveva ancora in rifugi di fortuna e senza accesso all'acqua potabile. Una situazione aggravatasi nel 2021 a causa di un nuovo tremendo sisma e di una successiva tempesta tropicale.

Era stato scelto dal Core Group anche il defunto presidente Moïse, che aveva utilizzato mercenari nordamericani per reprimere le manifestazioni popolari contro il carovita e in politica estera aveva preso posizioni fortemente antichaviste. Nel 2021, però, era avvenuta la svolta: aveva allacciato relazioni diplomatiche con Mosca e posto le basi per un riavvicinamento a Caracas, mettendo in allarme l'alleato statunitense. Da qui gli avvenimenti del 7 luglio: uomini armati penetrarono nella sua residenza privata, uccidendolo. I killer, di nazionalità colombiana, erano stati contrattati dalla compagnia statunitense CTU Security, sospettata di essere implicata nel fallito attentato del 2018 contro Maduro. E a decidere che Henry avrebbe sostituito il capo di Stato assassinato non sono stati certo i cittadini haitiani, visto che nessuna elezione si tiene dal 2016. Come ha rivelato WikiLeaks nel 2008, le vere motivazioni alla base dell'ingerenza di Washington non sono certo quelle di aiutare un paese in difficoltà, ma piuttosto di prevenire "il risorgere di forze politiche populiste e contro l'economia di mercato". Esempio clamoroso: nel 2009 il Parlamento di Haiti aveva cercato di aumentare il salario minimo a 5 dollari al giorno, ma gli Stati Uniti erano intervenuti nell'interesse delle multinazionali, bloccando il progetto di legge.

Haiti dunque, la nazione più povera del continente, rimane a sovranità limitata. Un triste destino per un paese che ebbe il coraggio di ampliare agli ex schiavi il concetto di libertà della Rivoluzione Francese, inizialmente limitato ai bianchi, e che diede vita al primo Stato nero della storia moderna.

14/3/2024


Celac, la destra regionale diserta il vertice

I temi sul tappeto erano della massima importanza: sicurezza alimentare, strategia sanitaria, cambiamento climatico, mantenimento della pace nel subcontinente. Ma molti paesi non erano rappresentati al massimo livello: dei 33 capi di Stato e di governo chiamati a partecipare a Kingstown, capitale di Saint Vincent and the Grenadines, all'ottavo vertice della Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, erano presenti solo in quindici. Mancavano in particolare l'argentino Milei, il salvadoregno Bukele, l'ecuadoriano Noboa e l'uruguayano Lacalle Pou.

Questo pone una grossa sfida a Xiomara Castro che dal primo ministro di Saint Vincent, Ralph Gonsalves, eredita la presidenza pro tempore della Celac: è chiaro che i leader della destra stanno mostrando, con la loro assenza, un rigido allineamento a Washington. Il rischio è quello di uno svuotamento degli obiettivi originari della Comunidad: l'autonomia dei paesi latinoamericani e caraibici contro ogni intervento estraneo alla regione. Nel ricevere il testimone, Castro ha sottolineato l'importanza di respingere le minacce neocolonialiste, ha invitato a ratificare l'impegno di rifiutare l'uso della violenza tra paesi fratelli e ad accettare il principio che le differenze tra le nazioni del blocco vanno risolte senza intromissioni esterne.

Nella Dichiarazione di Kingstown che ha concluso l'incontro vengono prese in esame le crisi in corso nel subcontinente, a partire da quella haitiana. In merito i firmatari del documento ribadiscono la loro profonda preoccupazione "per il crescente deterioramento della sicurezza pubblica e della situazione umanitaria" e sottolineano che si richiede "una soluzione a guida haitiana, che comprenda un ampio dialogo tra società civile e protagonisti politici". Per quanto riguarda la controversia tra Venezuela e Guyana sull'Essequibo, si apprezza il risultato dell'incontro di Argyle tra i presidenti Maduro e Irfaan Alí, che hanno convenuto di risolvere qualsiasi disputa "in accordo con il diritto internazionale".

I partecipanti al vertice ribadiscono inoltre "l'invito dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba che, oltre ad essere contrario alla legge internazionale, causa seri danni al benessere della popolazione cubana" e chiedono l'esclusione dell'isola dall'elenco dei paesi patrocinatori del terrorismo. Infine riaffermano il massimo appoggio della regione alla sovranità della Repubblica Argentina sulle isole Malvinas, South Georgia e South Sandwich e "il carattere latinoamericano e caraibico di Puerto Rico".

2/3/2024


Colombia, il difficile cammino della pace

Il presidente Gustavo Petro ha voluto lanciare un messaggio di pace nel corso della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (16-18 febbraio). "Noi possiamo aiutare l'Ucraina non con le armi, non attizzando una guerra tra fratelli - ha affermato parlando ai giornalisti - Possiamo aiutare in ciò che abbiamo appreso dalla pace, per esempio come sminare un territorio, per esempio propiziando i colloqui che permettano di uscire dalla guerra". Una risposta alle pressioni statunitensi sui paesi dell'America Latina per "arruolarli" nell'appoggio bellico a Kiev.

Fin dal suo insediamento Petro non ha risparmiato gli sforzi per giungere a una "pace totale" in Colombia. Un difficile cammino che, tra alti e bassi, sta portando ai risultati sperati. Il primo febbraio una dichiarazione congiunta del rappresentante del governo Otty Patiño e di Iván Márquez, comandante del gruppo dissidente delle Farc Segunda Marquetalia, ha annunciato l'inizio di "un processo di colloqui sociopolitici miranti alla firma di un accordo". Intanto, dopo momenti di sospensione provocati da scambi di accuse tra le parti, proseguono i colloqui con l'altro gruppo dissidente, Estado Mayor Central: un nuovo ciclo di incontri è previsto ai primi di marzo a San José del Guaviare.

Continua anche il dialogo con l'Ejército de Liberación Nacional. Recentemente vi erano state due brevi sospensioni volute dal gruppo guerrigliero: un paro armado nel dipartimento del Chocó, giustificato con la "presenza del paramilitarismo" e un congelamento delle trattative perché la controparte aveva realizzato "azioni in violazione a quanto pattuito". Finalmente il 26 febbraio un comunicato congiunto ha reso noto che gli incontri saranno ripresi: il settimo ciclo di colloqui si terrà in Venezuela dall'8 al 22 aprile. E come è stato confermato dalla responsabile del negoziato per il governo, Vera Grabe, l'Eln ha liberato tutte le persone che manteneva ancora sequestrate.

In questo quadro va inserito anche il trasferimento a fine febbraio in un carcere colombiano, dopo oltre quindici anni nelle prigioni Usa per narcotraffico, di Salvatore Mancuso, ex capo delle Autodefensas Unidas de Colombia (gli squadroni della morte responsabili di innumerevoli massacri delle comunità contadine accusate di appoggiare la guerriglia). Mancuso torna nell'insolito ruolo di gestore di pace proprio per volontà del presidente Petro. In un comunicato ha dichiarato: "Mi metto a disposizione tanto del governo nazionale come delle organizzazioni armate che cercano con questo un dialogo, come le Autodefensas Gaitanistas de Colombia e le Autodefensas Conquistadores de la Sierra, per accompagnare le conversazioni di pace che siano necessarie". Il suo ritorno ha provocato un forte nervosismo negli ambienti di destra, che temono le sue rivelazioni sulle complicità di quegli anni.

LA SCOMPARSA DI PIEDAD CORDOBA. Stroncata da un infarto, è morta a Medellín il 20 gennaio la senatrice Piedad Córdoba, grande lottatrice per la pace, la giustizia sociale, i diritti delle donne e degli afro-colombiani. Per queste battaglie attentarono due volte alla sua vita e nel 1999 fu anche sequestrata dai paramilitari delle Auc e tenuta prigioniera diverse settimane. Laureata in Legge, come parlamentare del Partito Liberal ebbe un importante ruolo di mediazione, insieme al presidente venezuelano Hugo Chávez, per la liberazione di alcune persone in mano alle Farc.

Proprio con il pretesto dei suoi rapporti con il gruppo guerrigliero, nel 2010 l'allora procuratore generale Alejandro Ordóñez la espulse dal Senato inabilitandola per diciotto anni dal ricoprire cariche pubbliche. Solo nel 2016 le vennero restituiti i diritti politici. Intanto era diventata un'importante esponente del movimento di sinistra Marcha Patriótica. Nel novembre 2021 aderì al Pacto Histórico, la coalizione che porterà alla presidenza Gustavo Petro, e nelle legislative del 2022 conquistò nuovamente un seggio al Senato. Ma la persecuzione giudiziaria nei suoi confronti non era finita: l'anno scorso una nuova indagine era stata aperta dalla Corte Suprema con accuse pretestuose. Di lei ha detto Petro: "Riuniva una serie di attributi che per la società retrograda non erano ammissibili; era una donna e nera e liberale di sinistra e amante della pace e parlava con guerriglieri e militari e proponeva la pace e non la guerra e non voleva una società paramilitare né un governo di assassini".

28/2/2024


El Salvador, Bukele rieletto tra denunce di irregolarità

Sono stati resi noti dal Tribunal Supremo Electoral i risultati definitivi delle presidenziali del 4 febbraio: Nayib Bukele è stato rieletto con l'82,6% dei voti. Un risultato poco credibile, anche tenendo conto della grande popolarità conquistata dal capo dello Stato con la sua spregiudicata lotta alle maras. In realtà vengono taciute le tante denunce di brogli e di irregolarità: disconnessione del sistema durante la trasmissione dei conteggi, mancanza di dati ufficiali, sostituzione degli scrutatori designati... Senza contare che i salvadoregni si sono recati alle urne nel quadro di un estado de excepción in vigore dal marzo del 2022 (e che dopo il voto è stato prorogato per altri 30 giorni).

Del resto nel suo primo mandato Bukele ha governato attraverso un controllo assoluto sul potere legislativo, grazie al quale ha potuto destituire il procuratore generale e i membri della Sala Constitucional della Corte Suprema, designando al loro posto magistrati a lui fedeli. Sono stati proprio questi ultimi a permettergli di aggirare la Costituzione, che vietava la sua ricandidatura. Quanto all'opinione pubblica, è stata manipolata attraverso la diffusione via social di fake news e l'uso di profili falsi creati dalla sua macchina propagandistica, mentre i giornalisti critici vengono intimiditi e perseguitati: solo nel 2023 l'Asociación de Periodistas ha documentato 311 aggressioni a lavoratori dell'informazione.

Anche la nuova Asamblea Legislativa, votata sempre il 4 febbraio, è allineata all'esecutivo: il partito di Bukele, Nuevas Ideas, ha ottenuto 55 seggi su 60. Gli altri cinque seggi sono così ripartiti: due al Pdc (Partido Demócrata Cristiano), due ad Arena (Alianza Republicana Nacionalista) e uno a Vamos; nessun rappresentante per Fmln e Gana (Gran Alianza por la Unidad Nacional). Nel Parlamento Centroamericano tredici deputati vanno a Nuevas Ideas, due ad Arena, due al Farabundo Martí, uno ciascuno a Gana, Pdc e Pcn (Partido de Concertación Nacional).

Certo il capo dello Stato può vantarsi di aver "risolto" il problema della sicurezza: in Salvador il tasso di omicidi, un tempo tra i più alti al mondo, è crollato pesantemente ed è ora tra i più bassi del Centro America. Ma a prezzo di pesanti violazioni dei diritti umani. Il paese si è aggiudicato il primato mondiale del più alto numero di detenuti: oltre 75.000, l'1,4% della popolazione; si calcola che tra questi vi siano migliaia di innocenti. Le forze di sicurezza possono arrestare chiunque giudichino sospetto, senza necessità di indagini e mandati di cattura; la carcerazione preventiva non ha bisogno che venga formulato alcun capo d'accusa. Sono stati inoltre approvati i processi di massa: fino a 900 imputati per volta, rendendo praticamente impossibile al singolo dimostrare la propria estraneità ai fatti. Per ospitare parte di questa enorme popolazione carceraria è stato inaugurato un anno fa il più grosso penitenziario del continente americano.

Il controllo sulla magistratura permette al capo dello Stato di attaccare, con accuse pretestuose, l'opposizione. L'ultimo bersaglio è l'ex democristiano Rubén Zamora che, dopo aver lottato con il Frente Democrático Revolucionario (alleato del Fmln) contro l'ultimo regime militare ed essere stato costretto all'esilio, con gli accordi di pace era tornato in patria e durante i governi del Frente aveva ricoperto l'incarico di ambasciatore negli Stati Uniti e presso le Nazioni Unite. Negli ultimi anni con il suo movimento, Resistencia Ciudadana, Zamora ha apertamente criticato la politica di Bukele. Nel dicembre scorso una giudice ha emesso contro di lui un mandato d'arresto: come membro della Junta Directiva del Parlamento, che nel 1993 approvò la Ley General de Amnistía (in seguito dichiarata incostituzionale), avrebbe coperto le responsabilità dei militari accusati della strage di El Mozote (1981). Da notare che la sua firma non compare sotto quel decreto di amnistia perché Zamora si rifiutò di sottoscriverlo. L'ordine di cattura nei suoi confronti è stato poi ritirato, ma il procedimento prosegue.

E il 7 febbraio è morto in carcere, per cause non ancora chiarite, l'ex assessore per la Sicurezza Nazionale Alejandro Muyshondt. Era finito in cella in agosto sotto l'accusa di aver rivelato ai giornalisti e all'opposizione documenti segreti a favore dell'ex presidente Mauricio Funes, condannato per corruzione e attualmente rifugiato in Nicaragua. Poco prima del suo arresto Muyshondt aveva denunciato per narcotraffico un deputato di Nuevas Ideas.

Intanto Bukele rafforza la sua immagine negli ambienti della destra continentale. Il 22 febbraio ha partecipato alla conferenza annuale organizzata dai conservatori a Washington, dove è stato accolto come una rock-star e nel suo intervento ha invitato a una “lotta senza sensi di colpa” contro le “forze oscure” che stanno prendendo il controllo degli Stati Uniti.

23/2/2024


Ecuador, ratificati due accordi militari con gli Usa

Come previsto, dopo il via libera della Corte Constitucional il governo Noboa ha ratificato il 15 febbraio due accordi di cooperazione militare con Washington. Il primo stabilisce i benefici, le esenzioni e le immunità garantite al personale statunitense (soldati, contrattisti, impiegati) che opererà in territorio ecuadoriano ufficialmente per combattere il narcotraffico. Il secondo riguarda il contrasto alle attività marittime transnazionali illecite e comporta la realizzazione di operazioni navali congiunte. In tal modo la sovranità nazionale viene delegata agli Stati Uniti, riportando il paese al periodo pre-Correa.

E, sempre per compiacere gli Usa, Daniel Noboa aveva recentemente affermato che avrebbe inviato all'Ucraina armi e munizioni di origine russa in suo possesso. In cambio avrebbe ricevuto equipaggiamento statunitense per il valore di 200 milioni di dollari. La decisione non era piaciuta al Cremlino, che per ritorsione aveva bloccato le importazioni di banane dall'Ecuador (la Russia è al terzo posto tra i partner commerciali ecuadoriani). Risultato: una precipitosa marcia indietro di Noboa, che ha smentito la sua precedente dichiarazione.

CONTINUA LA PERSECUZIONE GIUDIZIARIA CONTRO JORGE GLAS. Scarcerato nel novembre del 2022 dopo cinque anni di prigionia per reati mai provati, l'ex vicepresidente Jorge Glas è stato raggiunto da una nuova accusa, riguardante presunti abusi nella gestione dei fondi per la ricostruzione della provincia di Manabí, colpita dal terremoto del 2016. Il 21 febbraio il tribunale competente ha respinto la richiesta di revoca della detenzione preventiva presentata dai suoi legali. Prevedendo la conclusione di questo nuovo caso di lawfare, Glas in dicembre si era rifugiato nell'ambasciata del Messico a Quito, dove attualmente si trova in qualità di "ospite".

22/2/2024


Argentina, un milione e mezzo in piazza contro Milei

Al grido di La patria no se vende, un milione e mezzo di persone hanno riempito le piazze di tutto il paese il 24 gennaio, in occasione dello sciopero generale proclamato dalle centrali sindacali. Una giornata di lotta per esprimere la protesta sociale contro il presidente Milei e per chiedere al Congresso di non ratificare il Decreto de Necesidad y Urgencia e la Ley Omnibus inviate dal governo, che derogano più di mille leggi costituzionali e prevedono la concessione di facoltà straordinarie all'esecutivo per due anni. Proposte che non solo cancellano i diritti dei lavoratori e le libertà sindacali, ma aprono la strada alla privatizzazione di tutte le imprese pubbliche, modificano il codice civile e commerciale, inaspriscono le pene per le manifestazion mentre ammorbidiscono le norme per la difesa dell'ambiente. La mobilitazione del 24 è stata accompagnata da iniziative di appoggio in tutto il mondo: in Italia si sono tenuti presidi a Roma, davanti all'ambasciata, e a Milano di fronte al consolato.

Sono bastate poche settimane dall'inizio del suo mandato per far calare notevolmente la popolarità del nuovo presidente: gli argentini cominciano a rendersi conto che - a differenza di quanto aveva promesso in campagna elettorale - la politica di Milei non è certo indirizzata contro la "casta" i cui rappresentanti, Macri in testa, gestiscono il potere dietro le quinte. Due giorni dopo l'insediamento venivano resi pubblici i primi provvedimenti: svalutazione del 118% del peso, licenziamento di dipendenti statali, sospensione delle opere pubbliche e riduzione dei sussidi a energia e trasporti. Il numero dei dicasteri è stato drasticamente ridotto: in particolare scompare Donne, Generi e Diversità e viene creato il nuovo Ministerio de Capital Humano, che si occuperà di lavoro, sicurezza sociale, istruzione, cultura, politiche familiari.

L'ARGENTINA NON ENTRA NEI BRICS. In una lettera inviata al gruppo dei Brics, il presidente Milei ha reso noto di non considerare opportuna "l'adesione della Repubblica Argentina come membro pieno a partire dal primo gennaio 2024", perché "l'impronta in materia di politica estera del governo che presiedo da pochi giorni differisce in molti aspetti da quella del governo precedente". La decisione è stata criticata da numerosi analisti economici, perché volta le spalle a paesi che sono potenziali acquirenti di prodotti argentini come alimenti, minerali, risorse energetiche. Ma le motivazioni del capo dello Stato sono ben chiare, come scrive su Página/12 Javier Lewkowicz: si tratta di "un forte gesto a favore degli Stati Uniti, da cui l'amministrazione Milei spera di ottenere finanziamento, sia da parte del Fondo Monetario Internazionale che da investitori privati, che le permettano di sostenersi come governo".

25/1/2024


Venezuela, scoperti cinque piani eversivi

Dal maggio scorso 32 persone sono finite in carcere, accusate di aver partecipato a cinque piani eversivi sventati dall'intelligence bolivariane. Lo ha rivelato il 22 gennaio il fiscal general Tarek William Saab, aggiungendo che sono stati emessi altri ordini di cattura. Tra i sospettati di cospirazione figurano civili e membri della Fuerza Armada Nacional Bolivariana. Tra gli obiettivi dei golpisti l'assassinio del presidente Maduro e assalti a installazioni militari. Il procuratore ha mostrato le testimonianze di due arrestati che coinvolgono in questi complotti la Cia e alcuni dirigenti politici di destra.

Alle dichiarazioni del portavoce del Dipartimento di Stato Usa, secondo cui queste detenzioni "senza il debito processo sono contrarie allo spirito dell'accordo di road map elettorale" raggiunto in ottobre, Caracas ha risposto in un comunicato: "Non sorprende che Washington interceda a favore degli artefici delle operazioni terroristiche frustrate in Venezuela e che addirittura assicuri loro una posizione di complicità. Difendere queste azioni destabilizzatrici fomenta la violenza e attenta contro il normale sviluppo del processo elettorale del 2024".

Il 17 ottobre il governo e l'opposizione, riunita nella Plataforma Unitaria Democrática, in un incontro nell'isola di Barbados avevano sottoscritto un documento per la celebrazione di elezioni presidenziali nel secondo semestre del 2024, con la presenza di osservatori dell'Unione Europea e delle Nazioni Unite. Da parte statunitense era stato concesso un alleggerimento delle sanzioni.

24/1/2024


Guatemala, la promessa di una nuova primavera

L'investitura di Bernardo Arévalo de León alla massima carica dello Stato e della sua vice Karin Herrera Aguilar era previsto per le 16 di domenica 14 gennaio, ma ha potuto avvenire solo nelle prime ore di lunedì 15, a causa del ritardo nell'insediamento dei nuovi deputati. Un ritardo dovuto ai tentativi dei parlamentari legati alla vecchia legislatura di mantenere il controllo del Congresso o almeno della sua Junta Directiva, ostacolando l'ingresso degli eletti del Movimiento Semilla. Tentativi andati a vuoto, dal momento che alla fine a presiedere il Parlamento è stato proclamato un esponente di Semilla, Samuel Pérez. E anche la seconda votazione dei vertici del Congresso, imposta dalla Corte de Constitucionalidad in seguito ai ricorsi dell'opposizione, si è conclusa giorni dopo con la sconfitta della destra: la nuova Junta Directiva è composta da legislatori vicini ad Arévalo ed è presieduta da Nery Ramos, del Partido Azul.

Nelle settimane precedenti pubblico ministero e giudici corrotti avevano cercato con ogni pretesto di invalidare l'esito delle elezioni, tanto che in dicembre la presidente del Tribunal Supremo Electoral, Blanca Alfaro, aveva dovuto dichiarare: "I risultati sono convalidati, sono ufficializzati e sono inalterabili", precisando che questo valeva non solo per Arévalo ed Herrera, ma anche per i 340 sindaci, i 160 congressisti e i 20 membri del Parlamento Centroamericano. Tutti avrebbero dovuto prendere possesso delle loro cariche in gennaio, per non incorrere nella "rottura dell'ordine costituzionale".

A garantire la salvaguardia dello stato di diritto è stata soprattutto la popolazione indigena, da sempre oppressa e dimenticata: donne e uomini che dalle loro comunità hanno raggiunto la capitale e dall'inizio di ottobre hanno costituito presidi di fronte alla Fiscalía e ai tribunali, esigendo il rispetto della Costituzione e riuscendo a coinvolgere nella protesta studenti, sindacati e ampi settori della classe media. E fortunatamente gli aspiranti golpisti non hanno ottenuto alcun appoggio internazionale, neppure da Stati Uniti, Oea e Unione Europea.

Così il 15 gennaio Arévalo ha potuto fare il suo ingresso nella sala dove si teneva la cerimonia di investitura al suono de La Primavera di Vivaldi. E nel suo discorso dal balcone del Palacio Nacional ha promesso una "nuova primavera", come quella che vide protagonista suo padre, Juan José Arévalo Bermejo, tra il 1946 e il 1951. Il nuovo capo dello Stato non ha nascosto le difficoltà che lo attendono: "Iniziano oggi quattro anni di un mandato che sicuramente sarà contrassegnato da una serie di ostacoli, molti dei quali non possiamo adesso prevedere", ma ha ribadito il suo impegno a trasformare non solo le istituzioni dello Stato, ma anche la realtà quotidiana dei guatemaltechi. "Non più corruzione, non più esclusione", ha esclamato.

Alcuni giorni prima era stato presentato alla stampa il futuro governo, formato da sette uomini e sette donne. Tra queste ultime l'avvocata indigena Miriam Roquel, cui verrà affidato il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Roquel aveva occupato la carica di procuratrice aggiunta al fianco dell'allora procuratore per i Diritti Umani Jordán Rodas, costretto a rifugiarsi all'estero per aver denunciato le prevaricazioni dell'esecutivo Giammattei. "Siamo ancora in debito con la pluriculturalità", ha ammesso Arévalo, assicurando di voler continuare a impegnarsi per colmare questa lacuna.

20/1/2024

Latinoamerica-online.it

a cura di Nicoletta Manuzzato