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La scomparsa di José Mujica Una traiettoria politica eccezionale: da guerrigliero tupamaro, che per la sua battaglia ha passato in prigione quattordici anni spesso in condizioni inumane, a presidente dell'Uruguay dal 2010 al 2015, anni in cui il paese realizzò importanti passi avanti sul piano dei diritti sociali e civili (riduzione della povertà, approvazione della giornata di otto ore per i braccianti, riconoscimento del matrimonio egualitario, depenalizzazione dell'aborto, legalizzazione della marijuana). José Pepe Mujica si è spento il 13 maggio nella modesta casa contadina nei pressi di Montevideo che divideva con la moglie e compagna di lotta, la senatrice Lucía Topolansky. Il "presidente povero", così veniva chiamato per la semplicità con cui seppe vivere rinunciando ai privilegi della sua carica: durante il suo mandato destinò il 90% del suo appannaggio a programmi sociali e si distinse sempre per la sua critica serrata al consumismo e alla ricerca spasmodica della ricchezza. Ho incontrato Pepe Mujica nel 2005 a Parma dove, in qualità di ministro dell'Agricoltura nell'esecutivo di Tabaré Vázquez, era stato invitato a un seminario su scambi agricoli e partnership tra Unione Europea e Mercosur. Gli feci alcune domande sulle decisioni dell'allora governo uruguayano, che avevano suscitato qualche delusione in quanti speravano dal Frente Amplio cambiamenti più radicali. Le sue risposte dimostrarono un grande realismo: "Dicono che Dio è onnipotente, ma per creare il mondo ci ha messo sei giorni e solo la domenica ha potuto riposare. Noi siamo il primo governo di sinistra in Uruguay e sono passati soltanto sette mesi: non è semplice cambiare la realtà nel quadro delle costrizioni enormi che abbiamo incontrato". Un realismo che ha contrassegnato tutta la seconda parte della sua vita, portandolo a distaccarsi dalle posizioni della militanza giovanile. Questo ha fatto sì che oggi venga celebrato da gran parte dello schieramento politico. Come scrive l'editoriale de La Jornada del 14 maggio, per alcuni "incarna la rivendicazione postuma dei gruppi guerriglieri che sei decenni fa credettero di essere in grado di cambiare il mondo con un fucile in spalla, ideali elevati e forti dosi di volontarismo giovanile. Per altri invece la sua traiettoria dimostra che l'unico quadro accettabile per l'azione politica è la democrazia istituzionale disegnata da teorici conservatori non per realizzare la sovranità popolare, ma per limitarla". (14/5/2025)
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cura di Nicoletta Manuzzato |