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Brasile, operazione nelle favelas

Teresa Isenburg

Come contrastare la criminalità organizzata e più in generale come garantire la sicurezza pubblica limitando la repressione truculenta ed evitando modelli autoritari è questione che anche l’Italia si trova ad affrontare. Mi sembra quindi di un certo interesse raccogliere qualche riflessione su quanto accaduto a Rio de Janeiro giorni fa.

Il 28 ottobre 2025, a partire dalle 5,30 del mattino, le polizie civile e militare dello Stato di Rio de Janeiro hanno compiuto un’operazione nelle favelas Alemão e Penha che ha lasciato 121 morti, 4 dei quali poliziotti, e centinaia di feriti (una strage che ha superato quella del 1992 del padiglione 09 della Casa di detenzione del Carandiru a San Paolo con 111 giustiziati; per il crimine 74 poliziotti furono condannati, ma mai compirono la pena e Bolsonaro, ormai a fine mandato nel dicembre 2022, concesse loro l'indulto). Partecipavano 2500 agenti, droni, due elicotteri, 32 blindati, 12 veicoli di demolizione.

L’azione metteva in esecuzione la denuncia e la richiesta di arresto emanate del ministero pubblico circa un anno fa nei confronti di un centinaio di componenti del Comando Vermelho/CV, il principale gruppo di criminalità organizzata di Rio, ed era stata pianificata con un paio di mesi di antecedenza. In Brasile come altrove negli ultimi lustri il crimine organizzato si è molto rafforzato, allargando il proprio controllo su scala nazionale e tessendo collegamenti internazionali. I gruppi principali sono a San Paolo con Primeiro Comando da Capital/PCC e a Rio con CV; in quest’ultima città operano con peso anche le milizie formate in prevalenza da elementi (in servizio o in pensione) delle polizie. Soprattutto a Rio queste strutture criminali controllano porzioni considerevoli del territorio degli insediamenti informali, taglieggiando la popolazione con infinite tangenti su tutti i possibili servizi (acqua, luce, Internet, trasporti, ecc.) e autorizzando o meno gli accessi alla zona. Se il CV è attivo soprattutto nel traffico di droghe ed estorsioni, le milizie sono interessate in particolare alla speculazione edilizia. Un sistema che ben conosciamo in Italia.

A San Paolo forte è il legame del PCC con la cosiddetta Faria Lima, il centro finanziario che prende nome dalla strada in cui si trovano i principali palazzi dello stesso. Anche questo un collegamento che ben conosciamo in Italia. Poche settimane fa la polizia federale insieme alle polizie paoliste ha qui smantellato un potente sistema di lavaggio di capitali di una joint venture fintech-PCC attraverso un lavoro di intelligence senza versamento di sangue. È opinione condivisa fra chi si occupa di contrasto alla criminalità che la truculenza contro la manovalanza non disarticola l’organizzazione (così come annegare uno per uno i migranti nel Mediterraneo non risolve l’immigrazione): per problemi complessi non servono risposte primitive e semplificative. Allora perché il governatore di Rio Claudio Castro ha scelto di ordinare un’azione di sangue e spettacolare di tale portata e in questo momento? Un’azione, egli dichiara, di grande successo: eppure in questa lunga fila di poveri cadaveri vilipesi (che ha orripilato anche l’ONU) pochi sono i nominativi indiziati dal ministero pubblico e l’obiettivo, sempre del MP, di arrestare colui che è ritenuto il capo del CV non è stato raggiunto.

Per contestualizzare quanto accaduto vorrei cercare di collocare la giornata del 28 ottobre all’interno del quadro politico del momento (si tratta infatti, io credo, di un fatto politico piuttosto che di gestione della sicurezza pubblica). Dal 2016 il blocco che raggruma una privilegiata élite a geometria variabile lotta senza quartiere per non perdere il controllo diretto del potere. La formazione di governi di coalizione a moderato indirizzo di centrosinistra dal 2003 al 2016 è stata, per tale élite anticostituzionale e antisociale, insopportabile tanto da spingerla a realizzare nell’agosto del 2016 un colpo di Stato per deporre in modo illegittimo la presidente Dilma Rousseff, ad appoggiare nei due anni successivi il governo a sua volta illegittimo di Michel Temer per smantellare lo stato sociale e ad abbracciare in una stretta mortale il progetto eversivo di Jair Bolsonaro destinato a indebolire le istituzioni e il golpe di inizio 2023.

Le elezioni politiche del 2022 hanno di nuovo portato alla presidenza del paese Luiz Inácio Lula da Silva, che ha ripreso gli aggiustamenti sociali per aprire uno spiraglio alla inclusione sociale. In particolare lo strumento strutturale scelto a questo fine è stato la riforma fiscale, per includere nel prelievo fiscale rendita finanziaria e fondiaria e grandi fortune e per contenere le infinite esenzioni che privilegiano coloro che hanno beni. Oltre ad altre misure di piccoli trasferimenti di reddito come “Borsa familha” per integrare entrate bassissime o “Salvadanaio” per incentivare la permanenza dei ragazzini nella scuola. Ma l’élite ormai conglomerata della destra ed estrema destra era abbastanza tranquilla perché il terzo governo Lula non aveva un buon consenso e intanto si avvicinavano le elezioni politiche di ottobre 2026, che potevano promettere un ritorno al potere della stessa. Nel frattempo il Parlamento, e in particolare la Camera dei Deputati con una solida maggioranza reazionaria, impediva al governo di governare bloccando ogni proposta e votando invece provvedimenti antisociali, antiambientali e lontani dalle esigenze dei più.

Ma ad un certo punto qualche cosa è cambiato. Verso agosto-settembre 2025 i sondaggi di opinione hanno cominciato a mostrare un forte aumento di consenso nei confronti del governo Lula, tanto da minacciare una possibile rielezione dello stesso nel 2026. Due accadimenti in particolare hanno avuto influenza: l’attacco statunitense al Brasile attraverso le tariffe di esportazione molto alte, insieme con l’intromissione in questione interne del paese come il processo a Bolsonaro e complici nel colpo di Stato dell’8 gennaio 2023, nonché le sanzioni contro specifici magistrati della Suprema Corte. Questa costellazione di provvedimenti ha rinverdito una antica cultura antimperialista, alimentata anche dal ripudio diffuso alla devastazione coloniale ed etnica contro Gaza. In secondo luogo a metà settembre l’approvazione da parte della Camera della cosiddetta Pec da blindagem/Proposta di emendamento costituzionale dello scudo, volta a sottrarre alla giustizia eletti federali, statali, municipali, ha prodotto una reazione spontanea e generalizzata di ripudio che ha riempito in tempi rapidissimi le piazze e imposto il ritiro del testo, il cui carattere di classe era impudicamente evidente.

Nella fase attuale i cambiamenti di orientamento politico sono rapidi anche perché, nonostante le montagne di notizie false e le manipolazioni della stampa di mercato, nei labirinti delle reti passano informazioni esplicative che sotterraneamente  contaminano. Va aggiunto che l’esecutivo federale ha promosso alcune iniziative importanti: è riuscito a fare votare la detassazione dei redditi fino a due salari minimi (un salario minimo 2025 1518 R$, 2026 1613 R$), il che significa circa una tredicesima in più; inoltre ha lanciato il programma Gas do povo, che garantisce una bombola di gas di 13 kg senza costo per famiglie (cioè donne) di basso reddito, ciò che permette di fare da mangiare senza doversi bruciare con legna o alcool. E inoltre i dati economici sono buoni: la disoccupazione è al 5,6%, la più bassa della serie storica disponibile, la massa salariale è cresciuta, l’inflazione sotto controllo. Ma anche il quadro internazionale ha giocato recentemente a favore di Lula: il 6 ottobre Trump ha telefonato a Lula e il 26 ottobre i due presidenti si sono incontrati a Kuala Lampur in Malesia. Siccome la destra ha per mesi accusato Lula di essere la causa delle sanzioni Usa, questi incontri hanno dimostrato che così non era.

Questo lungo riassunto degli accadimenti recenti e meno recenti del Brasile ha la sola funzione di indicare che in questo momento la destra è in difficoltà e molto spaventata di non riuscire, forse, a riprendere il controllo diretto del potere. Le iniziative del governo in materia economica hanno aspetti strutturali di ridistribuzione del reddito, lontani da quello che sarebbe necessario per pagare il debito sociale, ma non indolori per il blocco dell’élite e i suoi alleati. In questo contesto sembra di poter ritenere che l’operazione di Rio, lo sterminio in nome della sicurezza pubblica, possa essere considerato da politici di destra lo strumento elettorale in grado di produrre consenso. Non è un segreto per nessuno che molti cittadini e cittadine di tutti i paesi ritengano che la sicurezza pubblica si raggiunga con la repressione eliminando i poveri che rubano, gli immigrati che sono diversi da noi, consentendo che le mafie impongano il loro ordine mentre la polizia guarda dall’altra parte e così via. Importante a questo fine è alimentare la paura e lasciare la polizia sparare.

Conferma di questa strategia elettorale viene dalle parole pronunciate e dalle iniziative prese all’indomani della strage. Il governatore Castro, insieme ai suoi segretari di sicurezza, esalta il successo dell’operazione dando i numeri dei “criminali neutralizzati”, mentre ancora non se ne sanno i nomi e comunque sono morti, non corpi cancellati. Inoltre ha immediatamente promosso una conferenza stampa con altri sei governatori per “festeggiare” l’operazione e prevedere collaborazioni con scambio di uomini e mezzi, misure fuori dalle regole in vigore. E questo mentre da mesi alla Camera viene sabotato, per opposizione dei governatori di destra che temono di vedere ridotto il loro dominio sulle potenti polizie statali, un progetto di legge federale che prevede un coordinamento da parte dell’Unione degli indirizzi e delle informazioni relative al contrasto al crimine organizzato, qualche cosa che ricorda la nostra Direzione Nazionale Antimafia. Infine nella stessa occasione si è molto insistito sulla opportunità di equiparare narcotraffico a terrorismo e i componenti della fazioni a terroristi, imitando l’indirizzo statunitense ed esponendo il paese a interferenze degli Usa. Insomma, la strage del 28 ottobre ha ferito la città, non ha raggiunto l’obiettivo di arrestare i capi, ma ha offerto uno strumento di propaganda politica truculenta e semplicista che incita alla violenza e all’odio senza risolvere i problemi. Da parte sua il governo federale insiste sulle misure di coordinamento Stati/Federazione e di decapitalizzazione dei gruppi criminali attraverso controlli finanziari incrociati oltre alla presenza continuativa delle forze dell’ordine sul territorio.

Fonti: Lenio Streck, “Castro descompriu ordem do STF e tem que ser punito”, “Brasil 247”, 30.11.2025; Jorge Luiz Souto Maior, Racismo e política sustentam o massacre nas comunidades da Penha e do Alemão, “A Terra è redonda”, 30.10.2025; List Vieira, Chacina policial no Rio: fracasso operacional, sucesso politico, “ A Terra è redonda”, 31.10. 2025; Luis Nassif, O xadrez geopolitico do Narcoterrorismo, “Jornal GGN”, 2.11.2025

San Paolo, 2/11/2025

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato