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Brasile, un tempo sospeso

Teresa Isenburg

Nel corso della settimana 8-13/9 dovrebbe giungere a sentenza presso il Supremo Tribunale Federale/STF il processo contro Bolsonaro e sette militari considerati “il nucleo cruciale” del tentativo di colpo di Stato del 2022-2023. Vorrei riassumere qualche informazioni sulla situazione del paese in cui essa verrà a cadere.

Sono trascorsi poco più di due mesi da quando l’esecutivo degli Stati Uniti ha varato dazi del 50%, divenuti operativi a inizio agosto, su molti prodotti brasiliani, seguiti da restrizioni per i visti di ingresso negli Usa di diverse autorità e da misure specifiche contro un ministro del STF. I due fatti vengono presentati in modo congiunto da parte dell’esecutivo statunitense, “giustificando” entrambi con la “persecuzione politica” di Bolsonaro, una lettura anomala e una ingerenza ingiustificata nella giustizia brasiliana. Ovviamente altre motivazioni di interessi assai più materiali e di carattere strategico hanno portato a queste scelte, ma al momento si vive un tempo sospeso in attesa del verdetto processuale e degli eventuali ulteriori passi punitivi statunitensi, in continuazione minacciati.

Da parte dell’esecutivo brasiliano la risposta a questo improvviso cambiamento di scenario si è mossa su due piani: in primo luogo, nel respingere ingerenze estere: è stata con forza rivendicata la sovranità nazionale. In secondo luogo viene promossa un’attiva azione commerciale sia per cercare di trattare con il versante statunitense, sia per trovare sbocchi alternativi interni e internazionali per le merci non più competitive negli Usa. La negoziazione con le istituzioni statunitensi è bloccata perché queste non sono interessate, viceversa quella con esponenti di settori economici privati collegati al Brasile cerca di identificare possibili soluzioni, peraltro non facili.

Il forte richiamo alla dignità e alla sovranità nazionali ha trovato ascolto e appoggio in tutti gli strati della popolazione, rinverdendo la tradizione del dopoguerra di difesa delle risorse del paese, ad esempio nella campagna O petroleo è nosso, e ricollegandosi ad un diffuso antimperialismo storico. Lo sforzo di ridefinire il mercato delle esportazioni trova appoggio presso altri paesi colpiti da alti dazi come India e Messico (dove si è recata una folta delegazione economica guidata dal vicepresidente Geraldo Alkmin), mentre la Cina aumenta l’interscambio con il Brasile e aumenta gli investimenti diretti soprattutto in infrastrutture, come nel porto di Santos, mentre il 30 agosto è stata inaugurata la linea fra i porti di Santana in Amapá e di Gaolan nella città di Zhuhai, che riduce del 30% il costo dei trasporti. Inoltre nell’incontro virtuale dell’8 settembre dei leader del Brics, in questo 2025 sotto presidenza brasiliana, è stato ribadito il ripudio per forme si protezionismo, la necessità di coesione fra gli aderenti al sodalizio e l’opzione per il multilateralismo. Certamente fra gli obiettivi degli alti dazi vi è anche quello di indebolire quel coordinamento.

Da parte delle destre la difesa di Bolsonaro rafforza lo schieramento non piccolo che chiede l’amnistia per tutti coloro coinvolti nei fatti culminati nell’attacco fisico alle sedi del potere a Brasilia l’8 gennaio 2023. Da un lato la famiglia Bolsonaro è molto attiva anche attraverso il pesante lavoro di lobby del figlio deputato federale Edoardo negli Usa, dall’altro nel Parlamentouna maggioranza di destra ed estrema destra coltiva una proposta di legge per votare essa stessa la sognata amnistia. Che questo non sia previsto dalla Costituzione non costituisce per esse ostacolo. L’alleato di centro (infido) del governo dichiara di togliere l’appoggio allo stesso per accrescere, incurante della separazione dei poteri, la pressione in difesa dell’ex presidente. Nelle iniziative per la festa nazionale del 7 settembre (che ricorda la dichiarazione di indipendenza del Brasile dal Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarve avvenuta il 7 settembre 1822) a grandi manifestazioni con parole d’ordine “amnistia no” e “sovranità nazionale” si sono contrapposte altre, minori ma partecipate, con la presenza di diversi governatori di Stati, a favore della cosiddetta amnistia e con molte bandiere statunitensi. E voglio anche ricordare in questa data la testimonianza del “Grido degli Esclusi” iniziata nel 1995 da parte della CNNB/Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, che da oltre trent'anni denuncia il principale problema del Brasile, l’esclusione sociale di massa.

Anche gli Usa hanno, a modo loro, preso parte alle celebrazioni. Nelle reti sociali il sottosegretario di Stato per la diplomazia e gli affari pubblici Darren Beattie ha scritto: “Ieri ha segnato il 203° Giorno dell’Indipendenza del Brasile. È stato un promemoria del nostro impegno di appoggiare il popolo brasiliano, che cerca di preservare i valori della libertà e della giustizia. In presenza del ministro Alexandre de Moraes (relatore del processo in corso contro Bolsonaro + 7) e degli individui i cui abusi di autorità minano queste libertà fondamentali, continueremo a prendere misure adeguate”. E nel primo giorno della fase finale del processo Bolsonaro, il 9 settembre 2025, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt nel corso di una conferenza stampa ufficiale ha dichiarato: “Il presidente non ha paura di usare il potere economico e militare degli Usa per proteggere la libertà di espressione nel mondo”. La frase è stata pronunciata in risposta ad una domanda relativa ad una possibile condanna di Bolsonaro da parte del Supremo Tribunale Federale.

La nota di risposta immediata del Ministero degli Esteri è stata ovviamente molto ferma. Non è spiegato che cosa gli Usa intendano per libertà di espressione, forse è un nuovo strumento per ingerenze internazionali così come è stato per decenni il riferimento ai diritti umani, oggi, dopo Gaza, non più spendibili. Essa sembra ricollegarsi al grande business delle piattaforme e delle annesse fake news e disinformazioni che colonizzano le menti. Ma questo è un problema che riguarda tutti i paesi, anche se sembra che in Brasile se ne faccia una prima esplicita sperimentazione. Interessanti sono le considerazioni comparate di Jeffrey Sachs sui cammini divergenti di Usa e Brasile.

Altri due fatti piuttosto complicati occupano al momento la scena. A novembre si terrà a Belem la Cop30 delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la cui organizzazione incontra molti inciampi nella situazione internazionale minata da conflitti gravissimi e da attacchi a qualsiasi istituzione sovranazionale. L’aggressività statunitense e lo stato catatonico dell’Europa non aiutano. Tuttavia il 22 agosto a Bogotà si è tenuto il vertice dei presidenti del Trattato di Cooperazione Amazzonica/OTCA, per discutere la questione delle foreste nel suo complesso. Il che tuttavia non risolve la difficoltà nell’organizzazione della Cop30, in cui il Brasile è criticato anche per alcune scelte economico-amministrative in materia di combustibili fossili e nuove leggi che facilitano le autorizzazioni in materia ambientale.

Altra questione complicata che è esplosa di recente in seguito alle indagini della polizia federale è una forte infiltrazione del PCC nella Faria Lima: la prima sigla identifica il Primo Comando della Capitale, struttura della criminalità organizzata operante inizialmente a San Paolo e oggi con influenza nazionale, il secondo binomio indica la strada di San Paolo dove hanno sede le principali istituzioni finanziarie, i cui vertici hanno infinita influenza politica. Che il PCC utilizzi la tecnofinanza per lavare i propri attivi minaccia da vicino anche esponenti politici.

In questa situazione tesa il paese aspetta la conclusione del percorso che dal tentativo del colpo di Stato è giunto ad un processo importante rompendo secoli di impunità di classe.

San Paolo, 10/9/2025

 

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a cura di Nicoletta Manuzzato