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Il Nord del mondo ignora il Gruppo dell'Aia Viviamo giorni drammatici, in cui le parole guerra e genocidio sono tornate nel linguaggio quotidiano e dove misuriamo la nostra impotenza nell’arrestare la distruzione di un popolo, quello palestinese, massacrato dalle bombe israeliane (spesso prodotte e fornite dai nostri paesi) o condannato a una lenta morte per inedia. Un massacro che avviene sotto i nostri occhi, con l’aperto appoggio statunitense e la complicità europea, anche se i media nostrani fanno di tutto per oscurarla e minimizzarla. Un tacito atteggiamento razzista: i morti palestinesi non possono ambire alla stessa risonanza mediatica delle vittime del civile Occidente. Lo stesso atteggiamento razzista lo si nota nei resoconti sugli sforzi della diplomazia per fermare – o almeno attenuare – lo sterminio. Persino le risoluzioni delle Nazioni Unite ricevono ben poca attenzione. E dai nostri governi arrivano al massimo parole di lieve rimprovero (“forse sta esagerando”) verso la politica di Tel Aviv, ma nessuna aperta condanna e tantomeno sanzioni. Questo nonostante decine di migliaia di persone siano già scese e continuino a scendere in piazza in tutta Europa, Italia compresa, per protestare contro il genocidio. Sui media il silenzio è assoluto sulle nette prese di posizione a favore della Palestina che arrivano dal Sud del mondo e che mettono in rilievo il doppio standard occidentale nel definire aggressore e aggredito. Ma per certa stampa l’opinione pubblica è un termine che si riferisce solo agli abitanti del cosiddetto Occidente. Non importa se nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la stragrande maggioranza dei paesi del mondo si schiera a favore della Palestina: il veto degli Stati Uniti basta a bloccare qualsiasi iniziativa umanitaria. Non avviene lo stesso con il caso cubano? Ogni anno l’Onu condanna quasi all’unanimità il blocco imposto all’isola (nel 2024 i voti contrari erano solo quelli di USA e Israele, mentre la Moldavia si è astenuta), eppure tutte queste risoluzioni sono sempre rimaste carta straccia. Non stupisce dunque che ben pochi in Italia abbiano sentito parlare del Gruppo dell’Aia, creato a fine gennaio, perché a farne parte sono nove nazioni considerate marginali dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia: Belize, Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia, Senegal e Repubblica Sudafricana. L’obiettivo del Gruppo dell’Aia è battersi per l’applicazione delle decisioni delle Nazioni Unite in modo da porre fine al genocidio e all’occupazione israeliana dei territori palestinesi. I paesi membri si coordineranno per mettere in atto sanzioni politiche ed economiche contro Israele, perché vengano rispettati i mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale contro il primo ministro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant, perché venga impedita la fornitura di armi a Tel Aviv e venga bloccato l’attracco di navi dirette in Israele con carichi di armi e carburante. Tutto questo presuppone una contrapposizione all’abuso del diritto di veto con cui Washington da sempre vanifica il voto della grande maggioranza del pianeta se non collima con i suoi interessi. (30/6/2025)
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cura di Nicoletta Manuzzato |