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Messico, provocazioni e ingerenze dagli Stati Uniti di Trump

La presidente messicana Claudia Sheinbaum fomenta le proteste violente a Los Angeles. È l'accusa lanciata dalla ministra per la Sicurezza Interna degli Stati Uniti, Kristi Noem, nel corso di una conferenza stampa, come risposta al richiamo al rispetto della dignità umana rivolto da Sheinbaum alle autorità statunitensi di fronte alla caccia all'immigrato scatenata in California. Accanto a Noem vi era lo stesso Trump, che si è ben guardato dal frenare l'attacco della sua ministra.

È solo l'ultima di una serie di provocazioni di Washington nei confronti del paese vicino: dall'invio di ingenti forze alla frontiera per bloccare l'ingresso di immigrati alla decisione di designare alcune zone di confine "aree di difesa nazionale", da considerarsi dunque come estensioni delle basi militari. Il Dipartimento di Stato ha inoltre dichiarato organizzazioni terroristiche straniere i principali cartelli del narcotraffico, un passo che potrebbe aprire le porte a un intervento diretto. E non tranquillizza certo la recente nomina, come nuovo ambasciatore statunitense, dell'ex colonnello dell'esercito nonché ex membro della Cia Ronald Johnson.

Gli Stati Uniti non si limitano a fare pressioni sui temi delle migrazioni e del traffico di droga, ma estendono la loro ingerenza alle scelte politiche interne del governo messicano. Si veda ad esempio la riforma del potere giudiziario, grazie alla quale il primo giugno il Messico è diventato il primo paese a eleggere per voto popolare tutti gli incaricati dell'amministrazione della giustizia. I candidati a oltre 2.600 cariche, dai membri della Corte Suprema ai giudici federali, statali e di distretto, sono stati sottoposti al giudizio degli elettori. Il cambiamento, incluso nel complesso di riforme costituzionali della Cuarta Transformación approvate negli ultimi giorni del mandato di López Obrador, ha l'obiettivo di spezzare il legame tra una parte della magistratura e il crimine organizzato. Nonostante la scarsa affluenza ai seggi (intorno al 13%) la giornata elettorale è stata definita "un successo" dalla presidente Claudia Sheinbaum, perché "milioni hanno votato liberamente i nuovi guardiani della giustizia". La Suprema Corte de Justicia de la Nación sarà ora composta da cinque donne e quattro uomini e verrà presieduta dal candidato più votato: l'avvocato mixteco Hugo Aguilar Ortiz, che ha dedicato la vita alla difesa dei diritti delle comunità indigene.

Se era scontata la forte opposizione del vecchio potere giudiziario, la riforma ha suscitato anche le critiche di Stati Uniti e Canada: già nell'agosto 2024 l'allora ambasciatore Usa in Messico Ken Salazar l'aveva definita un "rischio per la democrazia". Dopo il voto, a partire all'attacco è stata l'Organización de los Estados Americanos, la cui dipendenza da Washington sembra immutata (nonostante in maggio sia avvenuto il cambio della guardia da Luis Almagro ad Albert Ramdin). Nel rapporto preliminare degli osservatori dell'Oea sulla giornata elettorale si considera il modello non raccomandabile per altri paesi della regione e si suggerisce la possibilità di un indebolimento della trasparenza, dell'imparzialità e dell'indipendenza dei magistrati. Netta la risposta di Sheinbaum, che consiglia all'Oea di "risparmiarsi" le sue raccomandazioni e di evitare di commentare il modo in cui il popolo messicano, nella sua sovranità, ha scelto i nuovi giudici.

UCCISI DUE FUNZIONARI DEL GOVERNO DELLA CAPITALE. Ximena Guzmán, segretaria privata di Clara Brugada, jefa de Gobierno della capitale, e il consigliere José Muñoz sono stati assassinati il 20 maggio a colpi d'arma da fuoco. Il killer li ha raggiunti, freddandoli, nel momento in cui Guzmán, fermava l'auto in Calzada de Tlalpan (nel sud della capitale) per permettere a Muñoz di salire. Molti commentatori puntano il dito contro gli oppositori alla Cuarta Transformación, decisi con ogni mezzo a ritornare al potere, anche con l'aiuto occulto dell'amministrazione Trump. (11/6/2025)

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a cura di Nicoletta Manuzzato