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Da Trump via libera al Pentagono per intervenire in America Latina? Secondo il New York Times, Donald Trump ha firmato una direttiva segreta che consente al Pentagono l'intervento militare contro otto cartelli della droga (di cui sei con base in Messico), definiti in febbraio dal suo stesso governo organizzazioni terroristiche. Una decisione che dà via libera a eventuali operazioni in territorio straniero. Secondo la legislazione statunitense, infatti, il capo dello Stato può usare le forze armate contro qualsiasi persona o istituzione accusata di terrorismo, senza chiedere l'autorizzazione del Congresso e senza essere ritenuto responsabile per l'eventuale morte di civili o per danni materiali. La presidente messicana Claudia Sheinbaum si è affrettata ad assicurare i suoi compatrioti che nessun accordo prevede la presenza di soldati statunitensi su suolo messicano e che da Washington ha ricevuto garanzie che la disposizione non ha nulla a che vedere con il suo paese. Ma ad aumentare le preoccupazioni è sopraggiunto un ambiguo comunicato dell'ambasciatore Usa, l'ex colonnello ed ex membro della Cia Ronald Johnson. Contro i cartelli, sostiene Johnson, siamo "uniti come due alleati sovrani". Immediata la risposta del Ministero degli Esteri di Città del Messico: il governo non permetterà la partecipazione di forze armate statunitensi all'interno del territorio nazionale. La collaborazione bilaterale in materia di sicurezza dovrà essere realizzata rispettando sempre e in maniera rigorosa la sovranità e ognuno deve lavorare nel suo paese per risolvere le cause che provocano la dipendenza dalle droghe e la violenza derivata dal traffico di stupefacenti e di armi. Un modo per ricordare agli Stati Uniti, che contano il maggior numero di tossicodipendenti al mondo, che il narcotraffico prospera anche grazie alla forte domanda e al commercio illegale di armi dalla criminalità Usa verso la frontiera sud. Il capo dello Stato colombiano, Gustavo Petro, ha affermato che "qualsiasi operazione militare che non abbia l'approvazione dei paesi fratelli costituisce un'aggressione contro l'America Latina e i Caraibi. È una contraddizione fondamentale al nostro principio di libertà. Libertà o morte, gridò Bolívar e il popolo si sollevò". Petro ha inoltre condannato la decisione Usa di aumentare, da 25 a 50 milioni di dollari, la ricompensa offerta a chi dia informazioni utili ad arrestare il presidente venezuelano Nicolás Maduro che, secondo la procuratrice generale statunitense Bondi, "utilizza organizzazioni terroristiche straniere" come il Tren de Aragua o il cartello di Sinaloa "per introdurre droghe letali e la violenza nel nostro paese". "Colombia e Venezuela sono lo stesso popolo, la stessa bandiera, la stessa storia", ha ribattuto Petro. E ha invitato "i governi di Stati Uniti e Venezuela a coordinare le azioni contro il narcotraffico in maniera multinazionale e coordinata, senza pregiudizio della sovranità nazionale". La taglia sulla testa di Maduro ha scatenato immediate reazioni in Venezuela. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha dichiarato: "La patetica ricompensa di Pamela Bondi è la cortina di fumo più ridicola che abbiamo visto. Mentre noi smontiamo le trame terroristiche che vengono orchestrate dal suo paese, questa signora se ne esce con un circo mediatico per compiacere l'ultradestra sconfitta del Venezuela". E l'11 agosto migliaia di persone hanno dato vita, a Caracas e in tante altre città, alla Gran Marcha Antimperialista por la Paz contro l'attacco dell'amministrazione Trump. Solidarietà a Maduro è stata espressa da molti leader latinoamericani. "Se hanno qualche prova che la mostrino", così Sheinbaum ha sfidato gli Usa. Dopo aver definito la taglia "un atto di aggressione", il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez ha aggiunto: "Il governo degli Stati Uniti non ha autorità legale e morale per simile provvedimento". "Offrire una ricompensa per la cattura di un presidente democraticamente eletto è una pratica colonialista", ha commentato il boliviano Luis Arce. "L'unica cosa che fanno gli Stati Uniti è mettere un prezzo alla dignità dei popoli, ma non tutto si compra o si vende", si legge nel messaggio inviato dalle Madres de Plaza de Mayo. (12/8/2025)
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cura di Nicoletta Manuzzato |