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Argentina, ricetta neoliberista e alleanza strategica con gli Usa

Una mobilitazione che ha superato ogni aspettativa: il 24 marzo centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e nelle altre città argentine, nell'anniversario del colpo di Stato del 1976. La manifestazione per la Memoria, la Verità e la Giustizia è stata anche una dimostrazione dell'opposizione alla politica del presidente Milei. Nel documento, letto in Plaza de Mayo dalla presidente delle Abuelas Estela de Carlotto, dal Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e da Taty Almeida di Madres Fundadoras, si ricorda tra l'altro che le vittime di quegli anni "lottavano per una società più giusta, ugualitaria, solidale e sovrana. Per questo li hanno portati via. Le stesse bandiere abbiamo impugnato come organismi dei diritti umani in pieno genocidio, quando abbiamo affrontato la dittatura più sanguinosa. E così facciamo oggi perché il governo di Milei intende strapparci tutto: i nostri diritti, la nostra sovranità e la nostra libertà". Il golpe di 48 anni fa servì ad imporre "con il terrorismo di Stato, la concentrazione della ricchezza in poche mani, l'approfondimento della disuguaglianza sociale e con essa la miseria pianificata (...) Le stesse corporazioni che si beneficiarono allora sono quelle che tornano a farlo oggi, con la stessa ricetta neoliberista, la stessa crudeltà e lo stesso disprezzo per il popolo argentino".

Già a metà febbraio, in un lungo messaggio, Cristina Fernández avvertiva quanto si stava preparando con i primi provvedimenti presi da Milei, lo showman-economista, come lo definiva: "Fino a questo momento il nuovo governo ha avviato solo un feroce programma di ristrutturazione che agisce come un vero piano di destabilizzazione e che non solo incrementa la spirale inflazionistica ponendo la società sull'orlo dello shock, ma provocherà anche, irremediabilmente, l'aumento della disoccupazione e della disperazione sociale, in una sorta di caos pianificato". Da allora la situazione non ha fatto che peggiorare, con la sospensione delle opere pubbliche e il licenziamento di oltre 15.000 dipendenti statali (e si tratta solo dell'inizio: il presidente intende cacciarne tra i 50 e i 70.000), mentre crescono i prezzi dei beni di prima necessità.

E mentre le proteste contro la sua politica continuano, agli inizi di aprile il capo dello Stato ha lasciato la capitale per precipitarsi a Ushuaia (Tierra del Fuego) a rendere omaggio alla comandante del Southern Command statunitense, generale Laura Richardson: un'occasione per ribadire la sua intenzione di rafforzare "l'alleanza strategica" con gli Usa. È stata annunciata la costituzione di una base navale congiunta che, come ha detto il portavoce presidenziale Manuel Adorni, "costituisce il porto di sviluppo più vicino all'Antartide e trasforma Argentina e Stati Uniti nella porta d'accesso al continente bianco. Questo è parte della nostra integrazione al mondo occidentale e sviluppato, per affermare la nostra sovranità di fronte all'invasione di imbarcazioni di altri paesi". Il riferimento è in particolare alla Cina, la grande preoccupazione di Washington, che vede con sospetto persino l'osservatorio cino-argentino nella provincia di Neuquén, dedicato allo studio dello spazio profondo.

Altri esempi di questa condiscendenza di Buenos Aires alle richieste Usa sono il previsto acquisto dalla Danimarca (che vuole disfarsene) di aerei F-16 di costruzione statunitense a condizioni più onerose rispetto all'offerta di velivoli JF-17 cinesi, o l'accordo firmato con il Corpo di Ingegneri dell'Esercito degli Stati Uniti per sovrintendere la navigabilità dei 1400 chilometri del corso argentino del Río Paraná. (7/4/2024)

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a cura di Nicoletta Manuzzato